Ca + P + Os + Se + La

da | Giu 17, 2019 | Melotecnica, Non Fiction

Ca + P + Os + Se + La →
CaPOsSeLa
(calcio, fosforo, osmio, selenio, lantanio)

La spettroscopia atomica dell’umanità

«Il vero inferno è una cosa senza rumore. Esso non delira o infuria, non è una bestia feroce, ma un che, un qualcuno di sordido e molle che s’insinua in noi, quando con noi non nasca, e a poco a poco riempie tutte le nostre cavità, fino a soffocarci. Esso è fatto di giorni inerti (chimicamente parlando), d’infedeltà a noi stessi, di continui cedimenti. E dico che quest’unico, verace suo volto e del male ci vegliò quando le nostre speranze furono peccaminosamente stanche»
Tommaso Landolfi, LA BIERE DU PECHEUR, Rizzoli, 1989

Uno dei primi ricordi che ho riguarda me che cavalco: sono sotto un tavolo, salgo sulla groppa di questa cagnolina e le dico di andare; lei stancamente si tira su e mi fa fare un giro, piccolo, in tondo, poi mi lascia a piedi. Ho tre anni, massimo quattro, e sono nella cucina dei miei nonni, in questa casa scavata dentro la collina, una casa piccola e umida, con una scala talmente stretta che quando è morto mio nonno non è stato possibile farci passare la cassa e il prete ci ha dovuto fare il favore di celebrare il funerale di domenica, facendo incazzare un sacco di gente. E così il feretro è stato esposto in cucina, sotto la scala, vicino al cerchio incompleto che, un paio di decenni prima, avevamo segnato io e Chicca, sotto il tavolo, nello spazio compresso che si riserva alla scoperta del nostro essere quando questa prova a iniziare.
In seguito, ho cavalcato molte sedie, almeno dieci cavalli (di cui due non domati), le spalle di alcuni amici al mare e parecchi stati di solitudine, qualche amore, dozzine di croci, motorini, sassi, e poi risate, contraddizioni, cambiamenti, banchi di nebbia, libri, galassie, improvvise illuminazioni. Come tutti, mi sono mossa su diversi orbitali energetici, più o meno lontani dal nucleo della mia natura e della natura del mondo, con le sue costituenti subatomiche elementari positive o negative, sacre o bestiali, invisibili o consumate, reali o immaginarie. Come tutti, troppo spesso, mi sono convinta che stavo scoprendo qualcosa, che avrei scoperto qualcosa, che quella scatola nera dentro cui funzionava la mia umanità e l’umanità intera aveva una struttura osservabile, un modello da scardinare e capire; mi sono detta che se fossi saltata sulla groppa di me stessa e avessi risalito la scalinata stretta di questo tempo, lo avrei visto da sopra, lo avrei compreso, lo avrei potuto imbrigliare e governare e decidere. Ma era buio, è sempre stato buio. Quella scatola, questo tempo, la realtà: sono misteri ricoperti di pece, appiccicosi, ingestibili, con i quali si deve trovare un modo rigoroso di averci a che fare.
In Ballate per uomini e bestie, il suo ultimo disco, Vinicio Capossela ne sperimenta uno: per prendere in mano tutta quella materia, la atomizza, la proietta in spettri umani e animali, ne analizza le frequenze, le distorsioni, gli incantesimi di sangue, il passato, il presente, l’epica distruttiva, la digitalizzazione. Poi, nel grembo della terra buia, fa partire il fuoco delle specie e ce la mostra.

