Theme of Farewell and After-Poems

da | Feb 4, 2016

L’edizione bilingue di Tema dell’addio (2005) e Quell’andarsene nel buio dei cortili (2010) curata da Susan Stewart e Patrizio Ceccagnoli, pubblicata nella collana “Poetry” – nella quale erano già usciti un’antologia di poesie e prose di Andrea Zanzotto (2007) e i suoi pseudo-haiku (2012) – della University of Chicago Press, rappresenta un importante tributo a una delle voci più rilevanti della poesia italiana contemporanea.

Il successo di De Angelis, iniziato già nel 1976 con la pubblicazione di Somiglianze per i tipi di Guanda e proseguito con altri libri che hanno fatto la storia della poesia del secondo Novecento, come Millimetri (Einaudi 1983) e Biografia sommaria (Mondadori 1999), è stato certamente potenziato dalle edizioni spagnole e francesi – in formato antologico e monografico – di alcune delle sue opere; tuttavia, chi scrive sa quale sia il peso che la poesia italiana del Novecento ha nei paesi anglofoni e un’operazione di questo tipo, in uno dei periodi più critici della letteratura italiana negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dona ulteriore rilievo alla poesia e alla poetica di De Angelis.[1]

Parlare di una traduzione significa anche interloquire lateralmente con i suoi traduttori (Stewart e Ceccagnoli); studiarne la storia e il perché di questo incontro intorno a un poeta (De Angelis). Mentre ai lettori italiani il nome di Patrizio Ceccagnoli può essere abbastanza noto per via del suo recente commento all’inedito romanzo di Filippo Tommaso Marinetti Venezianella e Studentaccio, edito con Paolo Valesio per Mondadori nel 2013 – ma negli ultimi anni Ceccagnoli ha lavorato molto sulla traduzione, oltre ad aver dedicato diversi studi a De Angelis e ad altri poeti italiani del Novecento –, il nome di Susan Stewart potrebbe non esserlo altrettanto. Studiosa di poesia (Poetry and the Fate of the Senses, 2002), estetica (The Open Studio. Essays on Art and Aesthetics, 2005), filosofia (The Poet’s Freedom. A Notebook on Making, 2011), Stewart è una delle poetesse più interessanti del panorama poetico americano, avendo vinto nel 2003 il National Book Critics Circle per la sua silloge Colombarum, tradotta da Maria Cristina Biggio per Jaca Book nel 2011. La combinazione tra l’approccio filologico e storico-letterario di Ceccagnoli e la natura fondamentalmente estetica e fenomenologica delle di Stewart è avvertibile sia nell’introduzione, sia nella traduzione.

Prima di procedere ad un’analisi del lavoro svolto dai traduttori, credo che sia utile guardare proprio a questa idea ‘estetica’ della poesia di De Angelis per capire come Stewart e Ceccagnoli abbiano posto le basi pe la traduzione di Tema dell’addio e Quell’andarsene nel buio dei cortili:

Throughout De Angelis’s poetry, one substance comes to signify the essence of Milan: the asphalt that covers the ground of the city. As he indicates that bones are the essence of the earth below, he illuminates how asphalt, the sticky resinous bitumen product, a form of “pitch” that can take liquid or semisolid form, becomes a pavement over the past and the dead. Covering the earth, asphalt becomes a truly fundamental metaphor – the ground of everything that comes into relief and an emblem of modern forgetting. For De Angelis, the substance is also a symbol of the mired state of mankind, resonant with its etymology: α- “without,” and “σφάλλω” (sfallō) “to make fall.” Below the feet, melting in the heat, freezing and cracking in Milan’s harsh winters, outlining the paths of motion, asphalt defines the space of the city and what takes place within it. (p. xx).

La chiave di lettura che Stewart dà alla poesia di De Angelis è dichiaratamente fenomenologica. La percezione dell’asfalto è metaforica nella misura in cui esso diventa emblema poetico del mondo dimenticato, come l’etimologia greca del verbo rimarca; l’autrice curiosamente confonde l’infinito (“to make fall”) con la prima persona singolare del verbo greco (“εγώ σφάλλω”), ma la svista grammaticale sembra sottolineare questa sottile ambiguità che coesiste tra l’io e l’altro, tra l’azione del soggetto conoscente nel suo rapportarsi al mondo dell’asfalto e la natura fondamentalmente dinamica, spaziale e orizzontale di questo elemento.

