La bruja / Parte prima

da | Ott 1, 2013 | Senza categoria

Con la punta del coltello Siomara incide nella cera il suo nome e quello del ragazzo. Ripete l’operazione con cura estrema sull’intera superficie della candela, in modo che non resti neanche un millimetro scoperto. La solleva di fronte agli occhi, la osserva per qualche secondo. La poggia accanto a sé, stando attenta che quel grosso cilindro di cera stia in piedi. Senza togliere i guanti di lattice, Siomara estrae dalla borsa una boccetta scura, un fazzoletto di stoffa accuratamente ripiegato, una bustina di plastica, un flacone con un contagocce. Le sue labbra ripetono ossessivamente una preghiera con un filo di voce, quasi in trance. Svuota la bustina di plastica nella prima boccetta, sembra pepe nero, poi aggiunge un liquido grigioazzurro col contagocce. Spiega il fazzoletto, svelando due minuscole fotografie ritagliate. Le preme una contro l’altra e lascia cadere anche quelle nella boccetta. Istintivamente si volta per accertarsi che non ci sia nessuno nei paraggi, ma a parte un paio di zingari che transitano con un carretto a una decina di metri, la colombiana è sola, e la sponda del fiume deserta. Estrae dalla borsa un preservativo avvolto in un pezzo di carta e chiuso con un nodo. Lo scioglie e fa scorrere lo sperma sulle fotografie. Poi avvolge la boccetta con uno spago nero. Prova ad accendere lo stoppino del cero, le mani a coppa attorno al fiammifero, ma il vento spegne la fiamma. L’erba alta intorno a lei si piega a una folata improvvisa. Siomara è contrariata: questi rituali non ammettono alcun tipo di interferenza. Per un attimo ha smesso di recitare la sua preghiera. Mancanza imperdonabile. Deve restare concentrata, focalizzarsi su Davide. Riprova ad accendere il cero, stavolta tutto fila liscio, lo colloca dietro una pietra in modo che il vento non lo disturbi. Raccoglie il resto nel fazzoletto, compresi i guanti di lattice, si scioglie i capelli, va verso il Tevere che scorre davanti a lei, lancia il fagotto nell’acqua limacciosa. Il rombo del traffico dalla strada arriva come attutito, ovattato. Sul viso le affiora un sorriso. Si chiede se non abbia dimenticato qualcosa, se abbia rispettato l’ordine del rituale, in fondo con la magia non ha la dimestichezza che vuol far credere. E soprattutto cerca di ricordare se qualcosa di ciò che ha maneggiato finora sia entrato in contatto con lei, con la sua pelle. Questo non deve assolutamente accadere. Ma il naso non pizzica, segno che quella specie di pepe macinato non è volato fino alle sue narici, e le mani le sente secche, come è giusto avendo usato per precauzione guanti sterili. Le manca soltanto di interrare la boccetta nel vaso delle gardenie che tiene in balcone: l’effetto, secondo i suoi calcoli, dovrebbe manifestarsi presto. Siomara trasalisce, un dubbio le si accende nella testa. Afferra l’agenda che tiene nella borsa e comincia a sfogliare rapidamente le pagine. Legge il numero diciannove alla data di oggi. Socchiude gli occhi, rilassa i muscoli improvvisamente tesi. La brujerìa è salva: queste sono faccende che devono essere sbrigate esclusivamente nei giorni dispari. Si allontana dalla riva, il sole sta tramontando dietro i palazzi, la luce radente fa luccicare la sua pelle ambrata e imperlata di sudore. Forse, si dice avviandosi verso la fermata dell’autobus, stanotte sarà la prima dopo tanto tempo in cui non si dibatterà in preda ai soliti incubi.