Entrateci in bocca e vedrete le stelle: il calcio
[Simbolo dell’elemento: Ca / Numero atomico: 20 / Serie: metalli alcalino-terrosi]
Il percorso compiuto da Vinicio Capossela prima di questo disco è un cammino irriducibile a qualsiasi definizione. Mentre riascoltavo tutta la sua discografia, in questi giorni, ci ho provato a segnarmi delle cose, a contare le contaminazioni, i collaboratori, le sue incursioni in altre forme artistiche, le scoperte e le diverse sonorità che ha preso e mischiato, ma ne è venuto fuori un garbuglio dove: insieme alle targhe Tenco ci sono John Fante, la patafisica e i miti omerici; tra le balere, la Russia, Marc Ribot e Francesco Guccini; in mezzo alla Banda della Posta, il rebetiko, i libri scritti, i marinai e i Calexico; dentro alle pene e alle tarantelle, Renzo Fantini e Cinaski, i salmi e gli spettacoli teatrali, Scicli e Nicolae Konstantin; davanti al latino e a certe canzoni messicane, Melville, Céline, i western, la polvere e le sirene; tra gli strumenti della Kočani Orkestar, i viaggi, Andrea Segre, lo Sponz Fest, l’America, l’Irpinia, il mondo; e poi Conrad e Adriano Celentano, le notti di provincia e la tradizione popolare, il whiskey e l’inverno.
Ma questi sono solo indizi, è poca cosa, perché non c’è modo di mostrare tutto l’immaginario calcareo di questo artista senza perdersi dei pezzi: i materiali che compongono il tessuto spugnoso che fa da ossatura al suo percorso sono aggregati, fusi, cavernosi e sovrapposti. Sam Kean ne Il cucchiaino scomparso, nel raccontare che il calcio è «un elemento che forma facilmente bolle e schiume», spiega che la resistenza delle rocce calcaree è dovuta al fatto che «si formano a partire dagli esoscheletri di piccole creature marine morte, che si accumulano sul fondo del mare per milioni e milioni di anni. (…). Quando l’acqua si infiltra nei pori della calcite, si avvia una specie di reazione vulcanica in miniatura». Nell’irriducibilità della poetica di Capossela, questa è forse la sua riduzione migliore: che infiltra, schiuma e poi erutta.

La vita è un passaggio, dicono, ma per dove? : il fosforo
[Simbolo dell’elemento: P / Numero atomico: 15 / Serie: non-metalli]
Se penso a Vinicio Capossela che entra ne Il visconte dimezzato di Italo Calvino, io me lo immagino parlare con un personaggio secondario, il dottor Trelawney, un tipo strano, un naufragato che, di notte, se ne va con il nipote di Medardo in giro per i cimiteri, alla ricerca di fuochi fatui; mi immagino Capossela che racconta le leggende di questi corpi santi, che canta le storie di queste fiammelle blu-verde che si formano quando il triidruro di fosforo e il metano derivanti dalla decomposizione dei resti organici si ossidano, dando origine a chemiluminiscenza. Perché, in fondo, io credo che sia sempre stato così per le sue canzoni: una notte, una materia scomposta, una reazione chimica e poi la luce.
Quando è sprecata la vita una volta, è sprecata in ogni dove. Se non hai fame, non hai rovina. Tu che fai dei miei giorni un’ombra. È volpe? È gufo? È quaglia? È lupo? Sabato al Corallo. Lo stesso dolore che spezza le vene. Abbattere la notte a raffiche di Gordon Rouge. E altro non vedo e non so. Fuori tutto accade anche senza di noi. È un disco di inchiostro e di cera la strada. Muore nell’ombra la vita. Una perla appesa in punta di pennone. E il ghiaccio, il frigo, il rusco. Dirigibili all’idrogeno nell’aria si involano. Gonfio di Retsina e dolore. Tra il niente che c’era prima e il nulla che verrà dopo. Il mare è una cintura di spine. Soltanto il petto da uccello di te. Sovietsky Superman. Da casa tua se ne escono anche i santi. Salsicce, fegatini, viscere alla brace. Siamo orfani ora. Le seppie han le ossa bianche. Quello che duri più dell’amor per sé. E in questa noia che mi stordisce. Io come Kronos che tutto divora. Questa notte e domani se puoi. Come a una cana t’ha morso la raggia. Mi son scordato che son vivo. La polvere amara, lo scherno, la giara e il belato del re. La cinciallegra rimase affranta. Chi viene nella pioggia? Il giovedì mi cade sulle scarpe. Sul passo incerto del mio turbamento. Striscia che pari una biscia. Da Salonicco a Kalamata. Habet, hoc habet! Se questa è la miseria mi ci tuffo. Non sono mostra, non sono velenosa. Di Dio l’onda nel sole. A mascellate d’asino. La fortuna è fatta a stella. Il sentiero della Cùpa l’ha costruito il diavolo. I libri, le scialuppe, i manoscritti, le caldaie. Gymnastika. Senza più un dente né un parente. Per cogliere le ciliegie ci vuole l’uncino. Mangia crosta e risparmia mollica. La casa è dove si canta di te.

