I campi

da | Feb 6, 2018

Da Uova strapazzate e whiskey. Poesie 1991-1995, Copper Canyon Press, Port Towsend, 1996. Traduzione di Fiorenza Mormile

Da «I campi»
Per Marylin Hacker

«Sì, l’arte è un palliativo; ma la sostanza dell’arte è reale.
Sai creare qualcosa dal nulla?»
Ivan Tolkachenko

Quando spararono alla giovane
con i capelli castani
una goccia di sangue le oscillò
brevemente
alla base del naso
e il fratellino per un attimo
pensò a una lanterna.

*

Appena nacquero i gattini
il padre della bambina
fracassò la testa
di ognuno contro un masso.
Lei guardava. Questo accadeva
in un altro paese. Accadeva
in diversi altri paesi.

*

La città si divide tra quelli
che se ne stanno in un angolo buio di ciò che resta
delle loro case
e non vogliono vedere nessuno
e quelli che vanno fuori in ciò che resta
della strada
e non vogliono non vedere tutti.

*

Un passero entrò volando nel solaio
sopra la gente sdraiata sul pavimento
e svolazzò qua e là con gridi
e pigolii come se tentasse di bere
la luce dalle crepe ma alla fine
si posò su un pilastro di cemento rotto
e chiuse gli occhi.

*

Il mucchietto di bambini morti di fame
ricorda il mucchio di sterpaglia
ai margini di un bosco
in Alaska. Ciascuno svanirà
nella terra quasi
allo stesso ritmo dell’altro.

*

[…]

Dopo il loro arrivo
fecero un uso creativo della loro lingua a lungo,
per settimane e settimane,
coniando nuovi termini efficaci per la fame,
per Dio e per Satana,
per l’apparato,
finché il soggetto stesso venne meno e rimasero in silenzio.

*

[…]

Sto morendo perché sono nero, dice uno.
O perché sono povero.
O perché parlo male lo spagnolo o l’arabo.
O perché mi hanno trovato nel bar della Terza Strada.
O perché mio marito è scappato.
Sai, apparteniamo al mondo nonostante tutto
e ci aggrappiamo alle ragioni del mondo.

*

[…]

Il mondo non perdeva mai la sua bellezza. Ogni sua parte,
palude e savana, foresta e lago, cicatrici
di lava e fulmine ed erosione, brillava
nel sole. Ora ha questo campo e quello
e le migliaia di altri, campi quasi
ovunque. Perfino la parola campo un tempo indicava una distesa verde.

*

A volte i bambini
diventano giocattoli.
Gli tirano fuori
un pezzo di intestino
e glielo danno in mano
per vedere che cosa
ci faranno.

*

Quando un proiettile di artiglieria cade
in un determinato quartiere, quel che segue
è l’esodo immediato di parti del corpo e di altra attrezzatura,
e dopo l’esodo più lento. Di solito
vecchi e bambini, ma anche altri,
mutilati e malati, madri e cugini,
amici ed estranei – una compagnia improbabile – cammina
in fila, debole e malferma, a volte incalzata
da guardie armate o in altri casi no,
cammina, cammina, trascinandosi
per vicoli, piazze, attraverso ponti,
lungo strade polverose, attraverso campi,
dentro colline e foreste.

*

Dietro, a distanza o in agguato
nell’ombra ci sono cani selvatici. Grida
se puoi. Prega che ti sparino.

*

E alcuni restano indietro, sempre, in ogni villaggio,
senza essere trovati, come questa donna quarantenne
di origine incerta. È nera, bianca,
marrone, gialla, rosa? È a chiazze.
Un tempo era pienotta e ora la pelle
le ricade intorno come le pieghe di un abito di lana sporca
benché sia quasi nuda e le mammelle
vizze ricadano dal lato dove sta sdraiata, la gamba è
in cancrena, si vede già parte della tibia,
di un bianco inaspettato. Attende che il sole
le porti un po’ di calore mentre
guarda se stessa diventare uno scheletro.

*

Chi scrive queste parole è un vecchio
su un’anonima collina
dell’America del Nord
che scrive da sessant’anni perché questo
è il suo modo di stare al mondo, scrive
su pezzi di carta con mozziconi di matita o su blocchetti a poco prezzo dell’emporio, su una scassata macchina da scrivere
sopra una cassetta da arance in un appartamento invaso
dalle blatte a Chicago o in una piccola casa di campagna
su un computer, e scrive
da tutta una vita
nel deserto, sulla montagna, nella foresta,
su un magnifico masso nel bel mezzo di un torrente di montagna,
e scrive,
scrive anno dopo anno così come i pettirossi
si costruiscono il nido…
E se queste fossero le sue ultime parole?
E se queste frasi fossero la visione alla fine
di un’esistenza che non è mai riuscito a cambiare?

*

Canta poi l’amore
nei campi. Qualcuno
dà a qualcun altro
un sorso d’acqua.
La gente si tiene per mano,
una donna culla il suo bambino
finché
ce la fa. Uomini di fronte
alle raffiche dei mitra
contro il muro
si abbracciano appena prima
dello sparo. E questo
aiuta? Ah quanto era stata
ardente la speranza! Ma
nessuno lo sa, le prove
sono sparite.

*

[…]

Nel semplice quadro due donne di pelle scura
stanno stese con le mani
l’una tra le gambe dell’altra, dita
rovinate a riposo nelle vulve, una creatura
di otto o nove anni, girata sul fianco, il sesso
indefinito, si accarezza ma il braccio non regge
e cade giù, una moglie giace
col pene floscio del marito
contro la guancia. Sopra il campo come il crepuscolo
che scende quello che resta dell’amore
riposa sulle forme immobili.

Immagine: Gerard Byrne, Jielemeguvvie guvvie sjisjnjeli (Film inside an image), 2015-2016.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).