Il ventilatore che ronza sul comodino non basta, anche se ormai il sole è tramontato lasciando nel cielo striature vermiglie. L’aria continua a essere densa, irrespirabile. Davide ha la maglietta incollata alla pelle per il sudore. E le pareti della stanzetta nel soppalco sembrano termosifoni a pieno regime. Ha la sensazione che le lenzuola grinzose si divertano a pizzicargli le gambe nude. Uscire in strada è l’unica alternativa per sfuggire a quell’afa insopportabile, anche se poi fuori non è che vada tanto meglio. Ha dormito tutto il pomeriggio, o piuttosto ha tribolato per il caldo, chiedendosi che fine abbia fatto Siomara. Andare al mare, a Ostia, è una possibilità che non ha nemmeno preso in considerazione, il solo viaggio in auto fin lì, nella sua auto senz’aria condizionata, gli pareva un sacrificio insensato. Mentre girovaga in ciabatte, shorts e canottiera per le stradine del quartiere Due Ponti, che sembra un microcosmo ai margini di Roma, un villaggio di immigrati che si annidano in angusti appartamenti incastonati in palazzine basse e fatiscenti, alternate a decorose villette riservate agli italiani, il suo unico pensiero è rivolto allo stomaco. La canicola non gli ha tolto la fame. All’incrocio di tre viuzze, un paio di marìcas, di trans brasiliane confidano di intercettare, con i loro seni e glutei gonfiati dal silicone bene in mostra, qualche cliente. Più tardi, di notte, migreranno verso l’Acqua Acetosa, ma intanto sperano in un colpo di fortuna per avvantaggiarsi. Sono annoiate, nervose, il lavoro scarseggia, qualche auto della polizia ogni tanto fa il giro e le rispedisce a casa, sapendo perfettamente che non ci metteranno molto a sgattaiolare fuori dai loro tuguri per tornare ad adescare in strada. Sul muro di una palazzina campeggia una scritta fatta con una bomboletta spray, fantasia criminale, proposito di futuri linciaggi: AL ROGO I TRANS. Ma le due brasiliane non ci badano. Probabilmente “rogo” non sanno neanche cosa vuol dire. Davide si avvicina, loro gli rivolgono un cenno di saluto. Indossano pantaloncini cortissimi per mettere in risalto le forme scolpite dai chirurghi plastici, e soprattutto il rigonfiamento sulla patta. Ecco cosa cercano davvero i clienti in loro.
-prendi il fresco?-
– avete visto Siomara?-
Quelle si guardano senza espressione. Denise, la più alta, quasi un metro e novanta, sogghigna, -ti sei perso la bruja, la tua strega?-
Davide sorride. Sentirla chiamare così gli fa uno strano effetto.
-la mia strega forse si è scordata dove abita-
Denise ride, una risata sguaiata, oscena, esponendo più di un dente marcio. Abbassa un poco il reggiseno, fino a mostrare uno spicchio del cerchio scuro dei capezzoli.
-sto morendo di fame- fa Davide.
-se vuoi, a casa ho da mangiare- lo invita la brasiliana, rendendo la sua voce più femminile possibile.

Una signora di mezza età in tailleur azzurro ha appena parcheggiato la Mercedes a qualche metro di distanza. Scende dall’auto trascinando con sé un bambino grassoccio, e provvede all’istante a coprirgli gli occhi con la mano perché non si accorga di quelle due amazzoni nere spudoratamente svestite. Procede a passi svelti verso il suo portone, lanciando occhiate di disgusto. Borbotta qualcosa scuotendo la testa, e scompare lungo il vialetto.
Djalma, l’amica di Denise, sputa qualche parola in portoghese, poi –‘ste vecchie hanno paura che gli freghiamo i mariti,- ridacchia, -dovrebbero vedere che numeri si inventano quando stanno soli con noi- Si accende una sigaretta -Tanto- continua, -in Brasile non possono rimandarci. Che si crede, siamo rifugiate politiche, noi!- e scoppiano tutt’e due a ridere.
Denise punta ansiosamente gli occhi in quelli di Davide, -ti sei messo a fare l’autista,eh?-
Lui alza le spalle, non credeva che la voce si spargesse così in fretta, –sì, comincio domani- risponde, come se si trattasse di un vero impiego.
-allora sei tu che ci porti al lavoro adesso-
-non solo al lavoro, pure in giro se dovete fare qualche spesa, o da qualsiasi parte-
Denise gli sorride. I suoi occhi gialli, malati, per un attimo scintillano.
-ci vediamo- taglia corto Davide, e si avvia verso il supermercato. Non spera di trovarlo aperto a quest’ora, ma tanto a casa che ci torna a fare? D’improvviso, si accendono i lampioni. Molti però mandano luce a intermittenza, sfrigolando. Ai margini della strada ogni tanto incappa in una bottiglia di rum e accanto una ciotola con gamberi crudi e mais. Sono offerte delle prostitute brasiliane ai loro dèi, perché le proteggano da ladri e assassini mentre battono.

