Questionario: Walter Siti

da | Mag 26, 2015 | Senza categoria

Sul numero 70 di Nuovi Argomenti “Dite quel…BIP…che vi pare” (da oggi in libreria) dedicato alla libertà d’espressione, abbiamo fatto dieci domande a una settantina di scrittori, poeti e intellettuali italiani. In occasione dell’uscita del numero ne pubblichiamo qui degli assaggi. Dopo Loredana Lipperini ed Erri De Luca, ecco Walter Siti.

 

1. La libertà d’espressione deve tener conto di altre libertà (per esempio legate a: religione, credo politico, ruoli istituzionali, memoria storica, ecc.) o non deve essere limitata? Quali dovrebbero essere gli eventuali limiti e chi dovrebbe deciderli?

Mi pare ovvio che la libertà d’espressione debba tener conto di altre libertà, o più semplicemente della convivenza civile. Se io dicessi tutto quello che mi passa per la testa mi renderei la vita impossibile e la renderei molto faticosa agli altri. Peggio, naturalmente, se io fossi un ambasciatore, o il papa, o un leader politico. L’attuale voga dello svelare tutti i segreti (i vari leaks, la casa di vetro, “intercettateci tutti”, lo streaming eccetera) è una solenne minchiata nata sull’onda di quella sindrome di indiscrezione sciocchezza e falsa sincerità che sono i social network. Non avere segreti significa avere una vita (e una mente) noiosa e miserabile. Sul piano collettivo, da sempre i rapporti tra gli individui e le nazioni si sono basati su accordi che devono in parte restare segreti. Anche dal punto di vista economico, parresia e benessere non possono stare insieme. Dell’equilibrio tra oppressione e rivolta sono fatte sia la psicologia che la storia. La maturità nel primo caso, la situazione storico-sociale (con gli organi di mediazione di ogni singolo paese) nel secondo sono i soli giudici. Censura e ribellione sono inestricabili l’una dall’altra.

2. Rappresentazione artistica e opinione personale dovrebbero godere dello stesso grado di libertà di espressione?

 

No. Sull’opinione personale ho già detto, mentre la rappresentazione artistica non dovrebbe avere alcun limite, né potrebbe averne, perché l’autore non è completamente responsabile della Forma che nasce dalle sue mani. La Forma è dettata da un bilanciamento superiore, che magari si rivela in pieno anni o secoli dopo la morte dell’autore e dei critici suoi contemporanei. Sapendo questo, è difficile che l’autore abbia una opinione ben definita: i romanzieri sono di solito vigliacchi che nascondono le loro opinioni dietro le opinioni contrastanti dei personaggi, i poeti spesso preferiscono non capire fino in fondo quello che scrivono. Naturalmente, se uno fa un video bellissimo e comico in cui ironizza pesantemente sull’isis, e poi lo gambizzano o lo ammazzano, come individuo ha corso un rischio e gli è andata male. Come cittadino, forse ha danneggiato gli altri cittadini; la rappresentazione artistica è anche un gesto pubblico, e come tale ricade nel discorso del punto 1: l’artista ha due vite, una nella cronaca e l’altra fuori, ed è meglio che lo sappia.

 

3. Dovrebbe essere diversa la libertà d’espressione di cui si può usufruire in ambito pubblico e in ambito privato? Perché?

Diversa sì, ma non maggiore o minore. In ambito pubblico si devono curare alcuni equilibri, in ambito privato se ne devono curare altri. Certi sfoghi dementi posso farli col fidanzato ma è meglio che non li scriva su «la Repubblica»; viceversa, l’indignazione e l’inflessibilità che fanno bella figura in un tribunale possono creare dei traumi a mio figlio.

 

4. È giusto limitare la libertà di un cittadino di esporre o indossare simboli religiosi, politici, ecc.? Se sì, in che misura?

