Codice siciliano

da | Giu 24, 2014

Sulla quarta di copertina dell’edizione Mondadori uscita per Lo Specchio nel 1978, Giuseppe Pontiggia sottolineava come Codice Siciliano, già edito da Scheiwiller (1957), potesse essere «letto come un archetipo e insieme incunabolo di Horcynus Orca», pubblicato nel 1975, «non solo per l’affiorare dei temi centrali, dal nostos omerico alla trasfigurazione epica della pesca, dalla presenza della morte a quella dei delfini e delle sirene, ma anche per i primi segni di quell’immenso lavoro sul linguaggio che troverà nell’opera maggiore la sua realizzazione più compiuta».

La selezione da me effettuata risponde a una lettura possibile, senz’altro parziale. Aggiungo che ho preferito esporre, bruscamente e talvolta estraendoli a forza dal corpo dei poemetti nei quali si trovavano inseriti, quei brani che mi sembravano garantire un’illuminazione immediata, la cui matrice affettiva e nostalgica assume un rilievo specifico e tuttavia mai incline al ripiegamento intimista.

Dalla nostalgia per i tempi («l’antico / avverso futuro dei vivi») a quella per gli spazi («Taormina, mia Mignon, è dove mai / sempre s’arriva»), a quella per la donna-Italia e fino al ricordo di amici e familiari che «sui ginocchi ci fanno la guardia / in sembianza di animali fedeli», D’Arrigo parla nei «versi oscuri della divozione». Con la voce di un mitico fanciullo del Sud.

Sergio Costa

da PREGRECA[1]

Gli altri migravano: per mari
celesti, supini, su navi solari
migravano nella eternità.
I siciliani emigravano invece.
Alle marine, nel fragore illune
delle onde, per nuvole e dune
a spirale di pallide ceneri
di vulcani, alla radice del sale,
discesi dall’alto al basso
mondo, figurati sul piede
dell’imbarco come per simbolo
della meridionale specie,
spatriavano, il passo di pece
avanzato a più nere sponde,
al tenebroso, oceanico
oltremare, al loro antico
avverso futuro di vivi.

*

da TU CHE NEL MONDO HAI PAROLA ANCORA

1

Più di tutti mortale, trafelato,
tu più solo sei vissuto nel giro
degli orologi fatti a mano,
le improvvise clessidre del tuo male
donde quaggiù colava così esatta
coi granelli di sabbia raggelata
la tua noia infinita ove ti disfi.

2

Oggi tu alzi le tue mani a scudo
sul tuo petto assalito dalla luce,
alzi la voce, oh lancia che difenda
da quel drago favoloso tra di noi.
Così tu muori inerme, ti sfiguri
nei nostri gridi quando è notte o volo
di corvi notturnanti nel tuo sguardo.

*

da SUI PRATI, ORA IN CENERE, D’OMERO

Qui, dove m’assomiglio, in patria,
sui prati, ora in cenere, d’Omero,
io da una gran guerra reduce, e da quante
un gran figlio mi ricorda mia madre,
perduto con lo scudo o sullo scudo,
desidero tornare spalla a spalla
coi miei amici marinai che vanno
sempre più dentro nei versi, nel mare.

*

da OH CARE, OH NERE ANIME

Latrano, oh nere, oh care anime in pena,
sui ginocchi ci fanno la guardia
in sembianza d’animali fedeli
che storie di famiglia come un cumulo
antico di pazienza custodiscono
dietro un velo di lagrime, da statue.

Latrano, e sono familiari anime
i cani che ci fiutano nel sonno,
dall’aldilà ci guardano con occhi
di tizzoni raspando sulla soglia:
sino all’alba ci lamentano in sorte
mentre sull’albero la luna nuova
si fa il nido, cova la malanuova.

*

IN SICILIA, A MEMORIA DEGLI AMICI

Se mia madre è piena di grazie,
se con me, con la sua voce d’agnella,
discorre del sesso degli angeli,
vantandosi del mio come una ladra
che ha le ciglia lunghe, passionali;
se lei quella sua meraviglia a guardia
del mio sonno pone, se a palme aperte
arriccia e smorza sul nascere i coltelli
dell’invidia, se scongiurando fa
fuoco e fiamme, l’inferno nel dialetto,
nella sua bocca zecchino e nerofumo;
se ammansisce tigri e leoni, lusinghe
intorno intorno alla mia snella vita;
se sola intreccia a cometa parole
nel cielo dei suoi capelli a chiocciola,
uno col mio avvenire, col favore
di madre che va negli Inferi e viene,
nessuno in Sicilia lo tradisce,
nemmeno col pensiero, con la luna:
vive conteso al destino, di spalle,
nascosto in una nuvoletta di sale.
In Sicilia, a memoria degli amici,
nei versi oscuri della divozione,
uno simile sovente si cita,
con uno scorpione sul guanciale.

*

da VERSI PER LA MADRE E PER LA QUAGLIA

1

Per me è morta, ormai volata via
dalle mie mani nel cielo d’infanzia
la quaglia d’Africa: più non si imita
col verso d’oro che implora la vita.

*

da GIOVENTU’ QUI CI PASSA AD ANNODARE

1

È sera e ci diciamo a Sud: «Italia»,
noi maschi, fumando, sottovoce,
sulla riva del mare in un’estate.
Un nome, il Nord, l’antico futuro,
l’amico un nulla sussurra all’amico,
profilo appena di donna lontana
sulla moneta, la nostra ventura.
Ma Italia oh come con nulla colora
in bocca a noi, avvenire di cafoni,
oh come fra le dita qui si onora
la sua capigliatura di cometa,
quella chioma più lunga della vita.

4

Gioventù qui ci passa ad annodare
la lunga treccia che si chiama
Italia, e pare gioco da focolare.
A un nodo ci ama, all’altro ci minaccia,
ora ci cresce di fede e di voglie
e ora quel che ci concede, ci toglie.
Mettete, madri, il nostro cuore in boccia:
a un capello di donna è legato
il destino che ci fu svelato.

*

QUANDO CON MITE

Quando con mite fragore di tuono
dal mare arriva primavera
e il cuore si fa di cera,
miele di dolce frastuono
di migrazioni di pesci e d’uccelli,
il vostro nome ha rapido suono
di pinne e d’ali e noi fra quelli
vi immaginiamo, perché è vero
che anche la vostra meta è un mistero.

*

TAORMINA, MIA MIGNON

Taormina, mia Mignon, è dove mai
sempre s’arriva, pellegrini
dal cuore di rughe,
in tempo per vivere
« obliti/obliviscendi » [2]
una seconda volta la vita.

 


[1] In “Pregreca” si allude ad alcuni «riti di seppellimento in uso presso gli antichi abitatori della Sicilia».

[2] Dimenticato/dimenticando.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).