Ostenda, al Sud

da | Mar 13, 2018

Sei poesie nella traduzione inedita di Francesco Tarquini.

Come non lasciarsi alle spalle

Come non lasciarsi alle spalle quel modo di chiudere la porta,
di camminare
di avanzare scuse e giustificazioni.
Come non dimenticare quella distribuzione degli spazi:
salotto, stanza da letto, cucine, latrine,
celle, tombe, scoli d’acqua putrida
e l’impiccato al ramo,
accarezzare col dito la paglia antica delle sedie
il velluto con il polpastrello
leggere sotto il paralume in pergamena
vestire con l’eleganza della nonna.
Come non lasciar perdere,
il corpo che dondola dalla carrucola
ancora appeso.

*

La casa

Come far svanire una casa, la sua struttura
lieve come legno di cannella, solida nel ricordo,
le travi con frasi scritte in maiuscole
e le finestre che inquadrano un solo paesaggio,
livido, dell’infanzia.
Come ridar fuoco alla cenere e risucchiarla
su per un buco nero, o meglio luminoso, chiarissimo
che brilli fino in fondo e poi si spenga.
Come non entrare né uscire, che non ci sia un atrio
né una scala, né un salone, né una madre
in fondo a una poltrona, e un fratello perennemente chiuso [in bagno
alla scoperta della propria adolescenza.
Come, una volta che la casa sia tranquilla, cancellare
l’assenza del padre
con polverosa rabbia insediata nel vuoto.

*

Questo corpo, unico padrone di se stesso,
incurvato, cocciuto,

questa sottomissione innominata
a uno stato, a una corta transizione
tra veglia e sonno,

malvolente, scorticato, regredito,
pura esplosione improvvisa e giogo
strattonato, scalciata e cumulo,
a malapena sazio di sventura,
paese polveroso e dimenticato,

questo corpo spodestato, negativo e copia
del corpo amato che fu,
adesso senza causa né ragione o titolo
che sussurri e rumini la sua ragione d’oblìo
sta impavido lottando, e chiede

mendicando, umilmente,
di nascere mentre nasce
come chi seppe mentre sapeva,
l’impossibile.

*

Ostenda, al Sud

Ha un’omonima, Ostenda, su una costa, al Sud.
Quando uno è a Ostenda, al Sud, gli viene in mente,
…………………………………….fuori d’evidenza,
Ostenda al Nord. Si cammina
per i suoi sentieri sabbiosi, e si scopre
il vecchio albergo, copia degli edifici fine secolo
di Montreux, o della riva sinistra di Ginevra.
……………………………………Ma Ostenda
è un infimo luogo di vacanza nella Provincia di Buenos Aires
in faccia all’Atlantico; una parvenza di giardino spelacchiato
su una terrazza nebbiosa, un arbusto
rotolante sulla spiaggia.
……………………………..La ruggine si arrampica sui muri
aprendo porte sulle dune, la stessa che tranquilla risplende
su ogni lancia della scuola fiamminga.
…………..All’albergo in rovina si adatta la luce del nord,
quella che patisce quaggiù irriga come un fertile sottosuolo
……………………….la composizione felice.
Ostenda, stremata sotto il vento, al Sud.

*

Il linguaggio

Che il linguaggio fosse una catena
perché lo è anche il tempo,
ci fece dubitare del tempo
fatto d’istanti,
sostantivi che la memoria avverbia
come una ruspa cerca la terra in un punto qualunque
…………………………………….del pianeta,
o il ballerino la danza
mentre gira su se stesso.
Dicemmo il tempo attraverso gli istanti,
il linguaggio attraverso le parole,
per alleviare il peso del lento disagio
di ogni singolo istante
di ogni singola parola.

*

Quando albeggia

a Amy Kaminsky

Quando albeggia
quando arriva la luce a svelarmi
e mi sottrae alla condizione d’ombra
e si nutre di trilli il silenzio, di motori
e voci scrivo
come una scoperta dell’ombra che va via

Non posso alzarmi
voglio essere armata
per la solitudine feconda
nessuno mi cerchi
nessuno mi faccia del male,
nessuno mi chieda nulla
lasciatemi nel mio terreno ferito

Non ci sono
e non so a cosa servo
lasciami cancellare ogni mia traccia
lasciami restare
nel rovescio del cielo mattutino
prima del sole
non mi condurre
dentro l’impuro mezzogiorno bianco

Sdràiati in piedi
chiudi gli occhi anche se aperti
taci
e opera al buio
svanisci e torna a vivere nella copertina di un libro
taci tra i fogli
come su un letto di foglie
nel cuore del bosco
fatti autunno
scricchiola, crepita, guarda
ma non dire
non è la morte ancora
ottusa certezza del dolore
che medita di anticipare la fine
non è la morte ancora

è tra due ombre un filo di luna
bianco e terso
è la rivelazione
di uno stato di guerra
più grande

Il sole calcina
il deserto è buio
i giorni bevono
i mattini cantano il canto degli annegati
nella metro – in banca – in ufficio
congiunti e muti
si accalcano sulle porte
denari fruscianti e sonanti
di portafogli altrui

Ti alzi per perderti
parli per sottrarti
cammini per sprofondare
corri, gridi, celebri sacrifici forestieri

Anche Valéry frugava
nelle ore precedenti l’alba
nelle tasche vuote della sua persona
riusciva pure
a tirar fuori oggetti e a recuperarne le tracce
conobbe pure che la geometria
è un continente nudo
un equilibrio innecessario.

per Alejandra Pizarnik

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).