Le regole del viaggio

da | Giu 14, 2016

Tre poesie da Le regole del viaggio, Effigie, 2016.

***

Nel bosco

Le ombre dei morti che amo e che ho amato
– ma chissà se ho saputo davvero amare e
chiedo per favore di non pregare per me –
sono finite con altra ferraglia nella pattumiera

metallica che sta qui di fronte. Ci butto dentro
ogni cosa, dalla plastica ai vetri, come un cattivo
cittadino. Faccio finta di ripulire una stanza troppo
piena: diventano inutili cose che altri

ritengono utili e vive per ogni sopravvivenza.
Per riavermi disperdo e finisco nel bosco
ogni dolore tramutandolo in apparente bene
che possa rasserenarmi. Le foglie morbide

sollevate dallo scorrere piano dei passi
toccavo sprofondando dentro la natura
– finalmente una gita, le montagne erano laggiù, appuntite,
i prati verdissimi, silenziosi, ogni minaccia esclusa.

Ora di questo ricordo faccio materia di scarto
lo riuso come fosse un’elegia non vera sull’infelicità.
Trasporto in grandi sacchi le ricorrenze,
i malumori segreti di padri e figli

e sento lo stormire d’abeti
come un concerto d’assi finito dentro ingranaggi taglienti.

*

Weimar

Qui le nuvole sull’autostrada in direzione Turingia,
coprono campi laghi luoghi
i lunghi flessibili alberi di possibili finestre nere.

Il parco è spettro di epoche remote e
improbabili: l’ex DDR vive di lunghe
passeggiate dentro minareti di piccoli boschi.

Nomi intravedo che non voglio vedere.
Recinti.

“Tornare a casa prima della fine”
qualcuno in silenzio avrà detto.

La natura è matura per essere
tagliata in quadrati perfetti.

E oggi prego affinché
l’imperfezione mi sia per sempre amica.

*

Scoperte

Volevo conoscere
l’uomo di Lindow, ma non c’era.

Ero andato via, rimosso dal tempo,
segato in due.

Con il kayak solcavo le rapide
del Klondike per giungere

alla mia terra d’oro.
Poi attraversai la Stele,

e c’era un vento di piroghe
verso la notte, di Sacerdoti

dai Magici Poteri;
la selce, l’azzurro, il fuoco,

le spade e gli elmi,
le palafitte e il Medioevo –

così qualcosa sopravvive al nulla,
mi dicevo,

ma era sempre autunno.

Immagine: John Akomfrah, Vertigo Sea, 2015.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).