Conversando con Joyce.

da | Feb 26, 2014 | Senza categoria

Un sabato sera di quasi un secolo fa, Arthur Power entrò al Bal Bullier di Parigi per vedersi con una lavandaia e si ritrovò seduto al tavolo in cui James Joyce e Sylvia Beach brindavano al successo dell’Ulisse.
I due artisti dublinesi divennero amici. Le loro conversazioni, annotate ogni sera dal pittore, furono pubblicate nel 1974. In Italia arrivarono nel 1980 grazie a Editori Riuniti; poi basta: nessuna ristampa. Se vuoi leggere da solo questa testimonianza eccezionale, esci dal sito e incrocia le dita affinché la biblioteca della tua città ce l’abbia. Altrimenti, continua.

 

Un conversatore silenzioso

Nessuno padroneggiava le parole meglio di lui. Eppure, Power scrive che Joyce «era per natura silenzioso» e si vantava di possedere tre armi letali: «silenzio, esilio e astuzia». A una festa, un giornalista americano provò a estorcergli qualche risposta interessante e alla fine, arresosi, disse a un altro invitato: «Non c’è rimasto nulla in lui: è andato tutto nel libro». Non andò meglio a Proust, come ricorda lo stesso Joyce: «l’ho incontrato una volta ad un pranzo letterario, e tutto quello che mi seppe dire fu: “Le piace il tartufo?”. “Sì” risposi io “ne vado pazzo”. E fu questa la sola conversazione che si svolse tra i due più famosi scrittori del tempo».

La fonte della grandezza

«Amleto era pazzo, da qui il grande dramma, alcuni personaggi del teatro greco erano pazzi; Gogol era pazzo; van Gogh era pazzo; ma io preferisco la parola esaltazione, una esaltazione, che può forse confondersi con la pazzia. Tutti i grandi uomini hanno avuto in realtà quella vena: era la fonte della loro grandezza; l’uomo ragionevole non raggiunge nulla.»

Invettive

Joyce non gradiva molti autori. Tennyson, per esempio: «il pudico della canonica, un poeta che manca di intelletto». Oppure Turgenev, «un sentimentale che voleva rimanere innamorato del proprio sentimentalismo». Ma soprattutto non gradiva Puskin: «Non riesco a capire come tu possa apprezzare contenuti così elementari»; «ho sempre pensato che si sia comportato da ragazzino nella vita, nell’opera, e nella morte».

Insensibilità artistica

Quando Power gli mostrava i quadri di Braque e Picasso, Joyce rispondeva: «quanto valgono?» Insomma, l’arte figurativa gli interessava come poteva interessare a un cieco. Unica eccezione, un quadro di Vermeer che rappresentava Delft: «Era appeso sul caminetto e Joyce lo considerava un’opera d’arte finissima. Penso che una delle ragioni, se non la ragione, per cui l’ammirava tanto, era che è il ritratto di una città».

Ipersensibilità artistica

Se hai letto l’Ulisse, ti avrà impressionato l’episodio ambientato nell’ospedale: sia per frasi come «Ti devi alzare presto la mattina, peccatore mio, se vuoi fregare Dio Onnipotente», sia per il virtuosismo stilistico: Giulio de Angelis conta 32 stili – da quello delle antiche cronache, dell’epica e della teologia fino allo slang del XX secolo, passando per le parodie di Swift, Sterne, Dickens – che, susseguendosi in una narrazione i cui argomenti sono nascita, fecondità e coito, creano una corrispondenza tra evoluzione umana e linguistica. Power racconta quale effetto ebbe sullo stesso Joyce scrivere quell’episodio:«durante la composizione delle Mandrie del sole non riuscì a toccare cibo perché aveva la testa piena di feti ancora non nati, tamponi e odore di disinfettanti».

America inodore

Alla fine degli anni Venti, Joyce negava che l’America avrebbe avuto un influsso letterario sul resto del mondo: «Non credo che stia per produrre molta letteratura di rilievo per ora, perché un paese deve avere prima la sua vendemmia, avere, in altre parole, un odore, per poter produrre letteratura». Olfattivamente, concedeva qualcosa a Whitman: «ha una certa fragranza, è vero; in lui c’è l’odore della foresta vergine e delle ghiande dei boschi, una specie di colonialismo primitivo, ma da questo al mondo della civiltà ci passa molto». E Thoreau? «A mio avviso non è un vero americano, ha solo trasferito la passività europea di fin-de-siècle sul nuovo continente, ecco tutto».

Insensibilità umana

Dopo aver ritratto il padre a Dublino, Patrick Tuohy lo raggiunse – di sua iniziativa – a Parigi per ritrarre tutta la famiglia. Quando, qualche anno dopo, Power gli disse che Tuohy si era suicidato a New York, Joyce commentò così: «Non mi sorprende, poco mancò che non facesse suicidare anche me».