Un gruppetto di rumeni brinda attorno a un camioncino. Davide li saluta e loro ricambiano amichevoli, tra zaffate di birra calda e sudore. Non si può dire che riesca a mimetizzarsi fra loro, né passerebbe mai per un sudamericano, ma il suo curriculum non mente: ha mollato famiglia e studio e vive da più di un anno in quel posto, per cui è stato accolto di diritto tra gli avanzi anonimi della società; e anche se questa nuova posizione non lo inorgoglisce, ormai l’ha accettata come dato di fatto, così ha smesso di rimuginarci sopra.
Adesso un autobus arranca fino alla fermata lì vicino. Tra i passeggeri che scendono individua Siomara. Lei lo riconosce all’istante, da lontano. La rabbia istintiva di vederlo gironzolare senza meta, stuzzicando chissà quale puttana, svapora man mano che gli si avvicina, perché come sempre la vista di quel ragazzo giovane e forte, spalle larghe, gambe abbronzate e muscolose, il viso da angelo perverso, le provoca un secco sussulto di eccitazione che nemmeno stavolta, per quanto si sforzi, riesce a trattenere.

Ha la faccia larga e paffuta, naso a patata, un vistoso doppio mento, cappello schiacciato sulla fronte, ciondoli, collane, pentolini gli pendono dal collo e dalle piccole braccia alzate. Le colombiane lo chiamano l’ekèko. Assomiglia vagamente a uno gnomo, o a un folletto. È una statuetta di legno di una ventina di centimetri, Siomara la tiene sulla mensola in camera da letto, stando sempre attenta che abbia un bel sigaro nuovo infilato in bocca, e qualche goccia di aguardiente nel bicchierino che ha in mano. A Davide ha spiegato che si tratta di una sorta di portafortuna, un piccolo idolo che assicura fecondità e allegria in cambio di tabacco e alcol. Davide non capisce come faccia lei a credere a certe storie: d’accordo, è colombiana, e viene da una famiglia povera, ma le ripete che il buon senso è un’altra cosa. E poi Siomara insiste nel cambiargli i sigari, perché a suo dire l’ekeko riuscirebbe anche a fumarli. Chiunque abbia realizzato questa statuetta, poi, le ha impresso, chissà se di proposito, un’espressione beffarda, sardonica. I tratti del viso, le rughe attorno alle guance e sulla fronte, gli occhi, la bocca, sono intagliati con grande accuratezza e precisione, mentre il resto è più che altro sbozzato. Ciò lo rende ancora più inquietante: in qualsiasi angolo della stanza ti muovi, hai l’impressione che lui ti stia fissando. Davide ha provato a spostarlo in salotto, ma su questo punto Siomara è inflessibile: l’ekeko deve restare al suo posto, in camera da letto.

Adesso lei sta uscendo dalla doccia, un po’ infreddolita perché non usa acqua calda convinta così di tonificarsi. Si osserva allo specchio: ha superato da poco i quarantasei, ma a chiunque glielo chieda ne dichiara dieci di meno. E il bluff funziona. Solo le gambe cominciano a sformarsi, a perdere tono. Per il resto, fatta eccezione per le rughe sottili che si intravedono sul collo, il suo corpo si mantiene sorprendentemente intatto, elastico. Merito delle interminabili sedute in palestra, di diete ferree, e di qualche intervento notevolmente costoso. La sua unica grande, segreta paura è che un bel giorno, come certe sue amiche, debba arrendersi a un inevitabile tracollo fisico. L’idea la terrorizza. Soprattutto perché, a quel punto, agli occhi di Davide, che ha la metà dei suoi anni, apparirebbe come una vecchia prostituta senza più alcuna attrattiva. Perciò, per sfuggire a questa fantasia agghiacciante, cura meticolosamente il suo aspetto anche in casa, rinuncia alle scarpe basse prediligendo tacchi vertiginosi, scollature eccessive, forse volgari ma di sicuro effetto, biancheria ricamata, smalti chiassosi, acconciature impeccabili. Il suo armadio è pieno di vestiti di ogni taglio, tutto ciò che i suoi genitori non hanno mai potuto darle da ragazza, lei è riuscito a ottenerlo.
-dove sei stata tutto il pomeriggio?- la voce di Davide la scuote dai suoi pensieri. Il ragazzo è imbambolato davanti all’enorme schermo che lei gli ha regalato una settimana fa perché potesse vedere le partite della Roma in HD con campo e giocatori cubitali.
-dalla manicure- risponde Siomara sfuggente, inibendo ogni possibile sviluppo di conversazione con il rumore dell’asciugacapelli.
-ho fame, F-A-M-E, hai capito?- ripete Davide come un bambino piagnucoloso.

