Stiletto killer

da | