Quattro poesie.
Dopo non serve più nessun classico,
nessuno che misuri la notte in metri,
che riceva rassicurazioni, facili progetti.
Con i venti a intermittenza sui lati
e la schiuma della pioggia che scende
come quel caldo blu che sprigiona la notte.
Nemmeno queste bucce d’arancia
riassorbite dal tavolo, servono,
questa natura morta che riporta il rito,
l’azione che si stempera contro le finestre
in brevi flussi e immagini a campione.
Tutto visto e riportato, quanto basta
per smussare con precisione i marmi
e rendere cartelle e protocolli inutili.
Come se il reale fosse questo stonare di dita,
il movimento, le azioni disciplinate:
l’apertura di un corpo e il suo molle riposo.
*
Le attese hanno nomi precisi
soste verso il futuro,
si muovono sui grandi quaderni della lezione
attraverso filamenti e carta di luce.
*
Cade su un lato il buio del palazzo.
Siamo in un parcheggio
sotto la linea del controllo.
Solo questo vuoi,
gli occhi del bugiardo a giusta distanza.
*
Gli stili ci precedono, temuti e assenti.
I solidi della notte, così spenti e ritirati si espandono.
Ogni cosa si confonde, questi palazzi interni e verticali
dove non c’è borsa e i traguardi collidono
e niente è attuale tranne le superfici,
i registri materializzati.
Spingi le precisazioni, la ricerca non tace più
l’ossigeno si alza dalle vie, riempie le ossa.
Si perlustrano le strade, i grandi dormitori.
Segui la traccia, la reliquia parla…
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).