Tre poesie da Poesie scelte di William Cliff, traduzione di Fabrizio Bajec, Fermenti editrice, con il contributo della Fondazione Piazzolla, 2015. Per gentile concessione dell’editore Fermenti.
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«Nel 2011, al Marché de la Poésie di Parigi, presentando a qualcuno l’autore belga, mi ero permesso di aggiungere: «il più grande poeta francofono vivente». Cliff mi corresse: «d’Europa!». E io trovai opportuna la precisazione, prima ancora di far mente locale sui viventi.
Ma non sono di certo i cinque o sei premi letterari che egli si è aggiudicato negli anni a confermare questa ipotesi. Non è la presenza del suo nome nel catalogo del primo editore francese, né tanto meno il fatto che Cliff riesca a vivere di poesia.
Per dirla in parole spicciole, le ragioni vanno cercate tra un verso e l’altro.
La scrittura di William Cliff sembra quella di un classico storicizzato dai manuali di letteratura e che potrebbe essere letto a scuola, dopo François Villon, Charles d’Orléans, Maurice Scève, Baudelaire, Apollinaire, senza bisogno di passare per Louis Aragon! (…)
Leggendolo, abbiamo la sensazione di trovarci di fronte al compimento di un processo biologico, all’amplificazione del battito cardiaco o del respiro umano».
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Tempesta
la tempesta avanzava urlando la tempesta
urtava il tetto delle case la tempesta
spingeva continenti di nuvole smontate
la tempesta impediva il sonno del mercante
lo studente inquieto rigirava le sue voglie
nelle pieghe ribelli del letto l’impiegato
con la gamba spezzata sotto il corpo immobile
contemplava il suo tedio distrutto nelle pieghe
della tempesta il conducente sente il volante
sfuggire al suo controllo il venditore locale
vede il telo volar via e i suoi articoli all’aria
il banchiere impaurito tira giù la serranda
sul gabbiotto minacciato della sua agenzia
e le pecore prudenti vanno a ruminare
in un buco senza vento la tempesta va
e viene a sfiatarsi sulle pianure dell’Est
e il cielo sgombro dopo la tempesta lascia
che il gelo venga a massacrare gli insetti
la cui avida ingenza preparava di già
un’estate vana per la terra troppo calda
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Tempête
la tempête avançait en hurlant la tempête
boutant dans le toit des maisons la tempête
poussant des continents de nuées démontées
la tempête empêchait le marchand de dormir
l’étudiant tracassé retournait ses envies
dans les creux révoltés de son lit l’employé
dont la jambe est broyée sous un corps immobile
regardait son ennui saccagé dans les plis
de la tempête le chauffeur sent sa cabine
échapper au contrôle le vendeur du coin
voit sa toile envolée et ses denrées en l’air
le banquier apeuré clôt le rideau de fer
devant la cage menacée de son comptoir
et les moutons prudents vont ruminer au fond
d’un trou à l’abri du vent la tempête passe
et s’en va essouffler dans les plaines de l’Est
et le ciel dégagé laisse après la tempête
venir le gel lequel massacre les insectes
dont l’engeance gourmande déjà préparait
un été de malheur à la terre trop chaude
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Il sonno del padre
mio padre si lamentava spesso dei suoi dolori
sputava parolacce strofinandosi la schiena
o d’un tratto schiacciato dall’eccesso di fatica
sprofondava nel sonno come un sacco di patate
dormiva a gambe aperte e col mento sul petto
ovunque crollando sotto il peso del lavoro
e a volte anche a tavola scansando il suo piatto
con la fronte sulle mani si addormentava
allora gli sfilavamo piano il tovagliolo
da sotto la fronte e le mani le posate
sparecchiavamo la tavola furtivamente
in punta di piedi uscivamo dalla sala
affinché avesse il suo momento di riposo
lo lasciavamo con la fronte poggiata al tavolo
dove dormiva sconfitto come una bestia morta
ma più tardi sentivamo delle urla in sala
gridava perché il sonno lo stava abbandonando
il suo corpo dolente lo mordeva ovunque
le impronte delle dita gli restavano in volto
usciva oltraggiato dal sonno: era troppo bello
esser fuggito così lontano dai problemi!
inveendo e brontolando andava da Marie
in cucina a prendere un goccio di caffè nero
poi usciva saliva in macchina sentivamo
le gomme sulla ghiaia lo spavento era finito
riprendevamo il gioco della guerra fratricida
*
Le sommeil du père
mon père se plaignait souvent de courbatures
il poussait des jurons en se frottant le dos
ou soudain écrasé par excès de fatigue
il tombait en sommeil comme un sac n’importe où
jambes écartées menton sur la poitrine
il dormait effondré sous le poids du travail
et parfois même à table poussant son assiette
et le front sur ses mains il tombait endormi
alors très doucement nous ôtions sa serviette
sous son front et ses mains nous ôtions le couvert
nous débarrassions la table furtivement
sur la pointe des pieds nous désertions la salle
afin qu’il prenne comme il faut tout son repos
nous le laissions le front appuyé sur la table
où il dormait vaincu comme une bête morte
mais plus tard nous entendions crier dans la salle
il hurlait parce que le sommeil le quittait
son corps courbaturé partout lui faisait mal
ses doigts restaient en marques rouges sur sa peau
il sortait fâché du sommeil: c’était si bon
d’être parti ainsi loin de tous ses soucis!
et jurant maugréant il allait chez Marie
à la cuisine boire un coup de café noir
puis il sortait il démarrait on entendait
les pneus le gravier la peur était finie
nous reprenions nos jeux nos guerres fratricides
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Malinconia
(su un disegno di Frédéric Pajak)
quando ero un bambino solitario in campagna
e il cielo aperto mi cadeva sulla testa
e il mare intorno mormorava per venire
a rinchiudermi in una putrida marea
quando in calzoncini sporchi e ridicoli
mostravo le mie ginocchia storte ed ero
un insetto perso nell’umore infinito
degli adulti cattivi che bestemmiavano
allora mi fermavo un momento in spiaggia
e con la mano mi coprivo la faccia per
non vedere l’orrore di esser nato in terra
e aspettare sempre che rispunti il sole
*
Mélancolie
(sur un dessin de Frédéric Pajak)
quand j’étais un enfant tout seul dans la campagne
et que le ciel béant me tombait sur la tête
et que la mer autour murmurait pour venir
lentement m’enfermer dans sa marée pourrie
quand avec ma culotte infecte et ridicule
je montrais mes genoux cagneux et que j’étais
un insecte perdu dans l’humeur infinie
des adultes mauvais qui crachaient leurs blasphèmes
alors je m’arrêtais un instant sur la grève
et je portais ma main sur ma figure pour
ne plus voir l’horreur d’être né sur cette terre
et d’attendre toujours que se lève le jour
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).