La poesia di De Angelis è un emisfero cittadino di una complessità tale da impedire una classificazione tematica, ma la via semantica scelta da Stewart permette al lettore (italiano e straniero) di riconoscere il valore profondamente ermeneutico di cui si fa portatore l’asfalto. De Angelis, come ricorda Stewart, è sì «the most abstract of the poets», ma anche «a poet of realism» (p. xxi): i valori simbolici e sovrasimbolici che emergono dall’epifania dell’asfalto nelle poesie del poeta assumono un valore rilevante, ma sono altresì soverchiate dall’intimità e dalla familiarità dei luoghi descritti da De Angelis, come Boviasca, Roserio, Quarto Oggiaro. Ognuno di questi quartieri è dotato di una cifra ermetica, che spesso costringe il lettore a ritornare più volte sui versi del poeta; tuttavia, alla apparente frattura che il significante provoca nel testo, De Angelis oppone la fragilità umana, colta nella sua più totale semplicità e naturalezza, anche dove la speranza e la vita hanno smesso di r-esistere: la prigione: come rileva Stewart, «one way to think of the economy in De Angelis’s poems is to consider that they express a life exactly counter to a life imprisoned» (p. xxii).

La presunta oscurità di De Angelis deriva dalla «metaphysical tradition of Italian poetry that stretches from the dolce stil novo to modernist hermeticism» (p. xxiii). De Angelis recupera questa tradizione dantesca e petrarchesca, riletta attraverso i versi Montale e Saba, costruendo un canzoniere, che nel caso di Tema dell’addio, come ha brillantemente scritto e teorizzato Francesco Giusti,[2] è in morte. L’orizzonte metafisico del poeta è piegato a recuperare la dimensione etica della poesia, che trova nell’orfismo e nella polisemia del linguaggio la sua forma precipua: la grandezza dei versi di De Angelis, scrive Stewart, risiede nella capacità di produrre letteralmente la lingua poetica, di «create their own vocabulary, with meaning built from the relations between poems as much as from their use in the world» (p. xxvii).

Le ultime pagine dell’introduzione sono dedicate alla selezione dei testi: «[w]e decided to include every poem of Tema and Quell’andarsene here because the sequence is of paramount importance to De Angelis»: ordine, sequenze, sezioni costituiscono il corpo paratestuale delle raccolte del poeta italiano. Anche la numerologia riveste un ruolo significativo nella poetica di De Angelis: rispetto alle 57 poesie di Tema deall’addio – «an allusion to the number 57 bus that carries the poet from his house to the soccer fields at the Villa Scheibler in the Quarto Oggiaro» (p. xxviii) –, Quell’andarsene ne ha 56, segno di una voce mancante nel mondo post-elegiaco di De Angelis.

Dal punto di vista tematico, le due sillogi affrontano la morte dell’amata da due prospettive diverse. Tema dell’addio riprende i moduli montaliani degli Xenia di Satura (1971): «[h]is Eurydice is before him and actively leads him forward. She becomes more vivid as the sequences proceed […]. De Angelis acknowledges, as Eugenio Montale […] before him, the Orphic irony of his steady address to the “you” and “we” – as if the poems take place on a precipice of vanishing» (p. xxviii). Quell’andarsene «is, in contrast, a book of shadows. The work is organized around the image of the courtyard as a place of meeting and departures, where “shades” gather and are greeted – a purgatorial place, cold and dark, between a former life and the not-yet, the life to come» (pp. xxix-xxx). Accanto al valore storico e poetico che queste due raccolte rivestono nella storia della poesia italiana e nel microcosmo di De Angelis, emerge con altrettanta forza la tensione verso il futuro di una «story unfolding inexorably on the one hand. And on the other, a sudden rift, chained to that story and at the same time unaware that it is unfolding there» (p. xxxi) – storia che ha appena trovato un suo nuovo capitolo in Incontro e agguati (Mondadori 2015).

