Per Vittorio Sereni (1913-1983). Da “Gli strumenti umani” /2

da | Ago 6, 2013

Prosegue l’omaggio di «Officina Poesia» e di «Nuovi Argomenti» a Vittorio Sereni, nel centenario della sua nascita. Oggi pubblichiamo tre poesie tratte da “Apparizioni o incontri”, quinta e ultima sezione degli “Strumenti umani” (1965).

Intervista a un suicida

L’anima, quello che diciamo l’anima e non è
che una fitta di rimorso,
lenta deplorazione sull’ombra dell’addio
mi rimbrottò dall’argine.

Ero, come sempre, in ritardo
e il funerale a mezza strada, la sua furia
nera ben dentro il cuore del paese.
Il posto: quello, non cambiato – con memoria
di grilli e rane, di acquitrino e selva
di campane sfatte –
ora in polvere, in secco fango, ricettacolo
di spettri di treni in manovra
il pubblico macello discosto dal paese
di quel tanto…
________________In che rapporto con l’eterno?
Mi volsi per chiederlo alla detta anima, cosiddetta.
Immobile, uniforme
rispose per lei (per me) una siepe di fuoco
crepitante lieve, come di vetro liquido
indolore con dolore.
Gettai nel riverbero il mio perché l’hai fatto?
Ma non svettarono voci lingueggianti in fiamma,
non la storia di un uomo:
________________________simulacri,
e nemmeno, figure della vita.

_____________________________La porta
carraia, e là di colpo nasce la cosa atroce,
la carretta degli arsi da lanciafiamme…
rinvenni, pare, anni dopo nel grigiore di qui
tra cassette di gerani, polvere o fango
dove tutto sbiadiva, anche

– potrei giurarlo, sorrideva nel fuoco –
anche… e parlando ornato:
»mia donna venne a me di Val di Pado»
sicché (non quaglia con me – ripetendomi –
non quagliano acque lacustri e commoventi pioppi
non papaveri e fiori di brughiera)
ebbi un cane, anche troppo mi ci ero affezionato,
tanto da distinguere tra i colpi del qui vicino mattatoio
il colpo che me lo aveva finito.
In quanto all’ammanco di cui facevano discorsi
sul sasso o altrove puoi scriverlo, come vuoi:

NON NELLE CASSE DEL COMUNE
L’AMMANCO
ERA NEL SUO CUORE

Decresceva alla vista, spariva per l’eterno.
Era l’eterno stesso
________________puerile, dei terrori
rosso su rosso, famelico sbadiglio
della noia
_________col suono della pioggia sui sagrati…
Ma venti trent’anni
fa lo stesso, il tempo di turbarsi
tornare in pace gli steli
se corre un motore la campagna,
si passano la voce dell’evento

ma non se ne curano, la sanno lunga
le acque falsamente ora limpide tra questi
oggi diritti regolari argini,
_______________________lo spazio
si copre di case popolari, di un altro
segregato squallore dentro le forme del vuoto.
______________________________________…Pensare
cosa può essere – voi che fate
lamenti dal cuore delle città
sulle città senza cuore –
cosa può essere un uomo in un paese,
sotto il pennino dello scriba una pagina frusciante
e dopo
dentro una polvere di archivi
nulla nessuno in nessun luogo mai.

*
Dall’Olanda

Amsterdam

A portarmi fu il caso tra le nove
e le dieci d’una domenica mattina
svoltando a un ponte, uno dei tanti, a destra
lungo il semigelo d’un canale. E non
questa è la casa, ma soltanto
– mille volte già vista –
sul cartello dimesso: «Casa di Anna Frank».

Disse più tardi il mio compagno: quella
di Anna Frank non dev’essere, non è
privilegiata memoria. Ce ne furono tanti
che crollarono per sola fame
senza il tempo di scriverlo.
Lei, è vero, lo scrisse.
Ma a ogni volta a ogni punto lungo ogni canale
continuavano a cercarla senza trovarla più
ritrovandola sempre.
Per questo è una e insondabile Amsterdam
nei suoi tre quattro variabili elementi
che fonde in tante unità ricorrenti, nei suoi
tre quattro fradici o acerbi colori
che quanto è grande il suo spazio perpetua,
anima che s’irraggia ferma e limpida
su migliaia d’altri volti, germe
dovunque e germoglio di Anna Frank.
Per questo è sui suoi canali vertiginosa Amsterdam.

*

Il muro

Sono
quasi in sogno a Luino
lungo il muro dei morti.
Qua i nostri volti ardevano nell’ombra
nella luce rosa che sulle nove di sera
piovevano gli alberi a giugno?
Certo chi muore… ma questi che vivono
invece: giocano in notturna, sei
contro sei, quelli di Porto
e delle Verbanesi nuova gioventù.
Io da loro distolto
sento l’animazione delle foglie
e in questa farsi strada la bufera.
Scagliano polvere e fronde scagliano ira
quelli di là dal muro –
e tra essi il più caro.
__________________«Papà – faccio per difendermi
puerilmente – papà…».

Non c’è molto da opporgli, il tuffo
di carità il soprassalto in me quando leggo
di fioriture in pieno inverno sulle alture
che lo cerchiano là nel suo gelo al fondo,
se gli porto notizie delle sue cose
se lo sento tarlarsi (la duplice
la subdola fedeltà delle cose:
capaci di resistere oltre una vita d’uomo
e poi si sfaldano trasognandoci anni o momenti dopo)
su qualche mensola
in via Scarlatti 27 a Milano.

Dice che è carità pelosa, di presagio
del mio prossimo ghiaccio, me lo dice come in gloria
rasserenandosi rasserenandomi
mentre riapro gli occhi e lui si ritira ridendo
– e ancora folleggiano quei ragazzi animosi contro bufera e [notte –

lo dice con polvere e foglie da tutto il muro
che una sera d’estate è una sera d’estate
e adesso avrà più senso
il canto degli ubriachi dalla parte di Creva.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).