Sogno d’una notte d’estate

da | Set 6, 2016

Shakespeare in scena è l’ultimo lavoro sulla traduzione di Patrizia Cavalli, uscito da poco per nottetempo. Il volume presenta quattro versioni da Shakespeare (La tempesta, Sogno di una notte d’estate, Otello, La dodicesima notte), di cui presentiamo la scena prima dell’atto secondo di Sogno d’una notte d’estate:

SOGNO D’UNA NOTTE D’ESTATE
Atto secondo
Scena prima

Entrano, da parti opposte, una Fata e Puck

Puck
Ehilà, spirito! Dove te ne vai?

Fata
Per i monti e per le spiagge
tra i cespugli e tra i roveti
per i campi e pei canneti
tra le acque e tra le fiamme,
come luna son vagante,
non sto mai ferma un istante.
Io servo la regina
delle fate e con la brina
faccio i cerchi sopra i prati.
I ranuncoli dorati
fan la guardia al suo palazzo,
hanno i manti variegati
di un bel rosso pavonazzo
perché a loro va il favore
delle fate e in quel colore
si concentra il loro odore.
Vado via per la mia strada,
devo appendere in tre ore
una perla di rugiada
all’orecchio d’ogni fiore.
Addio, zoticone, io vado intanto.
La regina con gli elfi sta arrivando.

Puck
Stanotte il re festeggia nei paraggi.
Bada che la regina stia alla larga.
C’è Oberon che è pazzo dalla rabbia,
ce l’ha con lei che tiene tra i suoi paggi
quel bel fanciullo rapito a un re indiano
– un cosí dolce scambiatello è raro.
E il re geloso lo vorrebbe avere,
per battere le selve, suo scudiere.
Ma lei trattiene a forza il bel paggetto,
l’incorona di fiori, è il suo diletto.
E ora a ogni incontro su un prato o in un boschetto,
presso fontane chiare o alla brillante luce
delle stelle, prendono un’aria truce,
pei loro elfi cosí terrificante
che vanno a rintanarsi nei gusci delle ghiande.

Fata
Ma se il tuo aspetto non è un mio miraggio,
tu non sei quell’astuto mascalzone
che chiamano Bertino Buontempone?
E che spaventa le donne del villaggio,
e screma il latte, e alla zangola s’affanna
(e invano sbatte il burro la massaia),
e non fa lievitare la birra nella botte
e fa smarrire i viandanti di notte
e poi sui loro guai ci fa il burlone?
Ma a quelli che ti chiamano Folletto
e Puck carino, a quelli non fai nessun dispetto,
li aiuti nei lavori e, all’occasione,
porti buona fortuna. Sei tu quel diavoletto?

Puck
Sono quel vagabondo, sí, hai ragione,
vado in giro di notte e mi diverto.
A Oberon gli faccio da buffone
e lui ride quando io nitrisco
come una puledrina che è in calore e adesco
un bel cavallo nutrito d’orzo fresco.
Dentro il boccale di una comare sto nascosto
a volte trasformato in una mela arrosto.
Quando beve le salto su alle labbra di sorpresa
e la birra le si rovescia addosso
lungo tutta la pappagorgia scesa.
E la vecchia beghina che s’appresta
a raccontare una storia molto mesta
mi prende a volte per uno sgabello,
io dal sedere le scivolo via,
lei ruzzola distesa gridando “culatello!”
e ha uno scoppio di tosse. Tutta la compagnia
si tiene i fianchi e ride. E cresce l’allegria.
C’è chi starnuta e giura che da tempo
non s’era visto tanto divertimento.
Fatti da parte, fata! Oberon è arrivato.

Fata
Anche la mia padrona. Se ne fosse già andato!

Entrano, da una parte, Oberon, re delle fate, con il suo
Seguito e, dall’altra, Titania, la regina, con il suo

Oberon
Brutto incontro al chiar di luna
con Titania l’orgogliosa.

Titania
Ah, Oberon il geloso! Via, fate,
scappiamo! Ho rinnegato il suo letto
e la sua compagnia.

Oberon
Capricciosa
sfrontata, fermati! Non sono forse
il tuo signore, io?

Titania
Ma allora sono
la tua signora anch’io. Ma io so
di quando sei scappato di nascosto
e ti sei preso l’aspetto di Corinio
per startene seduto tutto il giorno
a suonare il piffero di paglia
e a far poesie d’amore all’amorosa
Fillide. Ora perché sei qui? Sei forse
ritornato dalle Indie piú remote
solo perché la tua gagliarda amazzone,
la stivaluta amante, l’amore tuo guerriero,
deve sposare Téseo, e a questa unione
vuoi dare gioia e prosperità?

Oberon
Titania, come puoi – non ti vergogni? –
discreditarmi tu per via d’Ippolita
sapendo che io so che tu ami Téseo?
Chi lo condusse, nell’incerta luce
notturna, via da Perigòne, dopo
che l’aveva sedotta? E chi l’ha spinto
a mancar di parola a Egle bella?
E Arianna? E Antiope?

