In occasione dell’uscita del numero 74 di «Nuovi Argomenti», dedicato ad Amelia Rosselli, una poesia inedita di Aurelio Picca.
Mi disse qualche falco sventrato
che tu ballasti sul cornicione
come un equilibrista
o come te di quando ti agitavi dentro
per poi scattare fuori.
E poi giù in volo
che a ogni volo storto
ripenso alle rondini conficcate nelle tegole
o ai beccafichi sparati e frantumati all’alba.
Oppure ai 50 tordi morti in Spagna
che regalai ai boscaglioli identici ai falchi maligni.
Quand’ebbi 27 anni mi dicesti: “Tyrone Power”
e aggiungesti: “non fare questi occhi curiosi
che ti diranno pazzo!”.
Da allora diventammo amici solitari.
Non in gruppo letterario adulante
ma a “tu” per “tu” fino a quando mi dedicasti
il perduto libro degli amanti.
Cara Amelia, influenzata fosti felice
nel gustare i 3733 piatti che ti invadevano
la soffitta grigia di luce grigia:
la migliore luce
che potessi accettare per soffrire.
Eppure fosti felice con lo scialle di Edda
nella mia 37 metri quadri con tavolato di larice
che ti alzavi nei vicoli per ripetermi: “E’ drammatica!”.
Un giorno squillò il telefono grigio della Sip
e tu mi invitasti con poetessa di vento
in un paese di cacche, in una Toscana di tufo sbriciolato.
Io, animale giovane, mi introducevo
nel vento di carne della poetessa giovane
di notte e giorno con il letto traballante
e tu a un metro che dicevi: “Ma basta!”.
E salivi proprio quando la giacente
non aveva più gocce di sangue rosso
ma solo globuli bianchi che le invadevano
di bianco le guance meno che gli occhi neri
proprio il contrario di Briseide.
E poi ti prendevano a tradimento quelli della Cia
e tu dovevi scacciarli insieme ai fantasmi
e i letterati aspettavano intimiditi ore
e invece io ti dissi: “Se non la smetti
ti butto dalla macchina in corsa!”.
Fosti felice.
Anche tu avevi bisogno di un uomo e un padre.
Le tue poesie le ho dimenticate.
Le poesie degli amici si dimenticano sempre.
Le poesie degli amici vanno dimenticate.
Gli amici come te, del resto, sono nati nel 1930:
la data che porto ricamata sulla camicia di lino bianca.
La nascita tua e di mio padre.
Ora avresti riso con fragore spruzzando saliva dalle labbra.
Bella Vestale. D’ossa e di capelli neri.
Identici a quelli di mia Madre.
Immagine: Foto di Dino Ignani.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).