Casa condivisa – Poeti argentini contemporanei /6

da | Dic 26, 2016

Traduzioni a cura di Francesco Tarquini. I testi qui presentati sono tratti dall’antologia El arte de perder y otros poemas. L’ordine in cui sono disposti, non cronologico, è una libera scelta del traduttore.

La conseguenza

Questo è un albero. La radice dice radice,
ramo ogni ramo, e sulla cima
c’è il salotto
di un merlo parlante.

Il tavolo su cui scrivo
-un tripudio di nubili-
è fatto con il legno di quest’albero
che l’uso e il tempo tramutarono
nella parola tavolo.

E’ perché dà frutti che cadono
e per l’incessante associarsi delle foglie
che l’albero si rinnova
e che la parola albero esiste:

anche se a volte il bosco
lo nasconde alla vista, lo contiene
l’albero nella parola albero.

Non è che questa sia poesia astratta.
E’ che le parole si ripetono fra loro
per il senso: sono nubili e socievoli
e dalle loro radici cresce un albero.

*

La consecuencia

Esto es un árbol. La raíz dice raíz,
rama cada rama, y en la copa
está la sala de recibo
de un mirlo que habla.

La mesa donde escribo
-una fiesta de solteras-
está echa de madera de ése árbol
convertida por el uso y por el tiempo
en la palabra mesa.

Es porque da frutos que caen
y por el gremio perenne de sus hojas
que se renueva el árbol
y que existe la palabra árbol:

aunque a veces el bosque
lo oculte a la vista, lo contiene
el árbol en la palabra árbol.

Y no es que este sea un poema abstracto.
Es que las palabras se repiten entre sí
por el sentido: son solteras y sociables
y de sus raíces crece un árbol.

***

Inerenza

ai miei figli

Non posso esser l’acacia,
ma dovrei. La realtà
è sempre stentata
……………..e non sembra mai

quella definitiva. E neppure
la prima, che svelerebbe
l’oggi.
………………….Oggi

ho guardato l’acacia e la sudicia
linea curva del prato sotto la pioggerella
ma non ho osato
…………….cercare di capirle.

So tuttavia che mi tocca amare
l’incomprensibile, con questo amore
improbabile.
……………Esser persona

è esser disperata
per le modalità dell’amore e il nodo
in cui ciò che è detto si fa muto:
……………………l’unica

possibilità con le cose è nominarle
in una rotazione senza fine
mentre cambiano posto.
……………………..Qui
la nostra quiete stessa

è stentata e inspessito
il moto che estende
il passaggio da essere a disfare
……………………la realtà

in plurime impossibilità: l’idea di rosa
in modo giusto usata
rende possibile la rosa
…………………..fra le ore

su cui il peso del corpo grava
in un roteare di groppe capovolte
o rovesciate.
……………….Più in là si appanna

la griglia degli anni
dello specchio in cui una volta
ero verde, ancora.
………………….E ora

sono di quel colore che il verde
assume col tempo e di cui nel tempo
l’occhio abusa
……………..del soggetto

della rosa, dell’acacia che sfoglia
a caso l’inconveniente
del genere donna-
………………..uomo-

e oggetto che son io quando mi nomino
così soggetta, che non accorcia, né riduce
o scarta, né sembra
essere

tuttavia presente.

*

Inherencia

a mis hijos

No puedo ser la acacia,
y debería. La realidad
es siempre poca
………………..y no parece

ser la última. Tampoco
la primera, que develaría
al hoy.
…………….Hoy

he mirado la acacia y la sucia
combadura del pasto en la llovizna
sin atreverme
……………….a comprenderlas.

Pero sé que debo amar
lo incomprensible, con este amor
improbable.
………………..Ser persona

es estar desesperada
por los modos del amor y el nudo
donde lo dicho enmudece:
………………….lo único

posible de las cosas es nombrarlas
en un rodeo sin fin mientras se mueven
de lugar.
……………Nuestra propia quietud
………aquí

es delgada y grueso
el movimiento que alarga
la transición de ser a deshacer
……………………la realidad

en imposibles: la idea de la rosa
en su buen uso
hace a la rosa posible
……………..entre las horas

que la gravedad del cuerpo arrasa
en un girar de grupas vueltas
o volteadas.
………….Más allá se empaña

la reja de los años
del espejo donde antes
yo era verde.
…………………Ahora

soy de ese color que el verde
toma con el tiempo y en el tiempo
abusa el ojo
…………..del sujeto

de la rosa, de la acacia que deshoja
al azar el contratiempo
del género mujer-
…………………..hombre-

y objeto que soy cuando me nombro
así sujeta, que ni acorta,
ni descarta, ni parece
……………………..estar

pero presente.

***

Infatuazione:
amore all’amore,
odio all’odio,
fanno opache le cose
e sfibrate le parole,
apparenza che non proietta ombra.

Amore e odio soltanto, in modo chiaro
rendono le cose trasparenti
ma con una loro ombra vera
e le parole fibrose
non sono la copia di ciò
in cui si incarna l’io.

Ti amo, ti odio,
sì, no,
è ormai da tanti anni
che il danno è chiaro:
noi siamo io, e io e te.

Sedersi e imparare il due.

*

Es la infatuación:
el amor al amor,
el odio al odio,
vuelven las cosas opacas
y las palabras flacas,
ilusión que no hace sombra.

El amor solo y el odio claramente
vuelven las cosas transparentes
pero con sombra propia
y las palabras fibrosas
no son copia de la cosa
donde encarna el yo.

Te amo y odio,
sí y no,
y desde hace tantos años
que el daño está claro:
somos yo y yo y vos.

Sentarse y aprender el dos.

***

L’incostanza

Non andiamo d’accordo su tutto. Il nostro amore,
come diciamo, non è “proprio da quattro soldi”. Non si deve [vivere,
diciamo e ripetiamo, nella gabbia delle scimmie,
scalando liane di ascesa personale,
di arrampicamento riservato,
senza dar retta all’ellittica melodia dell’organino.

Non è così che si deve vivere, bisogna dare
vita e ascolto a una nota diversa, al suo calare melodioso,
al suo impareggiabile cadere, e non
a un esercito di scimmie con pollice opponibile
contro qualunque cosa. A questo
io mi oppongo, ma tu allora dici,
con il buon senso di chi ama meno di due,

niente è così tremendo.

Sì che è tremendo, invece, e a me dispiace
e mi dispiace che non dispiaccia a te, mentre ti piace dire,
con il buonsenso di chi ama meno di due,
che a tutto c’è soluzione. In ogni caso fortunatamente
tutto si dissolve in questa calma, quella dell’incomprensione
che esce a comprarsi una pistola oppure

un orologio, per il caso che.

E intanto l’anima viene trafitta
di comprensione, un calore sempre giallo,
limonino, un albero di parole da cui pende l’appeso,
colui che si abbandona all’accadere, a ciò che succede e non [passa,
al frutto del bocciolo
della foglia del ramo

dell’albero di parole.

Non c’è meno di due, questi altissimi boschi
sotto i quali lavare con discrezione i panni sporchi.
Non vantarsi della sporcizia e neppure della pulizia.
Avere uno strascico ampio come il mare
con le sue maree, la solita storia di durare
senza sicurezza, senza sapere come cresce, se cresce

l’albero di cui parliamo.

Parliamo però, parliamo, in scene
sottoposte a interpretazione. “Non posso esser
l’acacia ma dovrei” si direbbe un aforisma
ma postularlo spetta solo alla poesia.
L’ho vista, quell’acacia, ti ho visto, non posso lamentarmi
perché non mi hai vista, non è per nozze che sono vestita,
è una vera allegrezza postularlo. Amo dove siamo due:
il centro della terra, il fondo marino dove non penetra la luce,
e dove si trovano i colori più brillanti

se qualcuno accendesse il riflettore.

Là dove mani, occhi, dove solo penetra
a tratti la voce, è là
che l’albero ha posto le radici.

Su poche cose siamo d’accordo. Un incerto
tono di luce, una fuggevole sfumatura dello sguardo
e una certa felicità d’assenza, la più silente, che fa
che le parole non spariscano per perdersi
nel nostro fogliame,
quello di questi rami.

Il silenzio fertilizza. Questo deserto diventa
in un attimo una pianura assolata in cui di nuovo
cambiamo direzione, dove nessun serpente esibisce
il sibilo ma la pelle che ha mutato e per un po’
assomiglia a un’altra serpe, che non si srotola
dall’albero di cui parlavamo.

Parlavamo. Ti voglio bene, moltissimo, dicesti
e io dissi ti amo: l’ora del trucco nella gabbia delle scimmie
richiede una penna in ogni coda prensile
per aver libere le mani, o meglio, una matita incancellabile
ma giammai un coltello in mano nostra, per non far danno
alla corteccia sotto la cui superficie –così speriamo-
la nostra linfa scorre.

Ti scrivo con la mia matita incancellabile
priva di marchio, anche se io
sono marchiata. Si salvi
in me lo sguardo, si salvi la parola.

*

La inconstancia

No estamos de acuerdo en todo. Nuestro amor,
decimos, no es “de tan tonta calidad”. Decimos
a cada rato no hay que vivir en la jaula de los monos,
haciendo escalas con las lianas de ascenso individual,
de subida exclusiva,
sin atender a la melodía elíptica del organillero.

No hay que vivir así, hay que dar
y escuchar otra nota, su descenso melodioso,
su caída impar y no
un ejército de monos oponiendo
el pulgar a cualquier cosa. Me opongo
a eso, pero entonces decís,
con la sensatez de quien ama menos de dos,

nada es tan terrible.

Pero es terrible y lo siento
y siento que no lo sientas, y sentís,
con la sensatez de quien ama menos de dos,
que todo tiene solución. Y sin duda por suerte
todo se disuelve en esta calma, la de la incomprensión
que sale a comprar un revólver o

para el caso, un reloj.

Y mientras tanto está el alma traspasada
por la comprensión, un calor siempre amarillo,
alimonado, un árbol de palabras del que cuelga el colgado,
el que se entrega a la sucesión, a lo que sucede y no pasa,
al fruto del capullo
de la hoja de la rama

del árbol de palabras.

No hay menos de dos, esas arboledas altísimas
bajo las cuales lavar ropa sucia con discreción.
No presumir de suciedad, tampoco de limpieza.
Tener una cola ancha como el mar
con sus mareas, la historia de durar
sin seguridad, sin saber cómo crece, si crece,

el árbol de que hablamos.

Pero hablamos, hablamos, en escenas
sujetas a la interpretación. “No puedo ser
la acacia y debería” parece una sentencia,
pero es tán solo función de la poesía postularlo.
Vi esa acacia, te vi, no puedo quejarme porque
no me viste, estoy vestida y no para una boda,
es toda una alegría póstularlo. Amo donde somos dos:
el centro de la tierra, el fondo del mar donde la luz no llega,
donde están los colores más brillantes

si alguien encendiera el reflector.

Allí donde manos, ojos, donde llega sólo
la voz por arrebatos, allí
el árbol ha enraizado.

Estamos de acuerdo en poco. Una incierta
tonalidad de la luz, un breve matiz de la mirada
y cierta felicidad de la ausencia, la más callada, la que hace
que las palabras no desaparezcan y se pierdan
en el follaje nuestro,

el de estas ramas.

El silencio fertiliza. Este desierto se vuelve,
de pronto, una llanura soleada donde volvemos
a cambiar de dirección, donde cada serpiente no muestra
su silbído sino la piel que ha mudado y por un tiempo
la hace parecer otra serpiente, que no se desenrosca

del árbol que ya hablamos.

Y ya hablamos. Te quiero muchísimo dijiste
y dije que te amo: el maquillaje de la jaula de los monos
exige una pluma en cada cola prensil
para tener las manos libres, o mejor, un lápiz indeleble
pero nunca un cuchillo en nuestras manos, ni dañar
la corteza bajo cuya superficie –tenemos la esperanza-

fluye nuestra savia.

Te escribo con mi lápiz indeleble
que no tiene marca, aunque yo
esté marcada. Sálvese
en mí la mirada, sálvese la palabra.

***

Alba e vento
sotto il cielo lento
ed anche questa luce
per me:
lentamente andare
da qua a là
senza aggettivi
e con difficoltà,
parlare al telefono
-niente di personale-
esercitarsi, pensare
a parole che per lo più succedano
fuori di me, essere un esercito,
cucinare patate
zucche e piselli
e mangiarseli come in un banchetto.

E’ provato che le parole
non raggiungono il loro obiettivo.

Ancora da qua a là
quando il giorno esibisce
il suo cielo vespertino
verso l’oscurità
e le parole con il loro conteggio
-invalido e a tentoni-
di quel che è passato e di quello che è.
Non far conti.

Sedersi e contare il fiato,
un respiro alla volta.
Finire.

*

Madrugada y viento
bajo el cielo lento
y esta luz también
para mí:
lentamente ir
de acá para allá
sin adjetivos
y con dificultad,
hablar por teléfono
-nada personal-
ejercitarse y pensar
en palabras que acontezcan además
fuera de mí, ser un ejército,
cocinar papas
zapallos y guisantes
y comérselos como un festín.

Las palabras, está comprobado,
no llegan a su fin.

De acá para allá todavía
cuando el día ostenta
su cielo vespertino
en camino a la oscuridad
y las palabras con su recuento
-invalido y a tientas-
de lo que pasó y lo que es.
No hacer cuentas.

Sentarse y contar el aliento,
una respiración por vez.
Terminar.

***

Se uno volesse essere una tartaruga

………………………sarei io:
fare di una sezione conica
la mia personale dimora preistorica
alloggiata nella spina dorsale.

Essere tartaruga
………………….possiede un che di ideale:
da giovane già ostenta rughe
e in senso letterale
cresce con gli anni
…………………-a età maggiore
maggior volume.
Postmatrimoniale,
senza obblighi di famiglia
una volta che ha deposto le uova,
a tutte identica e a ciascuna,
figlia, naturalmente, della luna,
………………….e tuttavia
non c’è alcuna scissione
fra lei stessa e i suoi lari.

Fra tante incarnazioni,
……………………per me
che me ne sto in me stessa
-fretta pura, nessuna pigrizia-,
poco conta che sia lenta
la sua marcia in superficie:
……………….questo
mi farebbe durare
e adatta a immergermi in mare,
-che copre i due terzi del mondo-
sapendo che se sprofondo
acquisto velocità.

*

Si alguien querría ser una tortuga

………………….sería yo:
hacer de una sección cónica
mi propia sede prehistórica
alojada en la espina dorsal.

Ser tortuga
…………….tiene algo de ideal:
desde joven luce arrugas
y en sentido literal
se hace mayor con los años
…………….-a más edad
más tamaño.
Post-matrimonial,
sin lazos familiares
después de desovar,
igual a todas y cada una,
naturalmente hija de la luna,
…………….sin embargo
no hay cisma
entre ella misma y sus lares.

Entre tantos avatares,
…………………para mí
que estoy en mí
-puro apremio sin molicie-,
poco cuenta que sea lenta
su marcha en la superficie:
…………….eso
me haría durar
y capaz de entrar al mar,
-que cubre dos tercios del mundo-
sabiendo que si me hundo
gano velocidad.

***

Ogni passione finita

Capricci di luce

dallo spiraglio che sta
sopra le imposte
………………….e il caldo,
il freddo come calce e il sole,
non è come stare
fra altre braccia
la cui identità sia indifferente.

……………………C’è
questa luce che riempie la brocca,
il rosso di dentro colmatosi
di vuoto. E’ questo?
……………………..E’,
piuttosto, quel genere di cavità
che tien conto del contenere,
la sentenza che genera un dentro in cui
………………………..-volendo-
penetra per un attimo il mondo
credendo in qualche possibilità
di rendersi impassibile.

……………………..E dunque
trema. Con la luce che
cambia. E con le foglie
che si intrecciano nel vento.
……………………….Fuori di questo
non c’è nulla dunque? Neanche un abbraccio
che lo trattenga?

…………………Dura
quello che muore.
……………………Rimangono
cassetti familiari con abiti ormai
estranei, intime sete e braci
………………………..di dolori
che non dolgono più.
……………………In qualche parte
della carne in disuso,
la sazietà di riuscire a
…………………..fermarsi.

E’ la passione o il passaggio
fra due vuoti, l’atrocità
che lascia intatto oltre il nòcciolo
…………………..il cuore
di un personaggio inventato
per il mondo.

………………….E nessuno ama
quello che non conosce: questo luogo
ha smesso d’essere
…………………illuminato
…………………perché adesso
occupano il centro zone oscure.

…………………..Ogni
passione finita
…………………..è emozione
chiarita. Spostare
la sedia al sole per rifare
il giorno d’ieri
……………….e vedere come maturano,
rigogliosamente,
le pesche quest’anno.

*

Toda pasión concluida

Caprichos de la luz
por el resquicio superior
de los postigos
………………y el calor,
el frío como cal y el sol,
que no es estar
……………..y es
entre otros brazos
que den lo mismo.

………………..Está
la luz que llena el jarro,
el rojo interior que se ha colmado
de vacío. ¿Es eso?
…………………..Es
el estilo, más bien,
de hueco que acata la continencia,
la sentencia que da un adentro donde
……………….-si se quiere-
por un momento el mundo entra
y cree en maneras
de hacerse inconmovible.

………………….Así
que tiembla. Con la luz que
cambia. Y con las hojas
que se enrejan en el viento.
…………………..Fuera de él
no habrá nada? ¿Ni abrazo
que lo sujete?

………………….Dura
lo que se muere.
………………..Quedan familiares
cajones con la ropa que se ha vuelto
ajena, satenes personales y tizones
……………….de dolores
que ya no duelen.
……………….En rincones
de la carne, desusada,
la saciedad del poder
………………….detenerse.

Es la pasión o el paso
entre dos vacíos, la atrocidad
que deja intacto el corazón
………………….tras el carozo
de un personaje inventado
para el mundo.
………………….Y nadie ama
lo que no conoce: este sitio
ha dejado de ser
………………….iluminado
………………….porque ahora
los lugares sombríos son el centro.

………………….Toda
pasión concluida
………………….es emoción
aclarada. Correr
la silla al sol para rehacer
el ayer
……………..y ver cómo maduran,
bellamente,
los duraznos este año.

***

La vita è cambiata, si diceva, umettandosi
le labbra con la lingua e aaàm, leccandosi
come si trattasse d’un bocconcino, o di un profumo.
Il mio sapore è questo, e tuttavia i capelli
mi si stirano e ricadono giù come… un sudario?
No, un segnale di svolta. All’ora di punta
nessuno mi si è premuto contro… o meglio
sì, contro di me:
gira l’età, canta l’allodola e il trucco leggero
sulle guance ha raggiunto lo spessore
di metà della vita che anticipa. Fresca no,
ma dura coi capelli così: in consonanza.
Sarà il timore della brutta figura, o l’innocente camicia,
tutta volants, satins, di una vecchiaia trascorsa? Non vecchia,
logora e lustra ai gomiti e ai polsini,
e sulle unghie ben curate. Aver cura delle mani
con amore, con grinta, con civettuola procacia:
quel che riluce è di splendente effetto. Premo il grilletto?
Lacca scolorita per questo comò nuovo che, invecchiando,
comincia ad esser scomodo. Il cassetto di sopra
a destra, per esempio, ha perso
la maniglia. E se grilletto? Lì ripongo soutiens,
reggiseni, corpetti, tutta roba in disuso. Ciò che feci,
oggi lo giustifico: ebbi bambini, ridevo e andavo in cerca
dei miei simili. Confuso: tutto menzogna, in parte,
in parte condimento, letale, del peccato originale.
Qual è la mia parte?

*

La vida ha cambiado, se decía, untándose
los labios con la lengua, relamiendo, aaámm,
como si de un bocado se tratara, o de un perfume.
Éste es mi gusto, y sin embargo, el pelo
seme atiesa y cae como… ¿un sudario?
No, una señal de giro. A la hora pico
nadie se ha apoyado contra mí… o sí, en mi contra:
rueda la edad, canta la alondra y el leve maquillaje
en las mejillas ha cobrado una espesura
de mitad de la vida que adelanta. No fresca,
pero dura con el pelo así: en consonancia.
¿Será el recelo de la mala figura, o la blusa candorosa,
olanes y satines, de una vejez pasada? Vieja no,
gastada y brillosa en los codos y en los puños,
sobre las uñas manicuradas. Cuidar las manos
con amor, con garra, con impudor, coqueto:
lo que relumbra, es brillo. ¿Aprieto el gatillo?
Laca descolorida para esa cómoda nueva que, envejecida,
empieza a tornarse incómoda. El cajón superior
de la derecha, por ejemplo, ha perdido
el tirador. ¿Y si gatillo? Allí guardo soutiens,
sostenes, corpiños, todo en desuso. Lo que hice,
ya lo excuso: tuve niños, reía y buscaba
los parecidos. Confuso: en parte, todo mentira,
en parte aliño, letal, del pecado original.
¿Cuál es mi parte?

***

Una lettera trasformata in cosa

Sempre meno sopporto, amica mia,
le emozioni e so di avere a volte un’espressione
che farebbe intristire il mezzogiorno.
Per questo credo di ricordare altri giorni
quando la sola ombra era quella
proiettata dagli alberi,
e anche di altre cose mi ricordo.

Però via, che sciocchezza i ricordi.

Come bende, a una finiscono per
mummificarla, e io sono così come
una mummia privata: ultimamente prendo
la vita come viene, come il nocciolo
che appesantisce, si sa, l’oliva
e le dà un’anima
laboriosamente amara.

Da poco è morta mia madre
era già vecchia.
Mi sono messa a pensare alla vecchiaia
come uno che vaga nella sua catacomba privata
in cui risiede la propria mummia privata
e vede succedere ogni cosa come viene.

Ultimamente non sono del tutto me stessa, certo,
e vedo succedere le cose
fino a farle fuori
come un riflesso di me
parcheggiato negli specchi.

Quasi tutte le cose.

Sei così lontana che ho pensato
di fare un cambiamento di scena
e scrivere una lettera alla mia amica.
Ma in questa oscurità dell’io
non riesco a chiudere occhio
per timore di non vedere il mutamento
nella forma delle cose

e ho preso a trasformarmi in una
di loro, di quelle cose.

Ho pensato di scrivere una lettera alla mia amica
che fosse materia solida in mezzo a tante cose
più inafferrabili o gassose, ombre
più gravi di quello che è perduto.

Meno una lettera che una cosa.
E invece di spedirla ricordarla
come un mutamento della cosa,
che possa farsi fra noi due,
la mia amica ed io,
materia di metafora.

*

Una carta convertida en cosa

Cada vez, amiga, soporto menos
las emociones y sé que a veces tengo una expresión
capaz de entristecer el mediodía.
Con razón creo recordar otros días
cuya única sombra era
la que proyectaban los árboles,
y también recuerdo otras cosas.

Pero en fin, los recuerdos son pavadas.

Son como vendas, la momifican
a una, y soy como una momia
privada: últimamente tomo
la vida como es, como el carozo
que se sabe, entorpece la aceituna
y le da un alma
laboriosamente amarga.

Últimamente murió mi madre
cuando ya era vieja.
He empezado a pensar en la vejez
como quien vaga en su catacumba privada
donde se aloja su propia momia privada
y ve pasar cada cosa como es.

Últimamente no soy del todo yo misma, claro,
y veo pasar las cosas
hasta terminar con ellas
como un reflejo de mí
estacionado en los espejos.

Casi todas las cosas.

Estás tan lejos que pensé
hacer un movimiento de fondo
y escribir una carta a mi amiga.
Pero en esta oscuridad del yo
no puedo pegar un ojo
por miedo de no ver el cambio
en la forma de las cosas

y me he ido convirtiendo en una
de ellas, de esas cosas.

Pensé escribir una carta a mi amiga
que fuera materia sólida entre otras cosas
más inasibles o más gaseosas, sombras
más serias que lo perdido.

Menos una carta que una cosa.
Y en vez de enviarla recordarla
como un cambio de la cosa,
y que se hiciera entre las dos,
mi amiga y yo,
materia de metáfora.

***

Con Olvido

Che questo che assorbo dai tuoi versi alla mia lingua
-la fissità della foto, il frammento di realtà pura,
la percezione netta che cattura parole senz’altro padrone che [lui o
……….lei-
duri dentro di me come fosse la misura
della vita –canicola o gelata- e di tutte le cose
dove non cede il suo posto la morte sempreviva.

Che restino radicate in me queste cose
che il tuo nome portano per me nella nostra lingua:
alberi e uccelli piacevoli a guardarsi, qui e ora in tutte le
………misure.
Che le forme fatte per la vita o per i suoi rischi più
………acuminati
-esseri e affetti che si incalzano, il concentrato della loro cruda
………realtà-
al leggerti mi prendano del tutto, lasciando alla morte il posto [suo.

Per esempio il paesaggio, quella realtà
in cui semplicemente siamo o lui o lei,
la faccia quando siamo da soli, una natura comune la cui [misura
supera in abbondanza la dimensione delle cose –che esista o [manchi-,
possiede un’anima –una gran luce- concentrata in quella [lingua
che si parla nelle tue poesie, personali emblemi di tempo e
……..luogo.

