Transito all’ombra

da | Ago 12, 2016

Alcune poesie in anteprima da Transito all’ombra di Gianluca D’Andrea, in uscita per Marcos y Marcos.

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La storia, i ricordi

VII.

Acquisimmo, assorbimmo, attraversammo
il passaggio del millennio e il livello
si ridusse in esplosioni nere,
i grattacieli, gli uccelli, figure
disegnate come rondini nel cielo cupo,
fissi a un dislivello in cui le frontiere
e gli impatti ebbero il dissapore
del dubbio. Da allora niente,
una scomparsa, idee allusive:
mura tra virtù fibrose,
connesse all’impaccio di un’agricoltura di ritorno.
Il campo è coperto di residui,
la polvere aspetta l’acqua che la copre.
Poi, un po’ di sopravvivenza della luce
senza il coraggio della presa,
volte e architravi e solchi
e tranci di cielo rosa.
Parlavamo minimale o tronco,
in astratto, di traiettorie interstellari,
membrane, lacci e buchi,
quante soluzioni per le mani,
proteggemmo persino i liquami
che intanto scorrevano nei parchi,
nei campi.
Per anni osservammo le nuvole
accompagnando ai pronostici
le previsioni meteo e uscivamo
cercando di portare a casa la pappa;
un padre torna con un sacchetto,
nell’altra mano la figlia
stringe (o è stretta),
accanto un’auto calpesta le foglie.
Ci accampammo per alcuni giorni
tra le macerie, ai margini di altre dimensioni.

***

Immagini, i ricordi

La storia dell’immagine

La tenda mossa dal vento, l’attesa,
un vecchio prega,
attendo, all’incrocio d’ombra e luce,
il freddo percipiente.
L’immagine non si muove,
mi muovo e fisso
nella memoria quel passo, fermo
tutto il giorno in quei gesti, dimentico.

*

Aspettavo la storia di un quadro millenario

Vedevo lo spettro nell’immagine
lenta, che rallentava gradualmente;
per un istante le figure si muovono appena:
case sullo sfondo, in un parco
bambini e famiglie, madri in maggioranza,
compiono le loro azioni.
In un pomeriggio di aprile –
dentro il quadro mia figlia e mia moglie
nel loro angolo, sedute sulla ghiaia.
Aspetto ancora un po’ prima di entrare,
ho il tempo di sperare che qualcuno
colga da un altro spiraglio il quadro,
che il tempo senza tempo si ricordi
in molti modi, senza nostalgia,
senza la mia stessa speranza,
nell’oblio di un ricordo che non può essere ricordato,
nella compassione lontana
di chi non ne sa parlare.

*

La resa

Sul viso queste linee perfette
che la luce bagna appena.

Linee dall’alto che sfaldano la luce
ricadendo sulla bambina che dorme,
sui lineamenti dritti, dolci, verticali;

il viso della bambina è diverso
cambia come il giorno
come ogni giorno cambia
per somigliare a se stessa, diversa,
al diverso che cederà nel nulla
che già l’accompagna, rendendo
possibile la sua presenza attuale,
eterna.

Sul viso quelle linee perfette
ogni giorno perfette nella loro incoerenza
col perfetto che è sempre visione.

La visione è qualcosa che si arrende;
ancora, ogni tanto, combatto
con la mia resa,
la lingua diventa l’eco di un campo,
una lancia sospesa nel lancio,
non cade, salta.

La resa non ha obiettivi,
non sa definirsi, si bagna appena
rendendo.

*

Acquario

Passano le figure, inseguono gli eventi.
Ombre, i bambini trascorrono
in gesti, in un piede piegato o i passi.
Gli uomini impiegano il tempo
in frazioni strutturate,
il movimento ha passioni e dolori
e quadri che si aprono a brusii,
flussi trapassati, sorprese
negli scorci, membrane che respirano
le azioni compiute;
la giustizia si sposta nello stesso
luogo, si sgrana in tempi impercettibili.