Definite queste dinamiche paratestuali, utili non solo al lettore americano ma anche a quello italiano, entriamo nel corpo del testo. Ho volutamente usato la forma singolare, dato che le poesie Di Angelis non sono semplicemente tradotte, ma poste in costante dialogo con la loro versione inglese; non c’è opposizione linguistica, bensì continuità poetica. Si tratta di traduzioni-introduzioni, ché ogni testo ‘intro-duce’ (dal latino, introducere), conduce il lettore dentro la poesia di De Angelis. I traduttori hanno optato per una traduzione molto fedele, cercando di trasferire il linguaggio fortemente metaforico e figurato della lingua italiana in quella inglese: «Morire fu quello / sbriciolarsi delle linee, noi e il gesto ovunque, / noi dispersi nelle supreme tensioni dell’estate /, noi tra le ossa e l’essenza della terra» (p. 2), «To die was that / crumbling of lines, we were there and the gesture was everywhere, / we were caught in the high tension of summer, / we were caught between the bones and the essence of the earth» (p. 3).

Il mondo terreno di Tema dell’addio, bagnato da una pioggia metafisica che suggerisce uno spazio sovrannaturale nella continuità dell’asfalto, non può subire distorsioni linguistiche che priverebbero il lettore della cifra poetica di De Angelis: «Lungo una strada di Roserio / e di ombra, cammino, resto accanto / a te, ai tuoi sandali / che l’asfalto bruciava l’asfalto / di ogni estate, l’asfalto / che penetra nel seno, finché appare / la ferita, finché la vista / è silenziosa come la sua fine» (p. 18), «Along a road in Roserio, / and in shadow, I walk, I stay next / to you, to your sandals / that the asphalt was burning, the asphalt / of every summer, the asphalt / that penetrates the breast, until the wound / appears, until the sight / is silent like its end» (p. 19). In questo modo, la corporalità orfica di Tema dell’addio, come accade in Trovare la vena (To Find the Vein) – «I battiti carnali si stringono a una doccia, / chiedono una tregua, una posizione / per il sangue, a strappi, a morsi, gli aghi / entrano in te che cerchi / di stare con le cose» (p. 28), «The body’s pulses draw nearer to a shower, / they ask for a truce, a position / for the blood, with snatches, with bites, the needles / enter into you who are trying / to remain with things» (p. 29) –, conserva la materialità terrena dell’alba («There must be an earthly / dawn», p. 29), dove «nel buio dell’ora» («into the darkness of the [lost] hour») il “tu” – che in italiano è “smarrita”, mentre inglese è l’ora che ha perso il senso del tempo e dello spazio – parla «senza domani e senza libri» («without a tomorrow and without books»), «alla presenza assoluta di una lacrima, / una rapida memoria di ulivi e di luce, / una gloria dell’uno e di ogni altro», anche se «non si trova la via per la sorgente», «non si trova la vena, dio mio, non si trova» («of the absolute presence of a tear, / a flashing memory of olive trees and light, / a glory of the one and of everyone else», «the way to the spring cannot be found», «the vein cannot be found, my god, cannot be found», p. 31). Il passaggio dall’italiano all’inglese presenta diverse problematiche, soprattutto quando si tratta di tradurre i participi passati con funzione aggettivale. Nel caso sopraindicato, i traduttori hanno fatto una scelte specifica: all’ambivalenza del verso “nel buio dell’ora smarrita parlavi”, dove smarrita può riferirsi sia all’ora, sia al tu femminile, Stewart e Ceccagnoli hanno isolato nella solitudine del verso “parlavi”, caricando di infondatezza esistenziale l’ora che decide lo stato di vita o di morte dell’amata.

