Quasi “maudit” il poeta Jean-François de Bodt nato a Uccle in Belgio, autore di poche plaquettes negli anni ’70 e poi riapparso sotto il nome di Muir un decennio più tardi con alcuni racconti e prose, e infine con nuove poesie edite a Bruxelles dalla D. Devillez, tra cui L’hypothèse du miroir (1996). Strana traiettoria, finita in Tailandia prima del ritorno in patria dove fu stroncato da infarto a soli 43 anni. Come scrive il poeta-editore Pierre-Yves Soucy nella breve nota di presentazione alla raccolta inedita (postuma) dell’irregolare François Muir, questi praticava una lirica – in versi e in prosa – ideata e scritta secondo una lingua “evidentemente distinta da ogni altra”. Colpisce d’acchito, come nella citazione riportata sopra a mo’ d’epigrafe, l’uso di un verso asciutto, essenziale, se così possiamo dire, a destinazione del lettore italiano, di ascendenza ermetica – alla Ungaretti per intenderci. Qui si può cogliere, filtrati dall’esigenza del linguaggio strettamente poetico, uno stato o brivido momentanei della percezione del mondo e della coscienza, già proiettati verso un altrove futuro, quindi la percezione di un “altro”, smarrito forse al modo di Rimbaud o del Pascoli frastornato nella campagna muta e rumorosa del soggiorno lucchese. Più cosmopolita magari, ma di quella stessa tempra straniata ostinatamente. Il soggetto medesimo, proseguiva Soucy, rimane là “problematico, non riesce mai a fissarsi”. Il verso, sì. La forma tiene unita, nonostante tutto, il materiale fragile pericoloso della frana interna continua, della minuscola valanga di un’esperienza importante e aspra nella sua brevità (1955-1997), nella vita, nelle tensioni e nella letteratura belghe francofone della sua epoca complicata. In Italia, la sua opera è pressoché sconosciuta. A cura di Jean-Charles Vegliante.
Fuggi un giardino.
I tuoi antenati vi t’inseguono.
F. Muir, Toi, l’égaré, La Lettre volée, 2016.
Da Te, lo smarrito (metà anni ’70)
Là tu dormi.
Pure qui, dormi.
Il tuo sonno ti guida.
Non sei assopito.
Libero di mormorare.
Quale bisbiglio
Tra il multiplo?
Ancora una confessione?
*
Tracci la mappa
Del tuo corpo.
Deserto di parole.
Geografia di morsi.
Scuoti il planisfero.
Un fischio lungo ti risponde.
Non c’è più nessuno.
*
Si dissolve il tuo involucro,
Si nasconde la tua maschera,
Si ritrae la tua saliva e
Si stravolge, i tuoi occhi.
Ogni ora vede il tuo termine,
I tuoi cominciamenti.
*
Il tuo fascio, qui.
Si diluisce
Ciò che paventi.
Tu non vacilli.
Tu non ti raggeli.
Circondi le montagne.
Il loro ascolto
Ti guida.
*
Ciò che presenti:
Non l’attesa,
Una presente immobilità.
Abbandoni gli ossari,
Troppo pesanti i corpi.
Già fuggi,
Né specchio,
Né riflesso.
*
Non sei più ombra
Né sonno.
Guardi.
Sei sguardo.
C’è rena, c’è cenere.
Fermo cielo.
Landa impotente.
Di nuovo,
Prepari l’oblio,
La vacanza dei compiti.
*
Sei te?
Sei lui?
Chi vi separa?
Quale legge?
Questa forca?
Qui, l’acqua, l’assenza di colori.
*
Senza un lamento,
Si accascia
L’assetato.
Migliaia di fonti.
Sole assente.
Luna assente.
Quale scegliere?
Immagine: Guido Guidi.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).