Gite d’autore / 3 – Quasi in vacanza

da | Set 16, 2013 | Senza categoria

Vado in vacanza al mare senza andare davvero in vacanza. Ho una casa sulla costa marchigiana a quindici chilometri dall’altra, la sola che io ritenga casa mia. Non variano molto le mie abitudini, se non il ritmo della giornata, che è più blando, meno cadenzato e costrittivo, in certi momenti persino casuale. Nella seconda casa, al quarto piano di un condominio e a un passo dalla spiaggia, c’è tutto (voglio dire i servizi essenziali, la tv, un pc) ma non ci sono libri, se non quelli che mi porto da casa, l’altra che invece ne strabocca. Qui però posso leggere i libri che voglio, su un divano comodissimo che nell’altra non ho o, meglio, che non mi concedo né per leggere né per scrivere. È una violazione, questa, dello schema abitudinario che scandisce le mie giornate lavorative: ci deve essere un qualche puritanesimo, una inconscia paura di peccare contro la lettera e lo spirito del Libro, di qualunque libro, a impedirmi di leggere e scrivere in una posizione più comoda o più rilassata. Fatto sta che nella casa al mare una simile paura non la sento. Se alzo gli occhi dal divano, al di là del balcone vedo uno spicchio del mare Adriatico col suo colore naturale, verdastro e slavato, e qui mi capita di smemorarmi, talvolta di pensare senza concentrarmi su un oggetto o un problema preciso, definito. Mi rendo conto paradossalmente che soltanto qui posso pensare, ovvero sorprendermi a pensare solo per pensare, e mi accorgo nel frattempo che quando io lavoro nella prima casa, quella che ritengo casa mia, penso molto meno o non penso se non quanto sono indotto a pensare entro un limite definito dal lavoro medesimo. Mi viene anche in mente che vacanza viene, per etimologia, dal vuoto. Un tempo questa cosa mi metteva in allarme, ancora certe volte mi colpisce ma per lo più mi dà un senso di sollievo o di vaga leggerezza, che presumo successiva ad uno smaltimento.

Di solito esco presto e vado direttamente allo stabilimento sulla spiaggia. Porto con me i giornali perché quella che Hegel chiamava la preghiera laica del mattino per me è un fatto inderogabile, un riflesso condizionato o un’abitudine che ha qualcosa di coatto, di vizioso. Gli ombrelloni sono chiusi e i bagnini, quasi tutti dei giovani extracomunitari, rastrellano la sabbia. Qualcuno è chino nella bassa marea e raccoglie i molluschi che qui si chiamano cannelli. Fa caldo e c’è fitta caligine, verso sud il profilo a gomito di Ancona si lascia appena intravedere. Il baretto è aperto ma non c’è ancora musica. Le uniche persone che mandino segnali acustici sono i bambini, molto piccoli, le cui accompagnatrici si distinguono secondo un ordine classista, le nurse per quelli benestanti, le nonne o i nonni per gli altri. I bambini non fanno rumore, non danno  fastidio a nessuno e forse, in quel vuoto, finalmente si sentono al centro del mondo, padroni di uno spazio-tempo che altrove devono invece conquistarsi palmo a palmo, con tenacia, richiamando l’attenzione o pretendendo un ascolto. Dunque leggo i giornali, bevo un caffè, fumo la prima sigaretta. Sto un’ora, non molto di più. Poi succede, immancabilmente, il fatto che mi induce ad andarmene perché di colpo attacca la musica dell’acquagym, o come si chiama. Mi volto e mi accorgo che c’è un mucchio di gente intorno all’istruttore, alto e biondo da sembrare un tedesco, vagamente ieratico e ostile ai profani, tanto che fra me e me ho finito col chiamarlo l’ayatollah. La musica, ma ormai è un tamburo battente, si fa altissima e perciò me ne vado. Non potrei fare altro. E peraltro non amo la spiaggia. Non posso neanche dire di non amare il mare ma il mare a me piace da lontano o quando è vuoto, spoglio, per le passeggiate d’inverno.

In casa ho la tv ma non riesco ad accendere il televisore prima di sera. (È una cosa che io per primo trovo strana, non ne so il perché, ma è così, forse è una reminiscenza atavica che associa quel mezzo al fuoco acceso o al compimento di tutta quanta la giornata). Non mi pongo il problema del pranzo, d’estate in casa nessuno se lo pone, perché si vive essenzialmente di spaghetti e pomodori, specie l’insalata di pachini da condire col formaggio greco, la feta. Vado sul divano e riapro il libro che mi sono portato. D’estate leggo i classici che non ho mai colpevolmente letto o rileggo i libri cui sono da sempre affezionato (ma questi ultimi col timore e tremore, ogni volta, di uscirne deluso, smagato). Adesso sono ad una pagina cruciale delle Liaisons dangereuses, quella in cui la Marchesa di Merteuil, libertina e filosofa, nera eroina dell’illuminismo, scrive al Visconte di Valmont, infine scoprendo il suo gioco d’azzardo, e lo invita a sbarazzarsi di ogni passione, di ogni vincolo affettivo, per assecondare viceversa, senza ambagi e pregiudizi, la dinamica del puro piacere. Ho una certa età, una certa esperienza, ma il romanzo di Choderlos de Laclos sul serio è capace di prendermi e, anzi, mi entusiasma. (Mi viene in mente il film che ho veduto anni fa, dove la Marchesa era Glenn Close, una autentica furia dei sensi e dell’intelligenza, tremenda, irresistibile). Si tratta di un romanzo epistolare e questo favorisce le continue interruzioni, lo sciame dei pensieri, la pausa pomeridiana del sonno.

Dopo cena qui è come fossi nella prima casa, cioè a casa mia. Si esce al massimo per un gelato, sono pochi passi, ma i chioschi e i dehors sono sempre troppo affollati. In paese non c’è molto da vedere e d’altronde lo conosco a memoria perché vengo qui da trent’anni. Più spesso si sale al sesto piano, in casa di cari e vecchi amici che hanno una terrazza panoramica presidiata da due cani beagle, uno in particolare che si chiama Biagio ed è tenerissimo nella sua perpetua irrequietezza. Non si va mai oltre le undici, poi si scende di sotto e io do un’occhiata ai programmi televisivi. Non cambia mai niente, l’offerta è sempre la stessa, di recente ho scoperto che i talk show purtroppo non vanno in vacanza. Ma non posso dire di provare nausea da televisione, perché non l’ho mai amata né l’ho mai vista molto. A quest’ora, piuttosto, sono in cerca di un alibi per andarmene a letto o di qualcosa per cui valga la pena stare alzati, un film (meglio se un western, l’altra sera hanno dato Sentieri selvaggi di John Ford, ma l’avrò visto non meno di sei volte) oppure una partita di calcio, non importa se è stata registrata l’inverno passato. Ma stasera non c’è proprio nulla se non il notiziario sportivo: dice che Reto Ziegler, della Juventus, forse verrà ceduto al Toro. Un poco mi dispiace, è un ottimo terzino.

 

“Gite d’autore” è un progetto curato da Andrea Cirolla.
Il primo racconto, di Francesca Serafini, è qui.
Quello di Roberto Amato qui.
Seguiranno testi di Carmen Pellegrino, Valentino Ronchi, Emmanuela Carbé (con la collaborazione di Francesco Pecoraro) e Francesca D’Aloja.

Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).