La mulatta rivolge un ultimo sguardo di approvazione alla sua immagine riflessa e scende al piano sottostante a preparare la cena. Una ventina di minuti e risale con due piatti colmi di riso, wurstel sommersi dal ketchup, melanzane arrostite, patate fritte. Ha dimenticato le birre nel congelatore, in un attimo porta su anche quelle. Davide quasi affonda la faccia nel suo piatto. La colombiana adora vederlo mangiare, le piace provvedere a ogni necessità del suo giovane despota. Dopo più di un anno di vita insieme, da quando lui si è trasferito nel suo appartamento, l’amore per quel ragazzo si è fatto ossessivo. Il ritmo con cui Siomara spediva mensilmente una parte cospicua dei soldi guadagnati qui a Roma in Colombia, alla sua famiglia, è decisamente rallentato, le somme si fanno sempre più esigue, il suo progetto di acquistare un quinto appartamento a Bogotà sta sfumando perché Davide la assorbe completamente. Provvede a lui come fosse un figlio, più che un marito. E Davide ricambia con un sentimento indecifrabile e spericolato, frutto dei suoi ventitré anni, che non esclude svariati tradimenti. Ma Siomara è convinta che, per quello che ha fatto oggi al fiume, le cose sono destinate a cambiare.

Sbarcata in Italia per sfuggire alla miseria, in quindici anni di prostituzione è riuscita ad accumulare somme che i suoi fratelli non si sarebbero mai immaginati, e non può credere che ora stia deragliando così drasticamente dai suoi progetti per un uomo. Ma è come se fosse lei ad essere stregata da questo ventenne biondo di una bellezza irruenta, insidiosa, del tutto inetto alle questioni della vita quotidiana, pigro e spavaldo.
-il lavoro al bar prosegue?- Siomara sa già la risposta, è un tentativo fallito in partenza.
– non mi ci far pensare. Pagano una miseria, e io tutto il giorno devo stare lì a fà lo schiavo- Spezza un wurstel con i denti, il ketchup gli macchia le labbra.
-hai deciso di lasciarlo?- le parole di Siomara galleggiano per un istante, inconsistenti.
Davide corruga le sopracciglia, – l’ho già fatto-, dice infastidito, e riprende a masticare.
La colombiana sospira. Gli accarezza le cosce ricoperte da finissimi peli biondi. –mi avevi promesso che…- Davide la raggela con lo sguardo, lei non osa continuare.
-non ti arrabbiare- si addolcisce Siomara, -non ti arrabbiare sempre-
-e tu non farmi sempre le stesse domande- ribatte lui, con un grosso boccone che gli gonfia la guancia.
bizcocho, non voglio che sprechi tutto il giorno qui,- azzarda Siomara, anche se in fondo non è la verità. Se dipendesse da lei, se non fosse suscettibile ogni tanto di qualche scrupolo, lo terrebbe sempre prigioniero nell’appartamento. Per essere sicura che il ragazzo non possa sfuggirle.

Le dita della colombiana sfiorano l’elastico degli slip di Davide, risalgono sui suoi addominali robusti, fino al petto, ai capezzoli. Lui continua a fissare lo schermo, poi ruota lentamente la testa. Il profumo della donna sovrasta quello del cibo, ha l’impressione di mangiare un pezzo di lei. – non lo tocchi il tuo piatto?- le chiede. Siomara addenta una fettina di melanzana. Mastica lentamente, mentre continua ad accarezzarlo. Sente gonfiarsi poco a poco sotto le sue dita una grossa erezione. Preme il naso, la bocca, sul suo collo solido, gli bacia l’orecchio. Davide non la ignora, ma nemmeno la incoraggia, diviso tra cibo e tv. La colombiana si spazientisce, dà un ultimo morso alla carne, poi si accende una sigaretta. -se non vuoi fare un lavoro normale non farai nient’altro, nada!- sbotta. Davide alza il volume, -ti ho detto che mi sarei messo a fare l’autista, è un modo per guadagnare qualcosa. Così non devi più mantenermi- ammette candidamente.
-sì! Proprio tu che non alzi il culo neanche se ti pagano, vuoi dirmi che da adesso farai avanti e indietro. Non ci credo, papito
-vedremo-
-e poi l’idea che stai tutta la notte insieme a quelle prostitute non mi piace per niente-
-fidati di me-
-no che non mi fido. Pensi di fare il furbo così, di avere una buona scusa per scopartele-
-senti, Siomà…-
Ma lei fuma sempre più nervosamente adesso, fa su e giù per la stanza. Di colpo si allunga sul letto, gli afferra il pene da dentro le mutande, glielo stringe fino a stritolarglielo, -questo però non ti servirà, stai sicuro che ormai è solo per me!-
Davide la allontana con una spinta, -ma che ti sei impazzita?- si ritrae.
Siomara alza la testa al soffitto –Dios mío, in che momento mi sono messa in esta vaca loca?- farfuglia tra sé.
-eh, che dici?-
-in che momento mi sono innamorata di questo ragazzino!- cantilena la colombiana. Poi cerca di riprendere il controllo, -e tutti i progetti che mi dicevi? Lavorare seriamente, farsi una posizione…ai tuoi genitori non ci pensi? E i tuoi anni di studio?-
Davide fa una lunga sorsata di birra – Di cosa parli? Allo scientifico ci sono andato solo perché mio padre mi ha obbligato, e mi hanno pure bocciato due volte. La scuola non era per me. E poi, ormai, che lavoro dovrei fare?-
-Ormai? Hai solo ventitré anni, magari avessi io la tua età!-
-i miei genitori, con me, hanno perso le speranze- dice in un sussurro rassegnato.
-sei tu che hai perso la speranza- Siomara ha colto nel segno. Il ragazzo ammutolisce.
-basta parlare di ‘ste cose, mi fanno passare la fame-
La colombiana non insiste. L’ultima cosa che vuole è umiliarlo. Gli scocca un bacio sulla bocca.