*

L’altra immagine

Dalle finestre della sala da pranzo fasci di
luce dorata si allungavano sul prato, fino
al roseto.

Friedrich Dürrenmatt

Mi ripeto la vita della luce
è la legge da noi non preparata,
un monito che si può accompagnare
ai gesti quotidiani. Da quest’homo

che emerge dalle vene di una soglia,
l’esistere nudo, la debolezza
di tutti i momenti, di alcuni luoghi

che nel ricordo,
quando il flusso di luce copre i volti,
imprimono ai lineamenti un ultimo colore,
l’appartenenza incalcolata, cancellabile

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Zone recintate

VI. Braccare lo spazio, Giotto

Questo gioco, quello della verità, ha come regola che il distinto, il determinato, il separato – l’individuo, la coscienza, il cucito, il punto a filo doppio – non si distingua più nel chiaro intrico del merletto, il quale, anch’esso, si mescola ai velluti o alla seta che orna e che ne sono lo sfondo.

Jean-Luc Nancy

Sono state vacanze rapide ma intense quelle di Pasqua 2015. La micro-famiglia in 5 giorni è stata in 4 città. Nonostante le monellerie della piccola o, anzi, accompagnati dal ritmo, a volte estenuante ma vitale, del “teatro” educativo che si modifica tentando sempre nuovi approcci per diventare efficace, abbiamo braccato lo spazio, frazionando il tempo.
Istantanee e parole hanno fissato alcune sensazioni, ancorato il flusso, riportandolo al passato, rilanciando il futuro – come si diceva una volta – disturbando l’eterno presente.
Mi piace condividere con voi immagini e versi perché si fondono in un unico metodo che salvaguarda lo “spazio” (il mondo, se volete) soffermandosi, solo per istanti è vero, sulla sua implacabile trasformazione.
Restiamo all’erta, la caccia e il desiderio sono la spinta per captare e “proteggere” la mutevolezza.

*

Ma prima del ritorno – in ogni viaggio s’intuiscono prospettive ma non si fissano quadri, ecco perché lo spazio è in tensione: da un lato l’apertura al diverso, dall’altro l’ancoraggio al passato, la radice non può essere braccata ma circondata e protetta, l’albero è solo i rami, i rami, reticolati il cui sfondo dall’azzurro dorato di quest’inizio primavera si trasforma nel bianco venato di grigio, nubi fratte, nubifragio di linee, di visuali in fuga, dirette a un orientamento senza scopo, senza nostalgia – si verifica un ultimo spostamento. 
L’entrata alla Cappella degli Scrovegni va prenotata su internet almeno 72 ore prima della visita. Non ne sapevo nulla, così fummo costretti a rinunciare alla vista “dal vivo” di quel monumento d’arte incommensurabile. Comprai un opuscolo illustrato con particolari della Cappella. Mi dibattevo, però, nella delusione, per aver mancato un impegno urgentissimo, l’occasione di manifestare il mio rispetto per l’arte del maestro fiorentino. Giotto si dibatteva per trovare uno spazio, inventò prospettive “istintuali” perché il desiderio d’orientamento, l’inserimento di figure “vive” nei loro gesti quotidiani all’interno di uno schema iconico in cerca di simmetria e monumentalità, spezza la forma: lo spazio si rigenera realizzandosi nell’imperfezione della banalità dei gesti. Il passaggio dal luogo vivo al “textum”, al volume che intreccia e raffigura, si “eterna”, si fa stasi nel cammino, dimora che accede, involontariamente, al ritorno.

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Notturni

V.

Sarà buio, ondate
fuori il capovolgimento, penso
ragazzi in balia, non posso ridire
le nubi accerchiano stretture.
Nel nero trasparente avverto,
non ci sarei,
la possibilità di dire il buio
non
la sua necessità.

Immagine: Richard Long, Walking a Line in Peru, 1972.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).