Il tempo è un alambicco : l’osmio
[Simbolo dell’elemento: Os / Numero atomico: 76 / Serie: metalli di transizione]
Nel libro di Ben Lerner Le figure di Lichtenberg (Edizioni Tlon, 2017, traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan), c’è una poesia che inizia così:
«Il cielo è un’enorme responsabilità. E io sono il tirocinante lasciato solo. Ciò spiega
perché bevo. Ciò spiega il mio luminoso itinerario, il mio cuore di babbuino
che esplode ogni sera come le ultime notizie. Chi
cerco di prendere in giro? Io sono Diego Rodríguez Velázquez. Sono un’
analisi secca ed eviscerata della Rivoluzione Russa.
Io sono il settimo verso. E la mia memoria, come il melone,
contiene molti semi oscuri. (…)»
Ecco, è per raccontare le righe sottili che crepano lo spettro della nostra realtà che Vinicio Capossela ha scritto Ballate per uomini e bestie: ha preso il cielo, il tempo, i semi oscuri della nostra memoria a forma di melone e li ha resi racconto testamentario, architettura di una rete di comunicazioni paludose, religione dissacrante di bestie terminali e dispositivi animali, interfacce emulanti, malattie tentatrici e semplificazioni costanti.
Nel fare la sua «denunzia», il suo «cantico per tutte le creature, per la molteplicità, per la frattura tra le specie e tra uomo e natura», Capossela si è preso la responsabilità del cielo che sembra fatto di osmio da quanto è denso e pesante e del suo tetrossido da quanto è velenoso.

Scorrono a cadaveri parole: il selenio
[Simbolo dell’elemento: Se / Numero atomico: 34 / Serie: non-metalli]
Lasciare il reale ed entrare nel vero. Danza la morte macabra, li fa girare in tondo. Andiamo a suonare a Brema. Passano le renne a fiumi. Tu la balalaika, lei le castagnette. Per paradiso e gloria di un rosario di costine. Sfidare il tempo facendolo lento. Let’s tweet again. Non so più partire, incantato ad aspettare. Hodie mihi, cras tibi. Precarizzato, gentrificato, hipsterizzato. La cotenna e le setole per la strenna. Nuove tentazioni di Sant’Antonio. Ma ogni uomo uccide quello che ama. I nuovi crociati, un altro Medioevo. Non voglio sentir prediche, ho già molto da fare. Il Suv, la Porsche, il Cheyenne, gli uomini tutti. Prende la carne viva e lascia le ossa torte. Un giglio ti è cresciuto sulla fronte. Peste ti colga. La natura si è chiusa a chiave. E intanto nel mondo una guerra è signora della Terra. Perché nostra è la croce e saperla portare. Dove brucia una lacrima sarà il tuo focolare.
La spettroscopia sperimentale di Capossela si apre con l’innalzamento dell’umanità sulle spalle di un bovino estinto, l’Uro, e si chiude con la contorsione della stessa dentro la conchiglia di un gasteropode terrestre, la lumaca. Tra la ferocia della grotta e la speranza di una forma di eternità, c’è la descrizione del nostro presente remoto e del nostro trapassato futuro: tempi confusi che fanno un tempo solo, il nostro, infettato dall’uomo come se fosse egli stesso la propria malattia.
L’umanità, nel suo significato legato al sentimento di solidarietà, di comprensione e di benevolenza, è diventata talmente infrequente da essere percepita come un difetto e, tale e quale al selenio  — che è talmente raro in natura che si trova come impurezza di altri minerali —, bisogna estrarla con pertinacia, cercandola dentro di noi. Come dice Cosmo nei suoi quaderni, dentro La scuola cattolica di Edoardo Albinati (Rizzoli, 2016, romanzo vincitore del Premio Strega quello stesso anno): «Chi ama l’umanità di un amore astratto quasi sempre ama solo se stesso».