Porta il piatto vuoto e la birra di sotto. Domani dovrà darsi da fare, il lavello è stracolmo. Sono anni che si ripete di procurarsi una lavastoviglie. Sente bussare alla porta. Pensa a un cliente, ma di solito quelli usano il campanello a qualsiasi ora, non si fanno tanti scrupoli toccando con le nocche. Guarda dallo spioncino, apre, sulla soglia si materializza una ragazza alta poco più di uno e cinquanta, attraente, sexy, seni grossi e vita strettissima, minigonna e camicetta nera trasparente.
hola mamita, como estas?- fa la ragazza, andando a sedersi sul divanetto del salotto.
Siomara fa scorrere l’acqua sui piatti, -Diana, che fai qui a quest’ora?-
Diana le restituisce uno sguardo interrogativo, -come, hai dimenticato la festa di Raffaella? È il suo compleanno-
Sì, Siomara l’aveva completamente dimenticato.
-muoviti. Andrea ci aspetta qui sotto per andare tutti insieme. Davide è pronto?-
L’amica scuote la testa.
-ah, sempre voi due! – sorride, -vi do dieci minuti-.
Siomara è indecisa: ma il regalo, ora lo ricorda bene visto quanto le è costato, lo ha già impacchettato, e inoltre può essere l’occasione per sfoggiare le sue nuove scarpe color pesca abbinate alla maglietta rosa a rete. –muy bien, aspetta qui- dice, e sguscia di sopra.

Diana incrocia le braccia e fa girare lo sguardo per l’appartamento: un buco di una sessantina di metri quadri, pieno di chincaglierie, ma pulito e luminoso. Angioletti verniciati d’oro che spuntano dalle mensole, piante e fiori dappertutto, foto di Siomara in discoteca o a qualche concorso di bellezza, una grossa croce di marmo appesa alla parete con sotto l’immagine di padre Pio, un gigantesco orso bianco di peluche in piedi sotto le scale a chiocciola che portano alla camera da letto. Diana si chiede se anche lì Siomara abbia riverniciato di azzurro, come il resto della casa. Osserva il tappeto sotto i suoi piedi: riproduce un cielo stellato, al centro una cometa. Ma ciò che veramente le invidia è un elefantino ricoperto di brillantini che troneggia sul tavolo. A confronto, quasi tutti gli appartamenti delle altre prostitute lì a Due Ponti sono scabri, bui, e soprattutto sporchi. E questo, di solito, scoraggia i clienti a tornare.

Andrea, dalla strada, si è fatto sentire con due lunghe strombazzate di clacson. Diana guarda l’orologio: è già un quarto d’ora che aspetta. Quando finalmente li vede scendere, è affondata nei cuscini del divano. Ma il suo sguardo, inevitabilmente, indugia solo una frazione di secondo su Siomara, calamitato dal ragazzo alle sue spalle: giacca blu sportiva, camicia aperta sul petto, jeans e mocassini, i capelli biondi pettinati da un lato, occhi verde acqua, Davide sorride scoprendo denti bianchissimi. Se non fosse per l’amicizia che lega le due colombiane da anni, per le sofferenze patite insieme nelle notti sul marciapiede, Diana non si limiterebbe a qualche sguardo fugace. Deve ammetterlo: quanto a uomini, Siomara ha sempre avuto una fortuna sfacciata.

