Quel che ancora è difficile, ardito, è il moderare la voce tra il canto e il parlato. La Primavera, tra le altre sue astuzie, ha il potere di coglierci i fiori sul labbro, di prenderci via le parole come semi staccati. Lo fa senza curarsi che siano maturi, sicuri. Le mie sedute al bar, al lato della strada, nella purezza della posizione astratta, atta a ricevere i sorrisi casuali, perché imprevedibili, di donne e di omosessuali; queste sedute, sono la possibilità della stagione. E’ lei che acuisce d’un tratto il mio sguardo fino a fargli raggiungere il fondo del vico, perpendicolare, che fa dei miei occhi il suo punto di fuga, del percorso che fanno figure, tre uomini avanzano, e un quarto di spalle. Tutto ciò ci è concesso dalla Primavera. Ma è anche vero che noi, per lei, ci sottoponiamo, come rispondendo ad una chiamata, ad uno speciale dovere, di natura impiegatizia: ogni giorno sedere, per una pattuìta durata, alla sedia del bar, all’incrocio. E tutto questo affinché, grazie al nostro guardare, quell’incrocio resista, possa durare. Il tempo di questa stagione si stanca anche lui, si fa vulnerabile, ci sveglia in queste giornate perché ha bisogno di noi, per far esistere il mondo.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).