Quinto quaderno italiano di poesia contemporanea

da | Dic 4, 2015

La storia dei Quaderni di Franco Buffoni, con i loro oltre vent’anni di ricerca nella poesia italiana. Per ogni volume presentiamo una scelta di poesie. Il Quinto Quaderno esce nel 1996 per Crocetti, con testi di Vito Bonito, Federico Condello, Marco Munaro, Rosaria Lo Russo, Luca Ragagnin, Andrea Raos.

Vito Bonito, da Nella voce che manca

Nel disfarsi dell’ara in somiglianze
impazzita tra gl’istanti che imbiancano
la mente, chiuso ogni resistere
nel chiudersi presente dello sguardo
me che hai sognato bambino
ora che rinasci in nuova forma generata
ti richiamo, tuo figlio, nella voce che manca

*

Federico Condello, da Sibili e nodi

Dieci sonetti in forma d’implsioni

VII

padre, e ho paura di roderne il ghiareto
di trotto e di riguardo, ora ch’aggela
l’acquario, d’acri scorie, e sbuca chela
la schiuma dei tuoi occhi, a increto a increto,

e onda il sigillo, e illude e rionda il geto
che in me si tende, e pende una tutela
di trina, come una sartia fra vela
e vela, e fende, e affina il suo divieto

d’ali, a crisalide, finché ne stèssa
la voce d’onice ch’unge riflessa
come l’unghia che l’agita e l’aceto:

e apre e rileva un ombelico, vivo
dal plico del carrubo e dell’ulivo:
agile egemonia di minareto.

*

Marco Munaro, da L’ultimo giorno d’inverno

Cinque sassi
(1983-1989)

Murano

Qualche gradino.
Un campo per giardino.
Gatti, e bambini sconti
………………– come sempre –

………….Ma
Mille gradi:
……………una fornace di padri
e figli vetrai che soffiano: i ponti,
i canali, le case, le calli: vetro
dintorno, dentro, dietro.

……………(Chi come me vi cade
……………– nella luce appannata di Novembre –
……………s’infrange).

*

Rosaria Lo Russo, da Sanfredianina

Sanfredianina

per F.

Cos’io ricordo come fosse da lunga pezza
eppur son cento metri e due piani in altezza

e ci son tutta in mezzo
impantanata invischiata,
le mi’ sanfredianesche passeggiate
a membra scoordinate
quasi cotidie così per sdilinquirsi
e le gambe sgranchirsi,
fra pezzi di legno
pinocchi polverosi
merli indiani in vacanza
e falegnami bestemmianti
e – Maremma cane,
Maremma inzaccherata –
con quel cretino di Aldo al guinzaglio
scappellotti nocchini e via
a volo pedestre
con Aldo cane infedele
e porco cane
anche pedofilo pederasta,

che tutti salutavano come fosse un cristiano.

Cos’io ricordo come fosse ieri
perché a gran voce me la chiedi
l’esibizione di me bufina fantastichina,
in questa frotta di versi maldestri
che vanno pel verso
di marciapiedi sconnessi
in cui con furia mi verso
quasi con esultanza
evitando le cacche
fra rialzi petrosi
e cretti d’acciottolato screpolato

per inciampo di tacchi
di zeppe distratte,
mi bistratto
a mozzafiato
dopo una storta, ahi!
per fretta troppa.

Ma il mio dolce io
il corpo mio impesante
ad altrui predisposto
dolorante rimembra
in sua continua adolescenza
i visi e le parole
di me sanfredianina.

S’io fossi un poeta
canterei le ragazze
quelle garrule
furbe come gazze
e con le minigonne al culo
truccate con la Deborah o la Pupa
come farfalle col lucidalabbra
e col gelato,
ma tu vedessi invece
com’è invecchiata di botto
la paralitichina con la permanente
di riccioli mummificati,
s’è spenta adesso
che aveva sempre gli occhi dipinti
di celeste forte come la veste
della Regina Angelorumme ora pro nobis
all’angolo di via San Giovanni
dove mi segno sempre
in quell’infernaccio rauco di falegnami
sudati e bestemmioni.
Com’è invecchiata
come immobile ti fissa
poverina, che le piaceva tanto Aldo
e gli sorrideva scimunita.

Ma quando Aldo corre come un baleno
sfiora gli inferi, sfiora il cielo.

L’aria settembrina m’alluma il cervello
mi lucida le scarpe e mi sovvengo
che l’arlechinesca mia persona
stravagantemente sta male
d’adolescenza esorbitante.
Io dovevo essere alle medie
convinta d’essere immortale
la ragazzina si buttò di sotto
dalla finestra là
in via Santa Monaca
dove stava l’Angelina
in Piazza del Carmine
lì, all’incrocio di tante Madonne
occhieggianti
– regali e vane –
col bambino
occhieggianti col bambino ben stretto
lì sulla ragazzina
ch’esorbitò distratta e stravolta
senza esitare l’esito
d’adolescenza sua maldestra
– me lo disse l’Angelina –
si faceva insieme le medie.

