Cronaca senza storia

da | Apr 8, 2016

Quattro poesie da Cronaca senza storia (Poesie 1999-2005), prefazione di Paolo Maccari, appena uscito per Elliot.

Gli occhiali

Da anni, al buio, quando non so più niente o quasi
le stesse mani mi tolgono gli occhiali
con la stessa dolcezza che si sa
senza futuro
e un breve tocco d’ironia per me
che li dimentico ancora e sempre addosso
perfino nell’amore – sì, malgrado i volti
mutevoli le stesse mani ripide
con identico cuore, con uguale
cura da anni mi piegano gli occhiali
su un comodino, un pavimento, un letto,
su un fianco nudo o sul bicchiere o il libro
di un poeta minore – e poi da anni gli stessi
capelli tiepidi (ricci più spesso,
lisci se m’illudo)
mi cadono di colpo sopra il petto
come un vento che taglia, ma non dura.
Così, con questa stessa
breve ironia, e con la stessa dolcezza che si sa
senza futuro,
nel futuro una mano toglierà
(ripida, identica a mille altre mani)
dal buio del mio sguardo i vecchi occhiali,
farà più uguali amore e cecità.

*

Ultimamente

Tutte le cose che ho assaggiato
senza conoscerle davvero: le riviste engagées,
il tedesco e la tecnica del calcio,
gli oratori barocchi, le ragazze
che dànno il primo bacio a dieci anni
e soprattutto te,
da adesso in poi non potrò più provarle
ma soltanto archiviarle:
fatti e non atti,
frutti colti maturi e non cresciuti
insieme a queste mani,
figliastri nati senza seme mio.
Vivo tempi di proroga, mio amore,
non tempi d’esperienza
e perdo anche i conforti dell’addio:
quaggiù dove ti scrivo
chi si uccide non lo fa
per il dolore
lo fa per l’impazienza.

*

Litania

VII

La bocca ti sembrava una straniera
trapiantata nel viso per tortura. “Ammazzala”
dicevi, e ti torcevi
con le dita le labbra, il seno i fianchi
in uno scalpitare che mimava
l’amore di qualcuno sopra te, e ti attraversava
sul torso come un’unica abrasione:
volevi che il rifiuto mio ad averti
senza inventarti, subito, lì intera
prendesse forma di maledizione.
Ma oggi la preghiera
non passa più dal corpo, e sola intrusa
nel letto è questa mia figura attorta
che ci dorme da sempre e non ha storia,
mentre tu provvisoria liscia giaci
col sonno di una morta. A volte baci
per poco il muro bianco, poi ritiri
la testa nell’umida camicia
come rósa da un acido, dal fiato,
dentro il groviglio di lenzuola e vesti.
Ti vince il sonno ancora, ma tu sai
che se lo vinci è lui che ti ha perduta:
e tanto forte vuoi l’assenza e scacci
ogni premio del giorno che alla luce
ho il terrore di crederti rappresa
in quel falò di stracci. Così cuce
un quieto inverno la nostra doppia fuga
dal corpo e dal suo tempo: la mia che a un sole
immoto e senza amore si consuma,
la tua che senza me al mio buio sfuma.

*

Ancona, il porto

Ami le gru sospese, dinosauri
in esilio mansueto sopra il molo,
le funi strette agli argani, le fauci
oscure dei traghetti e il lungo assolo
in cui le ruspe chiudono il lamento
del giallo muso attonito: speranza
di infanzia e trascendenza chiami il lento,
grave oscillare ai traffici, e la danza
di questi alti giocattoli più umani
degli uomini vorresti penetrare
fino al miraggio in cui la Storia cede
al suo inconscio beffardo, e si intravede
nell’incanto del moto pendolare
un dio sepolto, un lume per domani.

Immagine: Opera di Laure Prouvost.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).