«Mi risponda col Suo libro»

da | Gen 15, 2018

Il prossimo 26 gennaio, in occasione della mostra «Mi risponda col Suo libro». Il carteggio tra Alba de Céspedes e Libero de Libero al Laboratorio Formentini (Via Marco Formentini, 10 – Milano ), sarà dedicato un incontro a De Libero. Come anticipazione, proponiamo questa scelta di testi.

Da Solstizio, Quaderni di Novissima (De Fonseca), 1934

E questi sono i territori
della notte e questo è l’ulivo
ove il passero piega
sul chiarore del canto,
e questa notte di foglie
mi colma e di vento.
Solo al fiume mi sto
con armenti di roccia
e perpetui orizzonti:
nel suo oscuro splendore
sento il corpo terreno
alla radice estinto.
A forza d’ascoltare la notte
percorro terre, e quante
incontro all’alba.

*

Da Proverbi, in Il libro del forestiero, Mondadori, 1946

Notizia

Andai per la terra
non umile ma ricco
d’occhi e la mente amorosa:
fuoco al corpo e all’anima pioggia.
Ebbi segreti quante le foglie
d’un bosco e rapidi giorni
come levrieri.
Ora il sasso nell’aria
segna la traccia mia.

VII

La tua mano sull’erba
era come la rosa
appena nata e già regina:
nella notte ero il tuo ramo,
la foglia più lontana tremava.

*

Da Di brace in brace (Mondadori, 1971)

Per un trionfo di vertebre

Ho mangiato le mie spine e carbone
del castigo, le schiume ho bevuto
del tuo furore e gli urli della sete.
E tu ancora chiedi soccorsi alla fame,
ceneri da bruciare, lamento e fiore
contro il tuo grembo, un supplizio più reo
del nostro peccato d’esser vivi:
sono infette le nostre delizie,
gemelli siamo del verme tagliato.
Con verde fumo e chiarori di neve
sembra il tuo sguardo illibato paese,
è un deserto muffito di sale
dove singhiozza la nostra demenza.

Dal grappolo che m’offri gonfio d’uva
Spremo il sole che la paura esalta
E con la tua fa pelle e funebre criniera:
questo è l’arido harem che ci tocca,
è questa la notte più lunga del fiume
che avvinti trascina il bene e il male,
noi complici di nascite incompiute,
sboccia in lagrima il nostro seme e muore.

Siamo relitti d’una grande marcia
nella gioventù, fossili noi siamo
a forma di cuore in astucci d’ortica,
orafo non v’è per farne gioielli:
e quale amore dovrebbe pietre
di sangue cercare come amuleti?
Noi eroi a noi funesti d’una lotta
senza fierezza né luce per un trionfo
di vertebre sonanti come tube
del diesirae, infine scheletri potati
d’ogni vergogna saremo immagini
dell’innocenza tornata al suo destino.

IMPROVVISO

Da quell’abisso d’occhi risalgo
naufrago nei cerchi di un’acqua nera
né soccorre la spoglia del mio fiato
quella bocca, zattera negata.
E contro lo scoglio di quel volto
l’onda s’infrange d’un desiderio
infido più dell’alga serpentina
che mi attira allo sprofondo.

*

da Eclisse (1936-1938, in Scempio e lusinga, Mondadori, 1972)

XXIX

Da nulla che ero mi facesti dono
d’essere uno che ti guardava,
e te guardando nella mente me ammiro
e tanto mi piace essere te
che il distacco poco mi duole.

III

Nell’acqua corrono i giorni
e io ardo come fieno estivo.
Nemici gli inviti al ricordo,
eterna tu sei nell’assenza,
a questa pianta che io sono
bisogna la luce che sei tu.
Dormo e tu il giro continui
per altre vie d’aurora
e te non tradisce l’ombra
e i venti dirigi e la pioggia
a questa terra che io sono.

XXXIII

Ora è un tempo che non mi basta.
La tua fronte non è più cielo
e da quel mio cielo sole non cade,
da quel sole luce non prende
e colore il mio giorno.
A queste mani non sono più erba
i tuoi freschi capelli nella siepe
dove si andava per tenere strade
in fondo al mare degli occhi.
Ora è un tempo che non dona pietà.

XLVII

Dimmi se torni nell’aranceto,
degli ulivi dammi quell’ora
quando caduti nel solco
tenero d’erbe io credevo
di foglie le tue mani,
era un letto di luna grande
e d’uva un grande banchetto.
Dimmi se negli uliveti
s’apre ancora la fiera della luna.

*

Da Il libro del forestiero (1938-1942 in Poesie, Oscar Mondadori, 1980)

Passeggiata

Cresciuta è la sera
tra le foglie e odora
la tua guancia al rapido
vento d’una parola
quando la fronte tu pieghi
colma d’occhi.

Allodola

S’apre una porta dinnanzi alla sera
e di te s’illumina un odore
quando al ricordo tu allodola vieni
come un soffio al mare defunto.
Nella farandola cieca dei rami
accesa corri e una voce m’esclude,
muove la mano labili addii.
Forse è il fumo d’un naviglio
quello che scioglie in lontananze
nuvole selvagge e un golfo
mi chiude nell’urto che ti schianta,
smemorata ti appanni come un vetro.

Amici

Erano tanti gli amici
e senza notizie ognuno partì,
altri andare vedrò nella notte
che viaggia come un treno
e fiato non avrò per salutare.
La morte non ha simpatie,
fa come la luce col frutto,
acerbo maturo distrutto.
E il mondo quello non è
che guardi dalla soglia goloso,
porta un volto la gente
e non più volto domani,
accade anche ai fiori nel vento.
Rondini morte sono gli amici
che danno piume alla mia luce
e di me il tempo farà
una secca effigie e lontana.

Vecchiaia, fermati

Tu gonfia di geloni cammina più lenta,
non affrettarti, il cuore ti minaccia,
il fiore che sta per sbocciare lasciami
godere e tutte le botti del mio vino.

Vergognati d’inseguirmi così nuda,
sfasciata all’inguine e in cenci i tuoi seni,
addosso ti cucirò una bella gioventù
e per allegro marito la mia ombra.
Fermati, vecchiaia, riposa laggiù,
contentati di strappare i miei ritratti
e io attenderò che passi tutto il fiume
della vita per venire alla tua riva.

Biografia postuma

A lui bastò l’abbraccio d’una luce
per crescere sazio d’ogni verità,
sprecò attese e intese in premi di speranza,
per avere un compagno scelse se stesso
e andarono in paesi d’un altrove
tornando per strade che crollarono,
soltanto un specchio gli aprì la porta
per condurlo all’inferno del suo sguardo.

*

da Nodi di carta lasciati al tempio di Nara

7

Ogni ombra cerca
La sua persona
E non trova che persone
In attesa
Delle ombre loro.

9

Sei tu cristallo
e fango io sono,
tu vai in pezzi
e io vaso non divento.

*

Da Borrador (Diario 1933-1955, a cura di L. Cantatore, Nuova Eri, 1994)

7 novembre 1938

Nato e vissuto in una famiglia karamazofiana; sbattuto, sin dalla nascita, tra morti e miserie, in una famiglia incapace a difendersi e a lottare; con mia madre tutta la vita disperata nel suo inutile amore per mio padre; con mio padre tutta la vita dilaniato dalla sua onestà e dai politicanti; con mio fratello assassinato per trecento lire; e bisogna dire le angosce di me adulto a dieci anni, e la vita che s’affolla insospettata con tanti mali e tanti beni, con danni e doni; e lo sforzo di comprendere subito quanto è intorno universale e mediocre; e la lotta e un eterno, disingannato amore; e la disperazione di non riuscire uguale alle mie ambizioni?
(…)
E io mi dico che non una maniera di poesia si tratta di difendere, ma il mio stato di uomo nella poesia. Non c’entra la letteratura perciò, ma la poesia (che è sempre il modo migliore, più difficile e più raro di essere uomo) nel senso che, questa decadendo nella sostanza, decado io uomo.

 

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).