Tredici anni
tutta pura
ma la materna struttura
già ce l’ha, l’Angelina
che adesso s’è sposata
ci ha i figlioli, ne voleva tanti
me lo raccontò l’Angelina
mentre si faceva i compiti
che trovavano spruzzi di sangue
e grumi di cervello dappertutto,
ogni volta che ci passo
ancora dopo anni
ho paura di trovarli
e me l’allùcino
quel volo di ragazzina,
di triste monaca imbaverata dall’alto.

E quando Aldo corre sfiora il cielo
sfiora gli inferi come un baleno.

Oh grigiore di monaca
quando vo a Santo Spirito
con Aldo al guinzaglio
grufolante e zummolemmerda
serpente strisciante,
là dove stava
l’Angelina la Laura la Nicco la Sonia
che rideva sempre
fino a piangere col singulto
fino a farsi pipì addosso
come una bimba,
che piaceva ai maschi – diobòno –
perché rideva forte, con le fossette
ed era porcellona
rideva alle barzellette sporche
rideva sconcia rideva forte

– regale e vana –

esorbita dal ricordo
distratta e stravolta
con un piccolo angioma nell’occhio sinistro
per lo sforzo d’una vomitata,
per altro luminoso e furbetto
mandorlino
latte di fico sanfredianino.

Oh s’io fossi un poeta
ti canterei grassoccia e villanella
Angelina,
che tuo padre era così mingherlino
pur avendoci il ristorante in Santo Spirito
che faceva le bisteccone bone.
Angelina Nicco Sonia Laura
si parlava sempre dei maschi e dell’imbrocco
io occhialuta
ero sempre innamorata
fino al deliquamento
e scimunita mi spingeste
al primo bacio
davanti al Chiardiluna estivo
du’ lingue in gola là
seduti sul motorino,
e col bicchierone di latte poi
tornare bambina.

Bambina bambina
Aldo vola verso casa
sfiora gli inferi sfiora il cielo
lo ingoia il buio
come un baleno.
E sotto casa
ci stava una vecchia pazza,
la vedova siciliana,
che gli era morta la bambina
e stava sempre alla finestra
a lisciare la gatta siamese
e tutta notte urlava e si dimenava
e tutti avevano paura della strega
scarruffata,
ma io mi ci fermavo
mi chiamava
perchè comprassi cinquanta lire di gelato
per la siamese strabica,
e io glielo compravo.
Qualche volta una farfallina gialla
le svolazzava torno torno
alla finestrina del bugigattolo basso
antro di strega siculo sanfredianina
al livello della strada tutta polverosa
la farfallina gialla lucignòla,
e lei mi diceva
ch’era la bambina che tornava
gialla lucina
a salutar cotidie sua madre luciferina

ed era proprio così
svolazzava proprio lì,

e lei tutte le sere
apparecchiava per tre.

*

Luca Ragagnin, da L’angelo impara a cadere

L’uomo dalla riva

Quattro ali ha il mare.
Da popolo ad equatore insegue dune
di onde. L’uomo dalla riva risponde
alla domanda impenetrabile di schiuma:
se lui sia carne ed ossa o solo bruma.

La roccia dal suo canto
è chiodo fisso di paesaggio sordo:
porto per chi emerge da marina
e alza fronte al rombo, al suo presagio torvo:
se lui sia carne ed ossa o solo spina.

Il mare ha quattro ali,
fari che è giorno anche d’inverno,
alga che sale, l’uomo sverna il proprio inferno:
da sabbia a capezzale. Ma chiede al sonno sacro
se lui sia carne ed ossa o simulacro.

Pensa forte il mare
e l’uomo ne cattura un po’ di senso
fra maglie di reti salse. Scaglie d’argento
muoiono a guizzi, leva la marea un dubbio empio:
se lui sia carne ed ossa o solo lacrime di tempo.

*

Andrea Raos, da Discendere il fiume calmo

Storia di una storia

Terra, terra, di alberi e di brune
acque, coperta dalla calce di
ciminiere di nuova costruzione,
infetta ma da cui a collina scendono,
dolcissimi, una tela di alpeggi e
prrati frementi alla brezza: l’autunno
li copre, d’improvviso – una vela
di bruma, le occhieggianti maree
dell’atmosfera. Sulla terra già
detta, qui, dal Ticino passa a scorrere
il torrente, un gorgoglio di alghe,
il pietroso cantare per la foce
lontana, vasta. Questo sfocolare
notturno, umido di terra e greto,
è un gruppo di effimere, scattanti
dai pioppi al palo della teleferica;
è una coppia di idrometre, scagliantisi
nell’onda dai canneti; è un’idrovora
che mastica impaziente, a tesa voce,
i resto umani delle concerie.
Qui, in luminescenza, controluce
mentre vanno al lavoro al primo turno
vedo ragazze trarsi via dal lume
notturno delle case, vedo nottole
dare la strada al sorgere dell’alba
acida, intera, del vero incantesimo:
l’industria siderurgica, la chimica.

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Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).