Paranoie

Power racconta che Joyce era convinto che se fosse tornato a Dublino gli avrebbero sparato un colpo: «quando gli suggerii di ritornare in visita segreta, per vedere com’era, mi fissò in un sogghigno sardonico, come se lo invitassi a suicidarsi. Gli avevano detto che un tale una volta era entrato in una libreria di Nassau Street ed aveva chiesto se avevano una copia di Ulisse. Quando seppe che non l’avevano, osservò: “Bene, l’autore di quel libro farebbe meglio a non mettere più piede in questo paese”: l’osservazione momentanea di un eccentrico religioso o di un nazionalista, come facevo rilevare io. Ma come Joyce replicò: “È proprio un eccentrico così che fa queste cose”».

Boh

Da pagina 47 a 66 il libro della mia biblioteca è un insieme di fogli svolazzanti. Questo presenta indiscutibili vantaggi, tipo uscire con uno zaino più leggero lasciando a casa quelle pagine oppure il resto del libro. Il problema è che, come puoi vedere, sono scomparse le pagine 51 e 52:

Sospetto che fossero le migliori del libro e che qualcuno se le sia intascate. Per quanto ne sai, potrei essere stato io. Bè, non è così. Lo giuro! Anzi, nel caso in cui la tua biblioteca avesse un libro con le pagine 51 e 52 – e magari ti va pure peggio che a me: potrebbe avere solo quelle! – ti chiedo di scrivermene il contenuto qui: orlandovuono@hotmail.it. Vedi?, se le avessi rubate io, certo non ti farei una richiesta simile.

Elogi

Joyce provò in tutti i modi a convincere Power ad ammirare Ibsen: «Ignori lo spirito che lo ha animato. Lo scopo di Casa di bambola, per esempio, era l’emancipazione delle donne, che ha causato la più grande rivoluzione del nostro tempo nel rapporto più importante che esista, quello tra uomini e donne: la rivolta delle donne contro l’idea di essere semplici strumenti degli uomini». Fece lo stesso con Gide – La porta stretta «è bello come una guglia di Notre Dame» – e con Proust. Quest’ultimo, se avesse continuato a scrivere col primo stile, quello de I piaceri e i giorni, «avrebbe scritto i migliori romanzi della nostra generazione».

Francesi e inglesi

Se non l’hai ancora letto – magari perché pensi che sia troppo complicato, cerebrale, noioso – non ci crederai; se lo hai letto, invece, sarai d’accordo con Joyce: «Ulisse è un’opera fondamentalmente umoristica». Proprio ragionando sull’umorismo, lo scrittore distinse i francesi dagli inglesi: «credo ci sia qualcosa di molto disumano in un autore che non abbia senso dell’umorismo ed è una cosa di cui mancava Stendhal, e di cui mancano alcuni francesi: lo impedisce il loro timbro molto emotivo, perché non sanno fare a meno di prendere la vita seriamente, e nessun francese ammetterà la propria inferiorità di fronte alla vita. Glielo impedisce la vanità. Ma l’inglese è più equilibrato ed ammette la propria impotenza dinanzi al fato attraverso l’umorismo».

Fanatismo

Secondo Power, Joyce nel complesso era una uomo ragionevole; «solo su tre cose era proprio fanatico: la prima erano i pregi di Ibsen, la seconda, abbastanza strana, i pregi della Carmen, la terza, i pregi dei ristoranti, perché un cattivo pasto riusciva a guastargli l’umore».

La rovina dell’uomo

La battaglia contro il romanticismo non è solo una questione poetica; è qualcosa che riguarda l’esistenza di ogni individuo: «Ciò che rende infelice la vita della maggior parte della gente è una sorta di delusione romantica, un ideale frainteso o irrealizzabile. Si può dire in realtà che l’idealismo sia la rovina dell’uomo, e se vivessimo immersi nei fatti, come doveva fare l’uomo primitivo, saremmo più ricchi».

Agli americani serve un po’ di guerra

Sono riusciti a riflettere lo spirito americano solo alcuni «scrittori minori, come Jack London, Bret Harte, Robert Service in Canada ed altri simili, e ci vorrà molto per loro prima di produrre un’arte che sia degna di rilievo. Quello di cui hanno bisogno, a mio avviso, è ancora un po’ di guerra. Si dice che Shakespeare trascinasse una picca nelle Fiandre, Cervantes fu prigioniero di guerra per anni, e Leonardo, quando non faceva fortificazioni per i suoi mecenati, dipingeva un quadro per loro».

La funzione dello scrittore

«Quando viviamo una vita normale, viviamo una vita convenzionale, seguiamo un modello che è stato tracciato da altra gente in un’altra generazione, un modello obiettivo impostoci dalla Chiesa e dallo Stato. Ma lo scrittore deve insistere in una lotta continua contro ciò che è obiettivo: ecco la sua funzione. L’immaginazione e l’istinto sessuale sono qualità eterne e la vita secondo regola cerca di reprimerle entrambe».

Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).