Il sogno di Giuseppe

da | Mar 21, 2019

Otto poesie da Il sogno di Giuseppe di Stefano Raimondi, da poco uscito per Amos Edizioni.

Il faraone disse a Giuseppe: “Ho fatto un sogno e
nessuno lo sa interpretare; ora io ho sentito dire
di te che ti basta ascoltare un sogno per interpretarlo
subito”. (Genesi; 41,15)

Il sogno di Giuseppe
diventò di pietra: divenne
cisterna, poi casa e fondale.
A fuggire sarebbe riuscito solo
il corpo sottile di sabbia.
Le sue caviglie erano portali
soglie, dove liberare fratelli e padri.
La casa era sempre più vicina al sogno:
sarebbe crollata con il giorno
con il suo ritorno, indietro, nelle stanze.

La cisterna si fece casa, pelle
voragine di ascolti. Entrarci
era sognare, partire.

*

Aveva una premonizione sola Giuseppe:
il dolore del re. L’avrebbe capito
stando con gli occhi aperti, fissi
dove si diventa inutili o sinceri.

*

Ho fatto un sogno solo
aveva poche cose da dirmi
come sono poche le ore
che finiscono vicino alle cantine
e per niente e per poco respiro
stanno a guardia delle loro ombre.

Si resta nel sonno come in un amore, quello
che si tiene vicino per non dimenticarsi
per non lasciare il punto da dove si è partiti
insieme alle sembianze.

E cambiano le cose sparse sopra i tavoli.

Sopra le cisterne passano i mercanti
e i sogni devono essere raccontati
per salvarsi.

*

Si fanno piccole le stelle.
Anche le più lontane tremano:
chiedono aiuto al buio.

Sono mute le parole lasciate
fuori dai porti, dalle barricate.

Le ho sentite da qui le grida
le suppliche delle terre e viste
le mani unghiare le barche
i bordi delle spiagge, da qui
dove sono recluso, tenuto chiuso.

L’aria fa rumore col silenzio.
Da qui sotto, è il rimbombo
la certezza del vero.

*

Bastava raccontare un sogno
che sembrasse vero per farsi risparmiare;
una storia che durasse fino all’alba
detta con lo stesso suo colore.

Era questo il mio perdono:
la forza di una porta
la bellezza dei cardini.

*

Ci sono giorni di poca importanza
da tenerci svegli, consumati come
la paglia fa col fuoco, l’acqua
con le mani sulle palpebre.
Si tengono tutte vicine le ore buone
quelle tolte ai silenzi, agli insonni
come fossero brani di un foglio infinito:
parole tolte da un amore.

*

Sono i figli le porte del fuoco.

Il sogno diventa mattino: sole
sull’orzo intorno alla casa.

*

Non ha saputo che svegliarsi
tra gli angoli di una storia
di un’inquadratura.

Sono disadorno.
Nudo sono solo.
Mi hanno chiesto del sogno del re…

Chiude la cisterna la luce.
Chiude la cisterna il buio.

Immagine: Zdzisław Beksiński.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).