Credo che certi limiti debbano essere posti, dipende dai simboli. Se un essere umano alto uno e novanta indossa un burqa totale e vuole entrare in banca, sono autorizzato a fargli mostrare il viso. Se un gruppo di atletici giovanotti vuole attraversare il campo centrale di Auschwitz ostentando sul petto delle croci uncinate, mi sento in diritto di impedirglielo. La misura è quella del rispetto per il passato e della sicurezza presente. Valori relativi e variabili, da discutere caso per caso. Il velo islamico, per esempio, o il presepe nel corridoio della scuola, non credo siano un grave problema; basta spiegare a tutti che cosa sono e a che cosa servono.

 

5. Chi difende o appoggia pubblicamente atti violenti o illegali dovrebbe esserne considerato corresponsabile sotto un profilo etico e giuridico, o dovrebbe avere diritto a esprimere liberamente la propria convinzione?

Tra parlare e agire c’è una differenza enorme sul piano legale; una differenza più piccola, ma ancora consistente, sul piano etico. Anche qui, credo che serva un discernimento ragionevole: approvare il sabotaggio di una linea ferroviaria discutibile e discussa è una cosa, incitare allo sgozzamento di tutte le suore di un villaggio è un’altra. In ogni caso, comunque, chi appoggia un atto che nella sua comunità è considerato illegale, deve sapere che cosa sta facendo e deve essere pronto ad accettare le conseguenze pratiche che ne derivano.

 

6. Si può ricorrere alla violenza fisica per l’affermazione di un ideale? Quali sono, se ci sono, i valori per la cui difesa varrebbe la pena ricorrere alla violenza o sacrificare la propria vita?

Qui si pone il grande problema della rivoluzione. Personalmente credo che le rivoluzioni abbiano fatto più bene che male alla Storia umana, e dunque ne deduco che in certi momenti storici la violenza fisica per l’affermazione di ideali di libertà o di eguaglianza economica sia giusta. In Occidente ormai la parola “rivoluzione” è di fatto impronunciabile, ma questo dice qualcosa contro l’Occidente, non contro la parola. Da noi si è talmente sopravvalutata la vita umana che ormai nessuno è più disposto a spenderla per un ideale; mandiamo in guerra i droni telecomandati perché anche la vita di un solo nostro aviatore è considerata più preziosa di migliaia di vite “selvagge”. Si dice in giro che la vita di un solo bambino è più preziosa dell’intero Louvre; salvo poi far morire molti bambini per obesità, o molti adulti per alcolismo, pur di non alterare la nostra idea di benessere. Se si tiene conto di molti dati dell’ecologia, forse stiamo sacrificando la vita dell’intera umanità per semplice insipienza e conservatorismo consumista. Io, come quasi tutti i vecchi, sono assai conservatore e ci tengo ai pochi anni che mi restano: ma se arrivasse qualcuno che vuole distruggere tutta l’arte rinascimentale, mi farei saltare in aria per impedirglielo.

 

7. I valori della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 sono assoluti e universali o tutto è soggetto alla storia e non esistono valori indiscutibili?

Non esistono valori sottratti alla Storia, come alcuni secoli fa ci ha insegnato Montaigne. Questo valeva in modo molto più evidente quando ancora le società erano separate e nessuna omologazione era cominciata. Mangiare il cadavere del proprio nemico per introiettarne il coraggio pareva in molte parti del mondo un’azione più che sensata, anzi obbligatoria. Ancora oggi, in molte zone dell’Africa, la voce del morto ha valore testimoniale nei processi. Non dappertutto è condannato l’incesto. Più il mondo diventa unico, maggiore diventa la necessità di regole valevoli universalmente. Ma forse una vera Dichiarazione sarebbe meglio farla a omologazione avvenuta, e non considerare ne varietur una Dichiarazione scritta quando l’Occidente dominava indisturbato. L’unico detentore di valori indiscutibili è ovviamente Dio, ma quale dio (e se Dio) è ancora in discussione. Parlando in termini di cultura umana, nessuna Dichiarazione potrà mai impedire alla bio-diversità culturale di esercitare il proprio fascino.