Raffaella riceve gli invitati sulla porta spalancando teatralmente le braccia, li fa accomodare nel suo appartamento accertandosi che quelli depositino il regalo sul tavolo, neanche fosse una cauzione. Ma quest’anno i pacchetti che ha ricevuto si contano sulle dita di una mano. I più non si sono premurati di comprarle qualcosa. Colpa del lavoro, certo. Cinque, diciamo pure due anni fa, una cosa del genere era impensabile. Gli incassi delle prostitute, che siano donne o trans, negli ultimi dodici mesi segnano una flessione mai vista. Perciò presentarsi a mani vuote a una festa, al massimo con del vino o una teglia di insalata di riso, sta diventando la norma. Raffaella è amareggiata: una festa senza regali è già di per sé un flop, pensa. E poi il suo salotto è stato preso d’assalto da una quantità sorprendente di transessuali brasiliane. Le connazionali colombiane passino, ma le altre si sono intrufolate senza invito sicuramente per riempirsi la pancia e tomar, ubriacarsi. L’arrivo di Siomara le restituisce ossigeno: se non altro su di lei si può sempre contare. È una della vecchia guardia, di quelle che ai bei tempi regalava collier e bracciali d’oro, e poco importa se ora si limita necessariamente a un profumo firmato Gaultier. In mezzo a ‘sto branco di pezzenti, pensa Raffaella, spicca lo stesso, incontrastata. E poi il ragazzo che si porta dietro è un’ottima pubblicità. Dal canto suo Davide si affretta a prendersi da bere e si concede qualche minuto per scrutare la fauna di stasera. Quei corpi che già si intrecciano sulle note dei balli latini che escono dallo stereo, tra top e minigonne, lo eccitano. E sapere che ci sono uomini, una cascata di uomini che pagherebbero per trovarsi adesso al suo posto lo ringalluzzisce. A confronto, le feste degli amici che sta perdendo con gli anni è roba da liceali in gita scolastica. Gli basta fissare lo sguardo in un punto qualsiasi del salotto per intercettare schiene scoperte, luccicanti decolleté, labbra piene e vive di rossetto. Gli uomini sono pochi. Un pappa rumeno, un paio di colombiani, Andrea e un autista attempato.

Una venezuelana sui venticinque gli afferra la mano e lo invita a ballare. Lui si butta anche se non sa niente di rumba e cha cha cha. Si dimena come in discoteca, Siomara non lo molla un istante, lo tiene d’occhio, mentre la giovane gli sorride. Davide si sbarazza della giacca, arrotola le maniche della camicia ai gomiti, beve e ondeggia le braccia versando il suo rum e coca. Per la stanza si spande un lieve odore di erba. Ma siamo ancora al principio: la fila per il bagno si formerà più tardi, quando Filippo farà la sua comparsa portando il carburante per la nottata. E a quel punto tutti questi nasini ritoccati alla francese lo seguiranno ipnotizzati, diventeranno un’unica grande proboscide.

I volti attorno a quello del ragazzo sembrano maschere di trucco cui è impossibile attribuire un’età precisa. Per una notte, di fronte alle altre, ciascuna ha occultato come meglio poteva, con fard e rimmel abbondanti, i graffi del tempo e del loro mestiere logorante.

Davide si asciuga col polso il sudore dalla fronte, e si dilegua in balcone alla ricerca di aria fresca. Daisy, la venezuelana con cui stava ballando, lo ha lasciato per andare in bagno. Si accende una sigaretta stando attento che il suo sguardo non venga risucchiato dal donnone di colore addossato alla ringhiera; conosce la cubana che sta tentando di agganciarlo, ha fama di irascibile e cicalona. Proprio il tipo da cui stare alla larga. Quando ha l’impressione che lei stia per attaccare bottone, il ragazzo sguscia immediatamente in salotto, si avvia verso il bagno sulle tracce di Daisy. Passando davanti alla cucina nota Siomara, Diana e Raffaella piegate a sbirciare nel frigo. Gli danno le spalle e lui si ferma sull’uscio a osservarle. Bisbigliano. Diana dà un bacio a Siomara sulla guancia, dice Dios te bendiga. Siomara le rivolge un sorriso affettuoso, le stringe le mani nelle sue, chiude gli occhi. Diana sembra nervosa, si tranquillizza a fatica, abbozza un sorriso. Le tre amiche dicono qualcosa in spagnolo, all’unisono, e escono dalla cucina. Davide ha già intuito, afferra il braccio di Siomara, -che succede?- Lei simula uno sguardo incolpevole. -Che facevate?- insiste, -un’altra delle tue stupide stregonerie?- Siomara alza le spalle, stringe la mano di Davide e senza parlare lo pilota in salotto. Due giovani colombiane, snelle e brune, si fanno incontro, Davide non le ha mai viste, probabilmente è poco che sono in Italia. Infatti chiedono a Siomara consigli; sono totalmente inesperte, vogliono sapere come pubblicare annunci su internet, a chi rivolgersi per avere un posto tutto loro all’Acqua Acetosa, dove trovare un appartamentino a prezzo stracciato. Davide prova a decifrare il discorso, non è mai riuscito a imparare veramente lo spagnolo, e poi quelle parlano come mitragliatrici, stargli dietro è un’impresa. Vuota il quarto o quinto bicchiere, non ricorda, ma è da quando è arrivato che non smette di bere. Lascia Siomara con le debuttanti, è ancora alla ricerca di Daisy, la vede, anche lei lo nota e gli fa cenno con la testa. Sente un formicolio alle mani, segue la venezuelana nello stretto corridoio che arriva alla camera da letto, lei apre la porta di un piccolo sgabuzzino buio e umidiccio, pieno di stracci e scope. Si rifugiano svelti lì dentro, e prima che lui possa fare qualcosa la ragazza gli sta già slacciando i pantaloni. Davide le tiene la testa tra le mani, i capelli raccolti in uno chignon emanano odore di shampoo alla frutta. Lui comincia a sudare, sente il suo pene ingrossarsi mentre lei prende a leccarlo, a stuzzicarlo abilmente con la lingua prima che le riempia la bocca. Davide cerca i suoi seni, sono piccoli, sodi, sembrano assolutamente naturali, la pelle liscia, bollente, lentamente si ricopre di un velo di sudore. Il ragazzo irrigidisce le gambe, trova il sostegno del muro alle sue spalle, lei in ginocchio lo masturba con movimenti vigorosi, preme la bocca sul marmo delle sue cosce, muove la mano sempre più veloce, Davide strizza gli occhi, eccitato, ma non riesce a tenere l’erezione. Il cazzo continua a sgonfiarsi, ha bevuto troppo forse, la venezuelana si spazientisce, si piega sfregandogli il sedere sul cazzo, ma niente, lui ci riprova ma si sgonfia di nuovo, senza spazio per muoversi si sente soffocare. Il sudore gli brucia gli occhi, gli cola lungo il naso, in bocca, sul petto. –Sei ubriaco?- gli chiede Daisy con una frustrazione immensa nella voce, lui si limita a mugugnare, non sa che dire, come rimediare. Annaspa a caccia delle ultime molecole d’ossigeno, prova a svuotare la testa, a ritrovare la calma, l’espediente funziona, spalanca gli occhi nell’oscurità, Daisy emette finalmente un sospiro di piacere, lui le artiglia i fianchi imprimendo colpi secchi, potenti, adesso non vuole mollare, la schiaccia contro la parete, una scopa precipita colpendolo col manico dritto in testa, Davide non fa una piega, prosegue cercando di non fare rumore mentre la testa della venezuelana china in avanti sbatte ritmicamente contro la parete. Finché viene, esausto, lasciandosi cadere di schianto sul pavimento. Daisy si asciuga con un fazzoletto, ride, -ci hai messo un po’, ma alla fine…- Davide ride per smaltire la tensione. Per un attimo era sicuro di non riuscirci, la prima volta in vita sua in cui sfiora l’umiliazione di un fiasco. Nel buio si sente solo il loro ansimare. Davide sa che deve sbrigarsi altrimenti Siomara potrebbe insospettirsi. Apre