Verso la ruggine

da | Ago 26, 2022

Quattro poesie in anteprima da “Verso la ruggine” di Prisca Agustoni, uscito da poco, con introduzione di Fabio Pusterla, per Interlinea.

 

L’ORIENTE CAPOVOLTO


Watu è il suo nome, il fiume sacro della tribù.

Sul suo fondale ci sono impronte,
zampe giganti di esseri preistorici

archetipi di un mondo vegetale
e suoni geologici,
il lessico acquatico della lingua borun
di piante smarrite nel loro sogno,
lontane mille millenni da noi:

un manoscritto chiuso in un cassetto,
la civiltà delle radici gallegianti.

*

Watu è il fiume dalle dita nodose,
sott’acqua fanno ramaglie
cinerine, come sciame di capelli lanosi
di cartapesta o colla di pesce
garbugli e intelaiature,
metamorfosi costanti di forme
e foglie.

Le parole sono squame vere
minime scintille
sul dorso scivoloso della lingua
non segni che imitano
il fremito delle branchie,
il branco dei barbados che migrano
come piccole barche,
traghettando in senso contrario
verso la foce
(ignari della pece
che brucia il tempo come del legno
fatto brace).

Poi, nel chiaroscuro
s’intuisce, s’alza
una sagoma d’uomo,
da solo sull’enorme carcassa d’animale:

è un aratro gigante
che traina la storia della sua gente,
migliaia di parole di una lingua sconosciuta
che dissoda il fiume come se fosse
lembo di terra diviso
in due metà, conteso.

Dietro di sé, nei solchi lasciati
si celebrano le ossa con danze e canti:
ci saranno nuovi rami
e denti di bambini

e storie ad alimentare la notte,
su questi argini
di un intenso oriente capovolto

tatuato sulla scorza del verde
che da secoli perdura.

 

***

I SOPRAVVISSUTI

(“Siamo scampati a noi stessi,
dici, anche se continuiamo
a cercare le parole” – Mariella Mehr)

 

MARIA

ci hanno detto
vi daremo case nuove

non voglio un’altra casa

voglio quella dalle ombre lunghe
sulla strada

nell’ombra ti spingevo ad entrare
dall’ombra cadevamo insieme
la tua mano come un’idea nella mia mano

mi sfioravi come sfiori le piante,
mi dicevi, sei venuta con la pioggia
metti radici, ti prego, nel mio silenzio

resteremo qui, abbiamo deciso,
a cibarci fino all’ultimo grammo di piombo

a sfidarci a chi ama più forte

 

LUCAS

la casa ha cominciato a morirmi dentro
prima del disastro, quando il pesce
più rosso di tutti
ha preso d’assalto senza un perché
il compagno indifeso,
intrappolato all’angolo dell’acquario

vorace, ne ha sbranato le interiora
molli e biancastre riverse attorno
in uno strano rito d’iniziazione

come di chi intuisce la sventura imminente
e vuol portarsi in vantaggio sugli altri

 

PEDRO

sto aspettando che mio figlio esca dal fango
diceva il muratore seduto sulla pietra,

le mani raccolte sul grembo, in materna resa.
Non si sa da quanto tempo aspettasse, l’uomo

impietrito vicino al fiume scomparso.
Poco a poco la sua attesa fece del suo corpo

un arbusto essiccato nel paesaggio
un lento franare dell’umano nel mattone

nella scultura di una terra desolata