Un’altra scelta dei traduttori è l’utilizzo di costruzioni personali per tradurre azioni impersonali. Nella prima sezione di Quell’andarsene nel buio dei cortili, Alfabeto del momento (Alphabet of the Moment),  De Angelis descrive i momenti liminali tra vita e morte, dove l’io e il tu perdono ogni forma di identità e condizione agentiva: «A volte, sull’orlo della notte, si rimane sospesi / e non si muore. Si rimane dentro un solo respiro, / a lungo nel giorno mai compiuto, si vede / la porta spalancata da un grido» (p. 64), «At times, on night’s brim, you stay suspended and do not die. You stay within a single breath, / at length, in the unfulfilled day, you see / the door splayed wide by a scream» (p. 65). Invece di utilizzare costrutti passivi (“s/he is said to be suspended”), soggetti plurali (“we”, “they”, “people”) o pronomi indefiniti (“one”), Ceccagnoli e Stewart hanno scelto di tradurre queste espressioni impersonali utilizzano costrutti transitivi aventi come soggetto il “tu”.

Questa scelta non può essere ricondotta a motivi grammaticali e/o estetici – essa ha un valore profondamente semantico, votato a riconoscere la presenza testuale e vitale del “tu” anche in contesti in morte e impersonali. In altre passi, i traduttori hanno seguito la norma linguistica inglese: «s’incontra l’ira dei morti» (p. 36), «one meets with the anger of the dead» (p. 37); «si è rotta la speranza» (p. 42), «the alliance has split apart» (p. 43); «Ci siamo presi» (p. 46), «We took one another down» (p. 47). Questi esempi mostrano chiaramente la volontà di Stewart e Ceccagnoli di potenziare il valore semantico insito nelle strutture linguistiche usate da De Angelis, volte a creare uno spazio letterario dove il dialogo con il tu, assente, può ancora esistere: all’impersonalità dell’azione, infatti, è opposta l’ontologia testuale dell’amata, la quale «talk[s] of blood and sea anemones, of inexplicable / blood that wishes the word, something / that throws us into oceans and the naked / weight of lightning» (p. 73); sillabe di sangue, parole di morte che conservano ancora l’umanità dei vivi, ma che tornano a essere parole in vita, sfuggono alla «linea perduta», all’«annuncio di una volta» (p. 80), «a lost line», «sign of a time» (p. 81).

De Angelis è consapevole di questa condizione del tu:

È così. La memoria
di un uomo era solamente questa
manciata di sillabe. Solo loro
ritornano dalle cantine
abitate per niente
e sono puntuali, sono
scagliate oltre le rocce, bisbigliano
parole esterrefatte, sono un battere
di ali protese e fedeli
a un ordine oscure. Adesso
tu devi tradurre. (p. 88)

That’s how it is. The memory
of a man was only this
handful of syllables. Only they
come back from the wine cellars
where they live rent-free
and well-timed, they are
thrown beyond rocks, they whisper
astonished words, they are flapping
of wings, reaching forward, faithful
to a secret order. Now you
must do the translation.
(p. 89)

L’io lirico chiede al tu di tradurre in una lingua comune, che getti luce sull’ordine oscuro causati dai luoghi della morte frequentati dall’amata. Se la memoria può salvare la condizione del soggetto conoscente nelle potenzialità infinite della lingua, che, priva di un tu interlocutore, assume le forme di un linguaggio incomprensibile, il compito di trasmettere questo messaggio poetico viene affidato a quei lettori in grado di accedere ai diversi gradi della realtà che solo la poesia può raggiungere ed esprimere; questo compito, però, è lo stesso dei traduttori, il cui ruolo, anzi, dovere, come si leggere nella versione inglese (“you must”), è tradurre la poesia.

(Milo De Angelis, Theme of Farewell and After-Poems, a bilingual edition edited and translated by Susan Stewart and Patrizio Ceccagnoli, Chicago and London, The University of Chicago Press, 2013.)

Immagine: Foto di Viviana Nicodemo.


[1] Non è questo il luogo deputato per fare una rassegna degli studi su De Angelis, per la quale si rimanda alla bibliografia critica che chiude il volume curato da Stewart e Ceccagnoli (pp. 126-127).

[2] Francesco Giusti, Canzonieri in morte. Per un’etica poetica del lutto, L’Aquila, Textus Edizioni, 2015.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).