Una lunghissima rincorsa

da | Nov 6, 2014

Cinque testi da Una lunghissima rincorsa. Prose brevi, Introduzione di Andrea Inglese e illustrazioni di Ilaria Bossa, Roma, Bel-Ami Edizioni, 2014.

L’appartamento (cut-up n. 155)

Quando ne notava una la estirpava, ma di solito si riformava rapidamente, in un altro punto dell’appartamento. Una lotta impari. Ricrescevano come erbacce. Erano ragnatele sottili e perfette, costruite ad alta quota, agli angoli del soffitto. Vibravano per correnti d’aria quasi impercettibili. Come reti, trattenevano la polvere e alcuni dei pensieri sospinti dal calore verso gli strati più alti e rarefatti dell’atmosfera interna alla casa. Da terra erano visibili soltanto in particolari condizioni di luce, quindi piuttosto difficili da individuare durante le pulizie. Talvolta, prima di rimuoverle, Nina ne ammirava la perfezione. Per ragioni imperscrutabili, le sembravano opere incompiute: l’ossatura trasparente di un progetto più ambizioso.

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Equilibristi (cut-up 138)

Con il passare degli anni, abbiamo capito come sopravvivere in un ecosistema così profondamente compromesso e instabile come quello della nostra famiglia. Le continue correzioni di postura, necessarie a mantenere l’equilibrio, sono ormai automatismi perfettamente mimetizzati nella nostra gestualità. La precarietà ci ha stupiti, rivelandosi solida, terreno paludoso edificabile. Una delle tattiche vincenti alla base del nostro matrimonio consiste nel mantenerci reciprocamente in coma farmacologico, in modo da minimizzare gli scontri: cicatrici sottili, sartoriali, strategicamente disposte lungo le pieghe naturali della pelle, nel corso di raffinati interventi di chirurgia estetica. Riconquistiamo sempre la serenità e diamo a tutti l’impressione di essere felici. Credo che una certa
indifferenza di fondo venga spesso scambiata per fiducia nei propri mezzi. Una soddisfazione parziale rientra nella media e non fa sorgere sospetti: è il posto migliore a cui tornare. Quando ne ho l’occasione, cerco diversivi altrove; li nascondo piuttosto agevolmente nel doppiofondo dei miei pensieri, e immagino che anche lei faccia lo stesso.

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Una lunghissima rincorsa (cut-up n. 157)

a Stefania

Mentre ti aspetto seduto su una panchina, mi lascio catturare dal modo in cui uno sciame d’api si spinge avanti, contorcendosi e aggrovigliandosi in un intreccio di orbite ellittiche. L’avanzata del sistema è una conseguenza delle derive dei suoi componenti, che sembrano rincorrersi tra loro.

Nell’illusione che il numero dei passi sia proporzionale alla distanza coperta, procediamo lungo un percorso a spirale, in cui scopriamo quello che vogliamo dire nell’atto di dirlo, tra errori, dimostrazioni di coraggio e ripensamenti. La capacità di coordinare i movimenti, e avanzare in posizione eretta, è un meccanismo che pare studiato apposta per permetterci di affrontare la lunghissima rincorsa che ci aspetta. Inseguendoci a vicenda, in nome di una particolare forma di contorsionismo che riconosciamo come amore, creiamo un groviglio difficilmente districabile d’interdipendenza, speranze, aspettative disattese o mantenute, e interpretazioni equivoche simili a stelle cadenti. Un’illusione ottica, originata da uno sciame di meteore che si rincorrono invano lungo orbite parallele, sulla traiettoria della Terra, finendo per esserne travolte e sgretolandosi nel contatto con l’atmosfera.

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Cronometro (cut-up 151)

Il peso del tempo che sto sprecando grava su di me e amplifica il mio senso di colpa. Sento la pressione di ogni singola ora. In questa fase della giornata, il ritmo è scandito da una ragazza che fa footing intorno al parco, cronometrando i suoi tempi sul giro. Le dimensioni contenute dei giardini pubblici in cui ci troviamo fanno di lei una comparsa che ricorre frequentemente, al punto da instillare il sospetto che possa assumere un ruolo meno marginale nel corso della narrazione. Un sospetto infondato, dal momento che il suo transito è un evento ciclico neutrale e privo di significato, come la rotazione dei pianeti. Ad ogni passaggio in prossimità della panchina su cui sono seduto, mi sorprende occupato in un’azione interlocutoria diversa – guardare il mare, sfogliare gli appunti che non sto leggendo, osservarla – una delle tante declinazioni dell’attesa fine a se stessa.

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Cut-up 101

Ora che trascorro la maggior parte del mio tempo lontano da casa, dormendo per più di centottanta notti l’anno in hotel, mi sento spesso come se stessi rincorrendo qualcuno. I ricordi degli aeroporti, dei ristoranti, delle sale d’attesa, delle stanze d’albergo si mescolano e si confondono tra loro. Fatico ad associare i volti degli sconosciuti con cui ho scambiato stringate considerazioni impersonali alla città e alla lingua nelle quali quelle brevi conversazioni hanno avuto luogo. Per qualche motivo ho invece l’impressione di non dimenticare mai una faccia, di non dimenticare nessuno di loro, almeno non completamente. Durante le tratte in taxi osservo la città attraverso il finestrino, il flusso di passanti che si muove in massa, come uno stormo, camminando con passo deciso lungo le rotte di brevi spostamenti giornalieri, di una migrazione in scala. Mi mancano le nostre conversazioni serali, le nostre conversazioni seriali in cui ci sfogavamo parlando di risultati teoricamente alla nostra portata, di traguardi dati per scontati e poi mancati per pochi millimetri. A volte scatto anonime fotografie mentali delle toilette degli aerei e dei fusi orari che si rincorrono fuori dal finestrino, foto di dettagli che non appartengono a nessun posto in particolare. Sono detriti, documenti delle macerie, reperti che includerei in un’ipotetica lista di oggetti d’uso quotidiano, da datare e archiviare in un deposito sotterraneo, dove si conserveranno per i posteri come testimonianze del passato.

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Siccità (Cut-up 99)

L. e V. si imbattono continuamente in deformazioni grottesche di loro stessi, principalmente nei riflessi delle vetrine del centro, ma anche in ufficio, quando spegnendo il pc pochi minuti prima della fine dell’orario di lavoro, restano seduti inespressivi davanti allo schermo nero, che restituisce un’immagine morta del loro viso perfettamente coincidente con quella che è diventata una sensazione latente, un sottofondo costante di rumore bianco. V. sostiene di aver sentito dire, probabilmente in un documentario sullo spiaggiamento dei cetacei, che non si conosce la ragione precisa per cui, ogni anno, un notevole numero di esemplari si arena a riva. Stando ai ricordi di V., alcuni studiosi ritengono che finiscano semplicemente per perdersi, mentre altri non escludono l’ipotesi di un disorientamento interiore più profondo e radicale, che culminerebbe in questo atto di autoeliminazione.

Immagine: Gerard Byrne, New Sexual Lifestyles.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).