 

8. Si può dire che è in atto uno scontro fra due o più civiltà diverse e inconciliabili? E se sì, quali sono le cause di questo scontro (culturali, religiose, politiche, economiche, ecc.)?

Lo scontro tra le civiltà è il motore stesso della Storia, e ogni civiltà che si rispetti risulta inconciliabile con le altre. Sarebbe preoccupante se scontri tra le civiltà non ce ne fossero più, vorrebbe dire che una ha prevalso su tutte le altre ed è stata considerata la migliore di tutte. Nessuna religione, per esempio, è moderata: tutte devono desiderare che la salvezza (la loro salvezza) sia estesa a tutti gli uomini. Ogni Potere (democrazia compresa) censura l’apologia del Potere precedente; la democrazia non tollera che si parli in modo radicale contro la democrazia. Forse si potrà arrivare a una ragionevole regolamentazione degli scontri, limitandone gli ambiti e moltiplicando la diplomazia internazionale; ma credo che le guerre dureranno quanto l’umanità, e meno male. Altrimenti l’ingiustizia, soprattutto economica, o l’oppressione del più forte sul più debole verrebbero istituzionalizzate e sarebbero gettate nell’inconscio. Io appartengo alla prima generazione di italiani che ha vissuto settant’anni completamente senza guerre sul proprio territorio, ma non sono sicuro che sia stato un bene.

 

9. È possibile mettere a confronto e stabilire quale sia il migliore tra sistemi di valori di differenti civiltà?

No, naturalmente. Esistono però civiltà che si trovano a differenti gradi di sviluppo, civiltà che hanno conosciuto periodi di espansione e altri di regressione depressiva; di illusione arrogante o di lunga stagnazione. Compito degli intellettuali di ogni parte (per quanto conta, e per quanto possano essere ascoltati dal Potere) è quello di fare il punto sulla propria civiltà, confrontandola con le altre, e di togliere ai contemporanei ogni convinzione di supremazia, denunciandone le storture ed evidenziandone le derive.

 

10. Qual è lo stato della libertà di espressione in Italia? Ci sono argomenti tabù su cui risulta difficile o impossibile esprimersi liberamente?

Mi pare che in Italia, tutto sommato, si sia abbastanza liberi; forse più liberi di quanto la nostra scarsa originalità ci spinga a sperimentare. Ci sono autocensure inconsapevoli che ci fermano molti metri prima del filo spinato. Però argomenti tabù esistono, e come. È difficile o impossibile esprimersi liberamente su: a) Falcone e Borsellino; b) la pedofilia; c) l’Olocausto; d) la mafia e la criminalità organizzata in genere; e) l’isis e i terroristi islamici. Tanto per fare alcuni esempi. Ricordo con raccapriccio un’interrogazione parlamentare sul fatto che nella fiction Capri era comparso il personaggio di un camorrista affettuoso con una donna di cui era stato un tempo innamorato (con la motivazione che un camorrista non può avere “lati buoni”, e che il suo sentimento dev’essere per forza cattivo sentimentalismo).

 

Marco Cubeddu (Genova, 1987), ha pubblicato i romanzi «Con una bomba a mano sul cuore» (Mondadori, 2013) e «Pornokiller» (Mondadori, 2015). Scrive su diverse testate, tra cui «La Lettura» del «Corriere della Sera», «Link - idee per la tv», «Il Secolo XIX», «Panorama», «Il Giornale» e «Linkiesta». È caporedattore della rivista letteraria «Nuovi Argomenti». Vive tra Roma e Milano. «L'ultimo anno della mia giovinezza», reality letterario sulla vita di Costantino della Gherardesca, esce per Mondadori il 30 gennaio 2018.