Il trovatore

da | Dic 28, 2015

Raffaele Carrieri appartiene all’ultima generazione dei poeti legati alla figura di D’Annunzio. Egli stesso partecipò in giovanissima età all’impresa di Fiume. Alleggerita la sua opera di ogni reminiscenza ed eredità decadente, di quella stagione conserva l’intenso vitalismo. Tarantino di nascita, farà molti mestieri, occasionali e spesso umilissimi, prima in Albania, poi marinaio nel Mediterraneo, fino a gabelliere a Palermo. Tra le sue raccolte ricordiamo Il trovatore, pubblicata con Mondadori, che nel 1953 riceve il Premio Viareggio. La poesia di Carrieri si nutre delle sue esperienze biografiche, ma cercando di superarle nell’insieme dell’opera. Senza alcuna indulgenza estetizzante, i luoghi conosciuti, i personaggi incontrati, persino gli oggetti, acquistano un’autonoma forza esistenziale. Si sente una certa metafisica che ritroviamo in Bartolo Cattafi. Pur con qualche eccesso icastico, la poesia di Raffaele Carrieri conferma il superamento di una sorta di linea poetica meridionale statica e marginale, per dare luogo a quella che si può chiamare una poetica della “diaspora”, in cui il tema del ritorno è più luogo filosofico che sentimentale. Presentiamo di seguito una breve antologia di testi.

Pasquale Vitagliano

I braccianti

Al chiuso restarono le donne
come ombre di rondini
sui muri di calce.
Su moli e gettate
nessuno pianse
la partenza dei braccianti.

*

Muro sopra muro
Maledetto sia questo silenzio
che alza muro sopra muro:
il cielo separa dal corpo
lo sguardo dell’occhio.
Tra l’una e l’altra mano
c’è lo spazio di una valle.
Maledetto sia questo silenzio
che alza muro sopra muro.

Mio limone
I tuoi rami sono lunghe
mani di ragazze more
il cui polso garrulo suona
di verzicanti bracciali

Il tuo profuno è una scala
di tondi lisci gradini
che corrono a chiocciola
intorno alla luna.

La tua foglia è tre volte
verde come una verde
bandierina d’alga
di domenica siciliana.

Il tuo frutto ha sapore
di navigli nuovi
che prendono il mare
con risa di fanciulle.

Fine della giornata
A ogni fine di giornata
quando il cielo muore
con la gola tagliata
come la gallina nera
resto solo sul prato
con gli odori della sera
e il sacco di cenciaiolo
dove raccolgo la cenere
delle mie ore terrene.

Mi duole
Seguo la mia pipa
Come un cieco segue
Un altro cieco.
Cielo non v’è stasera,
non c’è neanche
un poco di cielo
su cui andare.
Mi duole la pipa, stasera.

*

Piccola morte
So questo, era un soldato
con un paio di scarpe nuove
che accanto gli stavano
a vegliarlo giorno e notte.
Aveva una fucilata nel petto
e ogni volta che tossiva guardava
con ceruli occhi le scarpe
che vegliavano come cani
la branda dell’infermeria.
Morì alle cinque del mattino
dicendo queste sole parole:
“mettetemi amici le scarpe
è venuta l’ora di andarmene.”
Morì alle cinque del mattino
con gli occhi rivolti alle scarpe.

*

Forestiero in ogni luogo

Forestiero sono stato in ogni luogo
più del lucchesino in Brasile
che vende re di scagliola.
Sono andato di paese in paese
come il piccolo calabrese
astrologo e ombrellaio.
Ho risparmiato e sprecato.
sono stato più paziente del muratore
che attraversa il mare
per alzare un muro in Australia.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).