Nella pancia della falena: il lantanio
[Simbolo dell’elemento: La / Numero atomico: 57 / Serie: lantanoidi]
«Insomma, io credo che il mondo sia misterioso. In questo senso posso dire che ho un concetto religioso della vita e ritengo non sia possibile una rappresentazione totale del mondo se non attraverso una intuizione poetica», scrive Raffaele La Capria ne Il fallimento della consapevolezza (Mondadori, 2018). Ballate per uomini e bestie è questo: è un’intuizione poetica che segna un nuovo e importante passo nella storia di questo «cantautore, ri-trovatore, immaginatore» irriducibile che, infatti, chiude la formula chimica che lo descrive con il lantanio, l’elemento più reattivo delle terre rare. Anche i lantanidi sono misteriosi e irriducibili tanto da aver lungamente tormentato i chimici che tentavano di riuscire a districarli. Forse, anche loro, avrebbero avuto bisogno di più poesia.

Molte volte ascoltando i dischi di Capossela ho pensato a Tommaso Landolfi: la fantasia immaginifica, le metamorfosi, l’uso di una lingua raffinata, ricercata nell’alto e nel basso. Eppure, mentre ascoltavo questo disco e pensavo a Chicca e alla cucina dei miei nonni, mentre mi analizzavo, palmo a palmo, per chiedermi dove ero donna e dove ero bestia, dove la mia animalità lasciava spazio alla razionalità e dove la passione aveva disegnato un deserto, mi è venuto in mente un libro di Landolfi che non fa parte di quelli a cui avevo molto pensato ascoltando altri dischi di Capossela. LA BIERE DU PECHEUR (che va scritto in maiuscolo per poter significare molte cose diverse), infatti, è un’opera perlopiù diaristica, reale, diretta e implacabile, che parla di solitudine, di fallimento, di vizi e meschinità, di quei posti insomma dove si va a sistemare l’inferno, questa «cosa senza rumore» che lasciata libera di crescere può arrivare a soffocarci.
Ci ho pensato perché, in Ballate per uomini e bestie, Capossela ne racconta la struttura elettronica di questi luoghi, ne racconta gli atomi, le molecole, i nodi che ci imbrigliano; racconta la paura del potere e come lo subiamo, l’ipocrisia, l’assenza di compassione, la seduzione di ciò che è semplice e la soppressione di ciò che è troppo bello e armonioso per non essere uno specchio in cui vedere le nostre parti peggiori. È un disco che sembra disarcionarti quando lo ascolti ma, in realtà, ti sta facendo il favore di celebrare un funerale di domenica, ti sta dando un reticolo di diffrazione e una scala per poter trovare tutte quelle «cavità», per analizzarti, palmo a palmo, e prendere sulla groppa quelle «speranze peccaminosamente stanche», per provare, poi, a lasciarle a piedi.
Sotto un tavolo, in una cucina, dentro una collina, su una croce, nel Pleistocene, nel sangue delle vene, in una danza, in un fioretto, in un amore, in una fossa di disonore, in una banda musicale, in una corsa a Imola, in un esilio, in una trasformazione, in un procedere sacro, lento e immanente. Ovunque ci sia, insomma, uno spazio per respirare.

Elisa Casseri è nata a Latina nel 1984 ed è laureata in Ingegneria Meccanica. Autrice del blog "Memorie di una bevitrice di Estathè", ha pubblicato il suo romanzo d’esordio "Teoria idraulica delle famiglie" per Elliot nel 2014. Nel 2015, ha vinto la 53° edizione del Premio Riccione per il Teatro con il testo "L’orizzonte degli eventi". Il suo ultimo libro è "La botanica delle bugie" (Fandango, 2019).