Alcune poesie da Aprile di là di Francesca Serragnoli, Collana Gialla, pordenonelegge-Lietocolle, 2016.
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Non riuscivo a dire nulla d’immortale
accarezzavo moltissimi dei tuoi nomi
ero quella sulla scala mobile
che incrociavi senza morire.
Non te lo so spiegare, dicevi
ma la rosa è meglio di te
è rossa, e quel rosso tu non ce l’hai.
Hai la fuga e il piede nella pietra
non hai nemmeno l’azzurro
fra punta e punta.
È come se avessi gettato
gli anelli in mare,
rovesciato il fiato come cenere.
*
La settimana è quell’onda d’acqua
che va contro la domenica
capelli grigi tremano fra il vento e il cielo
la settimana riposa in quella sabbia
che scendeva un tempo
dalle tue mani di dolce mangiafuoco
il gioco delle tue labbra spostava
la luna e la polvere
chiamavano l’onda per nome
chiamavamo quell’acqua, quel foulard
volevamo toccare la domenica, quel costato
come ragni del Signore, iniziare lì.
*
La prima paura deve essere stata gelida
parete di roccia, indietreggiare,
la scoperta del fuoco, dire bruciato al buio
gesticolare, uccidersi
il primo pianto dalla radice pleg, battere
forse la testa contro la pietra
toccare il duro di qualunque punta
la prima morte: incomprensibile
la fuga per ripararsi contro la parete gelida
e i giorni uguali, senza bisbigli
i primi altari a Dio, dalla radice div, splendere
Dio dalla radice div
lasciaci parlare così
lo stupore dalla radice stap, stare fermo
il cielo ku o cu, cavità
lasciaci godere il suono iniziale
perché tutto evolva lì
come scemi ci guarderanno indicare con il dito le stelle
come somari pop dare del dio a tutto
accusati di laureata semplicità, freghiamocene
riaccendiamo i fuochi notturni
guardiamoci i volti salire in alto
faccia e fuoco dalla stessa radice bha brillare.
*
Geriatria lunardelli, reparto (II)
(…) I venti che risvegliarono le stelle
soffiano attraverso il mio sangue (…)
William Butler Yeats
Gabriella faceva la modista
anni ottantotto, pelle tirata
a digiuno da cinque giorni
ossa che sporgono come mani
la bocca aperta, deve respirare
combatte contro un batterio
Gabriella aveva l’atelier in via Ugo Bassi
vestiva la moglie di Walter Chiari
ora è un soldato con la casacca bianca
l’asta del fucile accanto al letto
Gabriella! ho ripetuto il suo nome sei sette volte
mi guardava spingeva gli occhi neri per toccarmi
quel nero vivo elegante abito da sera
vetro brillante di paillettes, i tacchi altissimi
poi ha toccato le labbra per me
un saluto militare
Gabriella! alza quel nero vivo uccello notturno
che raspa fra le mani strette, alzalo
che riposi fra le tempie della notte
mentre ti guardo con il volto di vetro soffiato
e le stesse vecchie dure lacrime
sono i miei occhi azzurri.
*
Cerco qualcuno
con la faccia tiepida
la cui miseria umana stia ferma
su questo tavolo di legno
come la mia.
Vorrei le mani di mia nonna
con un velo di pelle a novant’anni
tirava l’acqua
da un pozzo profondo
ricordo i suoi occhi giganti
sollevarsi dietro le lenti.
Quello era un davanzale
da cui ora mi sporgo
come un filo di bava nell’aria
che attende che una mano lo centri.
Anish Kapoor, Sky Mirror, 2004-2007.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).