Titania
Tutte invenzioni della gelosia.
Mai, dall’inizio dell’estate, mai
una volta ci fossimo incontrati
– per colli o valli, nei boschi o sui prati,
presso rivi limosi o lisce fonti,
o sulla sabbia quando in riva al mare
balliamo in tondo al fischio del vento –
senza che tu non abbia disturbato
i nostri giochi con le tue scenate!
E cosí i venti, stufi di zufolare a vuoto,
per vendetta hanno succhiato su dal mare
nebbie malsane che ricadendo al suolo
hanno reso ogni fiume, anche il piú insulso,
cosí superbo da sopraffare gli argini.
E cosí il bue ha tirato il giogo invano
e il contadino ha sciupato il suo sudore,
e il giovane granturco è infradiciato
prima di farsi crescere la barba.
L’ovile è vuoto nel campo allagato,
ma la moría dei greggi ingrassa i corvi.
Lo spiazzo dei giochi è pieno di fango
e l’ingegnoso intreccio dei sentieri
tra l’erba alta, ora, non piú battuto,
è indistinguibile.
Agli uomini ora mancano i conforti
dell’inverno; ora le notti non sono
piú allietate da càrole e da canti.
La luna poi, che governa le maree,
pallida d’ira bagna tutta l’aria,
e abbondano le malattie reumatiche.
E le stagioni in questo turbamento
si snaturano: geli canuti cadono
nel fresco grembo della rosa crèmisi,
e sulla fredda zucca spelacchiata
del vecchio Inverno viene posta, come
per beffa, una ghirlanda estiva
di teneri boccioli profumati.
La primavera, l’estate, l’autunno
fertile e il tempestoso inverno mutano
i loro abiti usuali, e il mondo,
sbalordito da questi loro eccessi,
non sa piú qual è l’una e qual è l’altra.
E questi mali sono la progenie
della nostra litigiosa contesa.
Ne siamo i genitori, in noi è l’origine.

Oberon
Rimedia allora. Dipende da te.
Perché Titania vuole ostacolare
il suo Oberon? Io, per me, chiedo solo
quel piccolo rapito, per farne il mio paggetto.

Titania
Mettiti il cuore in pace,
da me quel ragazzino non lo compri
neanche con il regno delle fate.
Sua madre era seguace del mio ordine.
Nelle fragranti notti indiane spesso
chiacchieravamo insieme fianco a fianco,
e insieme sedevamo sulla sabbia
a osservare le navi dei mercanti,
e ridevamo vedendo che alle vele
ingravidate dal vento libertino
cresceva una gran pancia. E lei, imitandole
(il suo ventre già pregno del mio paggio),
con graziosi passetti ondeggianti
prendeva a veleggiare in terra ferma
per raccogliermi qua e là qualche inezia,
e poi tornava come da un viaggio
ricco di mercanzie. Ma era mortale
e morí nel dar vita a quel bambino.
Per amor suo io cresco il suo ragazzo,
per amor suo da lui non mi separo.

Oberon
Per quanto tempo intendi rimanere
in questo bosco?

Titania
Forse finché Téseo
non si sposa. Se vuoi partecipare
ai nostri girotondi e osservare
tranquillo i nostri giochi al chiar di luna,
vieni con noi; se no, stammi lontano,
e io eviterò i tuoi ritrovi.

Oberon
Dammi il ragazzo, e io verrò con te.

Titania
Neanche pel tuo regno. Via, via, fate!
Se resto ancora, litigo davvero.

Esce Titania con il suo Seguito

Oberon
Va’ pure! Ma non uscirai da questo
bosco, se prima non t’avrò punita
per l’affronto. Mio dolce Puck, ricordi
quella volta – stavamo su uno scoglio –
quando udimmo cantare una sirena?
Sul dorso di un delfino si effondeva
con voce cosí dolce e melodiosa
che il mare brusco diventò gentile
e alcune stelle dalle proprie sfere
si scagliarono giú come impazzite
per sentire quel canto.

Puck
Mi ricordo.

Oberon
Proprio allora io vidi (ma tu no, non potevi)
Cupido che volava tutto armato.
Mirando dritto a una bella vestale
seduta sopra un trono d’Occidente,
con impeto scoccò il dardo d’amore
come a trafiggere centomila cuori.
Ma vidi poi quella saetta ardente
trascolorare sotto i casti raggi
della pallida luna, e l’augusta vestale,
tutta assorta in virginei pensieri,
passare indenne da fantasie d’amore.
Però notai dove la freccia cadde.
Cadde su un fiorellino d’Occidente,
da bianco latte diventò purpureo
per la piaga d’amore, e le ragazze
lo chiamano “amor-in-ozio”.
Una volta ti mostrai la sua pianta:
il succo di quel fiore, se lo spargi
sugli occhi di chi dorme, uomo o donna,
lo farà delirare come un pazzo
per la prima creatura che vede.
Prendi la pianta e portamela qui
prima che il Leviatano nuoti tre
miglia.