La spuma ultramarina dei tuoi versi è rugiada che irrora il [mio spazio.
Così quando tu dici: al dire amore si intende dire misura?,
oppure ciascuna delle sue bocche disse io, mi metto a pensare [se essere in
ogni cosa
voglia dire vita, qualsiasi nulla che nutra, la realtà
……..più estrema,
ed io sabbia instabile soltanto, pura e semplice variante di una [lingua
che anche se smettesse di essere io mai smetterà di essere lei [stessa.

Tra amarmi e no, mi rifugio in lei e in lei cresco,
e in ogni attacco di dolore che la realtà trasuda
-l’intensità di ciò che non corrisponde, diresti al posto mio-,
danno solidità i tuoi versi, gesti lenti, la vuota incalcolabile
misura di solitudine che accumula ogni cosa
non detta, restata sulla punta della lingua.

Ma niente resta sulla punta della lingua:
apro a caso un tuo libro e dalla pagina irrompe realtà
come fosse la più evidente delle cose
della vita: ai malati e ai paralitici, si dice in essa,
dì animo, su, siete soli. Come se potessi metterti al posto mio,
come se di questo dolore conoscessi la misura.

La lingua, radice degli affetti, casa condivisa, è la misura
in cui le cose acquistano realtà, e in essa i tuoi versi,
vita vissuta, vita della tua vita e della mia, che sia possibile,
che si apra il
……..luogo che a lei appartiene.

(Olvido è la poetessa e critica Olvido García Valdés, figura di primo piano nella poesia contemporanea di lingua spagnola.)

*

Con Olvido

Que esto que asimilo de tus versos a mi lengua
-la fijeza de la foto, el jirón de pura realidad,
la neta percepción que capta palabras sin más dueño que él o
…….ella-
permanezca en mí como si fuera la medida
de la vida –canícula o helada- y de todas las cosas
donde la muerte siempreviva no cede su lugar.

Que en mí queden arraigadas esas cosas
que llevan para mí tu nombre en nuestra lengua:
árboles y pájaros buenos de mirar, aquí y ahora en todas las
…….medidas.
Que las formas que son para la vida o los más agudos riesgos [de
…….ella
-seres y afectos empujándose, el concentrado de su cruda
…….realidad-
leyéndote me ocupen por entero, dejándole a la muerte su [lugar.

El paisaje, por ejemplo, esa realidad
donde somos cada uno simplemente él o ella,
la cara cuando estamos solos, una naturaleza común cuya
medida
excede con creces el tamaño –que hay o falta- de las cosas,
tiene alma –una gran luz- concentrada en esa lengua
hablada en tus poemas, insignias personales de tiempo y de
……lugar.

La espuma ultramarina de tus versos es rocío que cala mi [lugar.
Así cuando decís: cuando se dice amor ¿quiere decir medida?,
o cada una de sus bocas dijo yo, me quedo pensando si ser en
……cada cosa
querrá decir vida. cualquier nada que alimente, la más [extrema
……realidad,
y yo tan sólo arena movediza, la mera variante de una lengua
que aunque deje de ser yo nunca dejará de ser ella.

Entre quererme y no, me refugio y medro en ella,
y en cada crisis de dolor que exuda realidad
-la intensidad de lo que no corresponde, dirías en mi lugar-,
tus versos dan cimiento, gestos lentos, la vacua medida
incalculable de soledad que acopia toda cosa
que queda sin decir, en la punta de la lengua.

Pero nada queda en la punta de la lengua:
abro al azar un libro tuyo y de la página salta realidad
como si fuera la más evidente de las cosas
de la vida: a los enfermos e impedidos, dice en ella,
diles ea, solos estáis. Como si pudieras ponerte en mi lugar,
como si de este dolor conocieras la medida.

La lengua, raíz de los afectos, casa compartida, es la medida
en que las cosas cobran realidad, y en ella tus versos,
vida vivida, vida de tu vida y de la mía, que se pueda, que se
……abra su lugar.

Hugo Mujica, Cuando todo calla – Poeti argentini contemporanei /1
Mercedes Roffé, L’algebra oscura – Poeti argentini contemporanei /2
Diego Bentivegna, La pura luz – Poeti argentini contemporanei /3
Juana Bignozzi, Il paese mitologico – Poeti argentini contemporanei /4
Juan José Saer, L’arte di narrare – Poeti argentini contemporanei /5

Immagine: Maya Zack, Counterlight, 2016.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).