la porta, solo uno spiraglio per controllare la situazione. Nessuno in vista. Sguscia fuori e prima di tornare in salotto si rende conto che deve darsi una rinfrescata. Il bagno è occupato perciò opta per la cucina. Si sciacqua il viso, asciuga il petto. Prima di andarsene decide di dare una sbirciata nel frigo. Non trova niente, se non bottigliette d’acqua, pomodori, scatolette. Apre lo sportello del congelatore. Nascosta dietro un pacco di bastoncini Findus, nota una mela tutta infilzata di stuzzicadenti. Tombola. Non si sbagliava. Ha già visto una cosa del genere, mesi fa, è stata Siomara a mostrargliela. Sa già che è stata spolpata, e che all’interno troverà dei foglietti attorcigliati con scritti due nomi. La afferra, la mela ghiacciata si apre senza sforzo, srotola il primo foglietto, lo legge, e non ha bisogno di sapere altro. Rimette tutto al suo posto, scatola Findus compresa. Di colpo un fracasso di vetri spaccati lo fa sobbalzare. Si precipita in salotto, Adrian, il giovane rumeno, brandisce una bottiglia di prosecco inveendo contro John, il colombiano. Nessuno osa intervenire, attorno a loro si è formato un cerchio di persone sbigottite come a delimitare un ring invisibile. Adrian ruota il braccio tenendo stretta la bottiglia, a stento si regge sulle gambe per tutto l’alcol che ha in corpo. Si sbarazza del tavolo scagliandolo contro il muro in modo che non lo intralci. Frittelle, patatine, crocchette, hamburger si spiaccicano per terra. John si fa avanti, riesce con uno scatto a bloccare i polsi del suo avversario e in perfetto stile da guappo napoletano gli assesta una testata a sfracellargli il naso. Il prosecco si frantuma sul pavimento, i due si annodano nella lotta, Adrian è ancora più stordito, il naso una poltiglia, prova a sferrare una ginocchiata, va a vuoto, Jonh lo colpisce di nuovo con un destro allo stomaco. A questo punto l’autista sessantenne si mette di mezzo,vent’anni al volante scantonando per sfuggire alle retate non hanno infiacchito i muscoli da ex body-builder, afferra entrambi per il collo come cuccioli cattivi e li scaraventa verso la porta. John reagisce, punta alla mascella ma trova un pezzo d’acciaio, l’autista incassa e stampa i suoi anelli alle dita sullo zigomo del colombiano. John e Adrian si ritrovano a ruzzolare per le scale della palazzina, Raffaelle esulta, starnazza di serrare la porta col catenaccio. –Leo, sei sempre una roccia- sussurra all’autista che in risposta flette i bicipiti gonfi di vene. Geraldine da sotto le ciglia posticce manda lampi di pura vanità; è stata lei, statuaria sedicenne dominicana, la causa di tutto, con il suo ambiguo flirterellare. Il salotto intanto è uno sfascio, sangue, aranciata, polpette, succo di pomodoro, vino, aguardiente, spumante, bacon, olio impiastrano il pavimento e il muro. Certi mobili sono ribaltati. E dagli appartamenti accanto arrivano le prime invettive degli inquilini svegliati dal chiasso. Speriamo che nessuno si metta a chiamare le guardie, pensa Davide. Ma ciò che sconvolge davvero i presenti, più di certe prodezze da Far West che non sono certo una novità nel quartiere, è che ormai non è rimasto più niente da bere. Raffaella ondeggia la testa afflitta, le mani inchiodate sui fianchi, mentre gli altri trattengono il respiro in un silenzio teso. Finché la padrona di casa rialza gli occhi, si avvicina a un armadietto al fondo della stanza, lo apre con solenne lentezza, tira fuori una scintillante bottiglia di whisky e un’altra tondeggiante di rum, lasciandone intravedere almeno un paio ancora, di riserva. Le alza sopra la testa come officiando a un rito studiato nei dettagli, tra le rovine del suo salotto, sotto gli sguardi rianimati di tutti. Si schiarisce la voce e ostentando uno strano sorriso che le si allarga sulla faccia, annuncia trionfante: –Puta madre, la festa continua!-

[continua…]

Giancarlo Liviano D’Arcangelo è nato a Bologna nel 1977, è cresciuto a Martina Franca e vive a Roma. Ha esordito nel 2007 con il romanzo Andai, dentro la notte illuminata (PeQuod), finalista al premio Viareggio. Nel 2008, con il racconto Ustica, il silenzio e il Segreto ha partecipato all'antologia La Storia siamo noi (Neri Pozza), che ha aperto il Festival delle Letterature di Roma. Nel 2011 ha pubblicato il reportage narrativo Le Ceneri di Mike (Fandango Libri, Premio Croce 2012, Premio Sandro Onofri 2012). È studioso di mass media e scrive di cultura per il quotidiano “l’Unità”.