Puck
Io in quaranta minuti
ti avvolgo una cintura intorno al globo.

Esce

Oberon
Appena avrò quel succo, sorprenderò
Titania mentre dorme e sulle palpebre
le verserò il liquore. E poi svegliandosi,
la prima cosa su cui cadrà il suo sguardo
(fosse un leone, un orso, un lupo o un toro,
scimmia impicciona o scimmione intrigante)
dovrà inseguirla con animo amoroso.
E non le toglierò dagli occhi l’incantesimo
(e posso farlo con un’altra erba)
se prima lei non m’avrà dato il paggio.
Chi sta arrivando? Sono invisibile,
voglio ascoltare i loro discorsi.

Entra Demetrio inseguito da Elena

Demetrio
Io non ti amo, perciò non m’inseguire.
Dov’è Lisandro? Dov’è la bella Ermia?
Voglio uccidere l’uno, ma l’altra uccide me.
M’hai detto che fuggivano nel bosco
e eccomi qua, pazzo perso nel bosco,
che non posso trovare la mia Ermia.
Via! Vattene, non mi seguire piú!

Elena
Mi attiri tu, la dura calamita
che è il tuo cuore. Ma non attiri il ferro,
perché il mio cuore è saldo come acciaio.
Perdi tu il potere di attirare
e io perderò il potere di seguirti.

Demetrio
Io ti lusingo? Ti dico cose dolci?
O non ti dico, nel modo piú sincero,
che non ti amo, che non posso amarti?

Elena
Proprio per questo ancora piú ti amo.
Sono la tua cagnetta e, Demetrio,
piú tu mi batti, piú ti farò festa.
Trattami come il cane, prendimi a calci,
sí, picchiami, trascurami, smarriscimi.
Dammi solo il permesso, io cosí indegna,
di seguirti. Quale posto piú infimo
– e tuttavia per me di gran riguardo –
potrei implorare di avere nel tuo cuore
che esser trattata come tratti il cane?

Demetrio
Non eccitare troppo il mio disgusto,
perché mi sento male se ti vedo.

Elena
E io sto male quando non ti vedo.

Demetrio
Tu comprometti troppo il tuo pudore
lasciando la città per consegnarti
nelle mani di uno che non t’ama,
affidando alle insidie della notte
e al mal consiglio di un luogo solitario
il tesoro della tua verginità.

Elena
Sta nelle tue virtú il mio privilegio,
perché quando ti vedo non è notte
e quindi penso che ora non sia notte.
Né questo bosco è un luogo solitario,
perché ai miei occhi tu sei il mondo intero:
come è possibile dunque che io sia sola
se il mondo intero è qui con me e mi guarda?

Demetrio
Io fuggirò da te e andrò a nascondermi
nella macchia, lasciandoti in balía
bestie feroci.

Elena
Neanche la piú feroce
ha un cuore come il tuo. Scappa pure,
verrà cambiata la leggenda: Apollo
fugge e Dafne che gli corre dietro;
la colomba dà la caccia al grifone
e la mite cerbiatta accelera la corsa
per prendere la tigre – corsa vana,
se la viltà insegue e il coraggio fugge!

Demetrio
Non voglio piú discutere con te.
Lasciami andare e se mi segui, credimi,
in mezzo al bosco io ti farò torto.

Elena
Sí, in campagna, in città, nel tempio, sempre
tu mi fai torto. Vergogna, Demetrio!
Le tue offese oltraggiano il mio sesso.
Noi non possiamo, come fanno gli uomini,
lottare per amore. Siamo fatte
per esser corteggiate, e non per corteggiare. (Esce Demetrio)
Ti seguirò, e sarà gioia il pianto,
se a uccidermi è la mano che amo tanto.

Esce

Oberon
Va’ pure, bella ninfa. Ma prima di lasciare
questo bosco sarai tu a sfuggirlo
e lui vorrà il tuo amore. (Entra Puck)
Bentornato,
vagabondo! Ce l’hai con te il fiore?

Puck
Ce l’ho.

Oberon
Dammelo, ti prego. Io conosco
un declivio dove fiorisce il timo,
dove crescono viole a capo chino
e margherite, e dove l’agrifoglio
s’intreccia sontuoso a baldacchino
con la rosa canina e la moscata.
Titania spesso dorme lí, cullata
tra questi fiori da delizie e danze;
e lí il serpente getta la sua pelle smaltata,
ampia abbastanza pel manto di una fata.
Le spalmerò sugli occhi questo succo,
la riempirò di fantasie orrende.
Prendine un po’ e cerca per il bosco,
c’è una dolce ateniese innamorata
di un giovane sprezzante. Ungi i suoi occhi,
ma fallo in modo che sarà la donna
la prima cosa che egli potrà scorgere.
Lo riconosci dagli abiti ateniesi.
E mettici ogni cura: che egli provi
tale un amor per lei che neanche lei
lo ha mai provato uguale. E, bada, torna
prima che il gallo canti.

Puck
Non temere,
il tuo servo farà come comandi.

Escono

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).