Sotto sorveglianza
Se ci sono tre donne seminude in una piscina dal diametro di due metri. Se è notte, e ha già smesso di piovere. Lentamente ti sfili i boxer e appoggi il palmo della mano al bordo morbido di gomma, lo senti cedere sotto il tuo peso, mentre scivoli in acqua con un piede e poi con l’altro. L’acqua è fredda come la pioggia che l’ha sostituita. L’aria non ha confronti: attraversa le piante condominiali, i tubi di ferro dell’altalena, i capelli bagnati delle tre figure immerse a mezzo busto. Da una distanza allargata nel buio, osservi rigido il metro di mare aperto che da loro ti separa, e che adesso colmerai.
Le donne ti desiderano. Te ne accorgi quando passano oltre il vetro e si girano per caso verso la portineria, quando per stare sveglio ti concentri su qualche disagio fisico e loro ti interrompono parlandoti del tempo. Se piove in pieno agosto diciamo che rinfresca. Se c’è il sole, potremmo organizzarci e andare in spiaggia. Ma io devo stare qui e voglio pensare solo ai miei disagi fisici, in silenzio. Il disagio di oggi si chiama: orchiepididimite. Il testicolo si arrossa, si gonfia fino a rilasciare un’aura nella stanza, un ronzio costante si confonde a quello degli schermi accesi, del condizionatore a 21°, della zanzara che lascia una traccia scura appena fuori del campo visivo, scatta e punta alla gamba, prima che un movimento coordinato delle braccia la riporti all’immobilità del sangue, interrompa lo scambio.
Avrà funzionato? Per il mio corpo sono solo un peso. Un sorvegliante, una connessione remota, un ordine impartito in una lingua sconosciuta. Dormire è più facile che camminare. Camminare è più facile che sporgersi, piegarsi, prendere e spostare oggetti grandi nello spazio; più neutro dei gesti e dei contatti (delle sequenze di gesti e contatti) che hai imparato negli anni e riproponi con precisa ossessione, dall’approccio all’orgasmo, generando altrove quel che non succede in te, lasciando un gusto tiepido, uno stampo d’occasione sulla pelle, dopo un polso stretto con certezza e un perché-no. Hai piegato il tuo corpo a un compromesso di efficacia e automatismo. Muovi le cose senza accompagnarne il movimento. Ciononostante, le donne ti desiderano.
Ma se la piscina resta vuota, inerte come una giostra dismessa. Se ci piove sopra. Cerchi a tastoni uno dei calzini e ti rivesti come se fosse per la prima volta, appoggiandoti al muro con la mano bagnata, raggrinzita dall’acqua. Un pomeriggio dopo, la stessa impronta lascia il segno del sudore sulla scrivania, il sole taglia dritto nella porta semiaperta, trova una faccia bianca che si gira sotto lo sforzo della cervicale. E io mi dico che non sono io, questa estensione di braccia tronco e inguine, questo fantasma che vegeta giorno dopo giorno, peggiorando e rimpiangendo: mentre perde il controllo delle sue azioni, mentre sparisce dietro un corpo che lo sovrasta. Mentre si ammala di orchiepididimite.
Mi dispiace. Non volevo prendere le distanze. È triste vederti salire il ponte facendo leva sulla gamba buona, sul testicolo buono, seguire la traiettoria più breve attraverso i turisti che possono fermarsi, farsi un selfie sullo scorcio all’angolo, ostacolare il tuo percorso calibrato al minuto. Tra meno di otto passi, l’altoparlante della stazione informerà che il treno per Parigi è riservato ai viaggiatori oltre confine. Anche stavolta non lo prenderai. Il rivolgimento non ci sarà.
Questo testo è stato scritto dal sonno, lungo una veglia forzata, sotto l’effetto degli antidolorifici. Parla di cose che non mi riguardano, che non cambieranno.
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11H (NUOVI MODI PER USCIRNE)
Reazioni, soluzioni, adescamenti alla solitudine. Per farlo nel modo giusto. Libero da tutti i mondi a cui non ho accesso. Dalle profondità che mi controllano. Senza pensare più a spie di senso nella tenda che si muove nel momento in cui mi giro a guardarla. A congiunzioni alternative possibili. O alla luce quasi religiosa del cellulare sul comodino, innalzato a oracolo della mia sera, come a un’ultima forma di salvezza. Le donne e gli dèi erano a un altro livello. Le mani luminose che scendono in soccorso dal soffitto e se tutto va bene mi portano via. Piccole speranze per grandi uomini, piccoli uomini per grandi ambizioni. Gli alieni entrano sempre nelle menti in cui dovrebbero. E invece poi: l’evoluzione della specie. (Almeno per quanto mi riguarda). Dio che esce dal suo tempio e se ne va ovunque. Troppo ovunque. E cioè non qui. La luce slitta lentamente sui grandi quadranti della mia stanza. Vivo sempre meno e il mio corpo è sempre più grande. Nella mia stanza non ci sono vortici di vento e polvere, e tutto è sotto il mio controllo. Bisogni fisiologici, azioni prerenderizzate. Il cavatappi che scintilla nell’ombra del suo cassetto, come un’ancora al sicuro in fondo al mare. Le dipendenze mi fanno sentire più tranquillo. Che dividono la giornata in prima delle sei e dopo le sei. E cioè: finalmente le sei. E allora eccola lì la mia salvezza, il buio in fondo al bicchiere che mi inghiotte e mi promette che qualcosa può succedere. Il più degno sostituto di quello che può succedere. E ancora: la stanza che vibra, il lampo bianco in mezzo agli occhi – e tutto su lungo la pancia, a esaurimento forze. Un minuto di silenzio per il nostro imperatore. Titolo provvisorio: nuovi modi per uscirne. Io che sto bene qui ma quando sto qui non sto bene. Ma poi, una volta fuori da qualsiasi svolta o evento: andare dove. E soprattutto: con chi. Tornare a casa è la parte più difficile della vita. Temporeggiare, il verbo più esatto per la contemplazione. Fontana o torrente che sia. Il rumore dell’acqua. Il rumore dell’acqua per tutta la mia vita. Quando sento finalmente che nessuno mi è caro. E allora di nuovo buio, porte chiuse, serrande abbassate. Posizione orizzontale come l’unica possibile. E tappi per le orecchie
Immagine: Opera di Samantha French.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).