Elisabeth Cook, Schiudersi

da | Lug 30, 2019

Quattro poesie nella traduzione inedita di Alberto Frigo.

Ciotola

Dammi una ciotola, larga
e svasata. Docile
alla luce come un orizzonte aperto
a tutto il peso
di un cielo che si perde.

Dammi una tazza che si volga
per sempre in una curva
così dolce che un bambino
potrebbe reggerla e gli animali
abbeverarsi senza timore al suo basso bordo.

*

Lupa

La prima covata non aveva avuto esitazioni.
Lei aveva appena finito di pulirli leccandoli,
e di mangiare la membrana viscida, e già loro sapevano come arrivare
alle mammelle, succhiavano per rafforzarsi,
la mordevano anche
fino a scarnificarla.

Questi qui, grandi e nudi, non avevano proprio idea.
Facevano un rumore che il suo latte sapeva tacere
ma non capivano come arrivare al latte.
Lei trovò una maniera di disporre le zampe,
ritraendo le unghie, per sostenere e circondare
i bambini, che tra loro
s’abbracciavano.

Ma succhiavano il suo latte,
erano suoi. Voleva tenerseli.
Quando venne il primo uomo, le saltò alla gola,
ringhiando per proteggere i suoi sprovveduti figli.
Loro si stringevano, preferendo la sicurezza del suo riparo
a quella della creatura alta e rumorosa
che li reclamava.

Poi vennero in quattro. Portarono la carcassa
di una pecora e la gettarono per terra, un po’ più in là,
per distrarla.
Lei la guardò,
sollevò il muso e annusò l’aria.
Le sue orecchie tradivano che aveva quasi inteso
il richiamo della carne. Ma non si mosse.

Allora gli uomini la fecero fuori con una freccia
e la infilzarono. L’ultima cosa che i ragazzi conobbero
della loro madre adottiva fu il rumore del suo ululato,
mentre lottava con le unghie per difenderli,
per salvarsi, e salvare le selvagge
colline, che erano la casa.

*

Exemplum
(per Samuel SSF)

Avrebbe potuto volare in maniera diversa
se non ci fosse stata la fame.
Ciò che notammo
nel corso del quarto d’ora in cui attraversò
e riattraversò l’aria sopra le nostre teste
fu la sua diligenza; e mai variava
il ritmo del suo volo.

Con l’attenzione di una donna
che ispezioni uno scampolo di tessuto
per cercare i nodi o le imperfezioni;
con la calma e la lentezza del trattore che percorre su e giù
i suoi campi d’argilla,
e poi da un lato all’altro, rivoltando
una ad una le zolle burrose,
finché tutto il campo ha un nuovo aspetto e brilla,
riarrangiato ed inedito.

Così perseverava il nibbio,
senza che mai la sua fame pressante
e la fame dei suoi piccoli
l’inducessero alla fretta
o all’errore. Nella paziente, costante attenzione del rapace
per ogni palmo di quest’aspra, nodosa terra
traspariva ciò che Eckhart chiama
l’immutabilità di Dio.

*

La trapunta

Pensava che all’approssimarsi della morte
sarebbe stato troppo terrorizzato
perché la cosa andasse bene.
Vedeva se stesso rivolto
nel senso sbagliato – verso ciò che stava abbandonando –
trascinato via, mentre cercava di resistere
con tutte le sue forze, e nella sua scia una corrente confusa
piena di cose rotte e sanguinanti.

Ma nelle ultime settimane si era disteso
come sotto una trapunta calda,
e sulla trapunta un gatto
lo calpestava, affondando una zampa dopo l’altra,
ancora e ancora, calcando e spingendo
e facendo di lui il proprio piacevole angoletto,
un letto comodo
dove accovacciarsi e dormire.

E sprofondato in una dolce confusione si domandava
se ciò che aveva in passato chiamato Dio
non fosse il gatto che si preparava da dormire
trovando in lui un angoletto piacevole,
oppure se dopotutto non fosse lui stesso il gatto
pronto a sprofondare
nell’abbraccio di ciò che aveva in precedenza chiamato Dio,
o paradiso o altro ancora.