Euridice

da | Gen 26, 2016

Cinque poesie da L’amore si fa contando di Oriel Pozzoli (La Vita Felice, 2015).

Euridice

Toglimi da questo inverno, levami
la gonna nera e le mie scarpe rotte
sui sassi della discesa, versami
acqua dolce per lavare il pianto
via dai fianchi e dalle mie guance.
Qui c’è soltanto incenerita tenebra
e calma d’ombre senza linfa
né ricordi, una fessura nella terra
dove non si aspetta.
Ma tu suoni la cetra, la tua voce
slega i nodi alle radici, scioglie grumi
minerali, sciami bianchi di farfalle
volano dai colli d’erba per sentirti.
Toglimi da questo inverno, levami
la gonna nera la stanchezza il furto
della mia vita, portami via di qui
con le parole levami e non voltarti.

*

I numeri sono tutto, è una storia di cifre
purché dispari, e alti abbastanza.
Non è necessario sapere l’inizio
dove si cela lo zero assoluto
importa obbedire soltanto contare
che mi hai colpito cinquanta volte più una
e poi di nuovo ho visto allo specchio
la pelle scarlatta, erano lividi grossi
screziati, uno per ogni ritardo:
ne voglio fino all’ultimo.
È fatto di numeri il corpo
sangue seme anche l’umidità
tra le labbra sono molecole formule.
Qual è il numero che mi hai assegnato?
Intanto mi scrutavi
parlando come un oracolo.

*

Se taci, torna il rumore dei treni
di ferro piegato e cerniere
aperte, pause brevi nei turni,
si sente l’odore dei corpi
tornano le schegge nelle mani.
Adesso nel buio dell’hangar s’alzano
sette palazzi celesti di nome
cemento e ossa di acciaio, torri
d’incerto equilibrio, spirali d’ombra
polvere di vetro, cornici e numeri
simboli sulle macerie dell’arte
libri al posto di pietre angolari
quadri senza cornici. Noi sulla scena
contiamo i passi e quanto
ci manca per essere vivi.

*

In un grumo di tempo e destino
i fari puntati sul coro
sul palco una folla di vesti rigonfie
il tiranno e suo figlio si rodono il cuore.
Io la vidi e il suo sorriso
nuovo un ciel apriva a me…
(1)
Dopo la musica ci chiuderemo
nel nostro guscio d’ombra
non vedo l’ora sfiorami
le gambe, ti prego, andiamo di corsa.
La nota più acuta si piega nel cupo
richiamo del corno, la viola risponde.
Cortei di dannati all’ultimo atto
sfilano insieme i vivi e i morti.
Non c’è dove meno ti voglia, un punto
del corpo un nervo che meno ti aspetti.

*

Un altro sorso, dici, e mi circondi
la vita con gli occhi,
voglio sentire dio
mentre scorre nelle tue vene.
Ti piace? So che ti piace
vestirti per farti guardare
e sei già ebbra quando ti apro
se un uomo ti ha seguita
lodando le tue gambe
fino al mio numero.
Ora sei qui
e il passato si dilegua.
Bevi tutta la schiuma
prima che si disfi
devi ancheggiare, sì,
mentre ti respiro sulla testa.
Come se ci incontrassimo
per la prima volta
nel folto di un bosco
e rotolassimo tra le foglie
che crescono.

Note:
(1) Dal Don Carlo di Giuseppe Verdi.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).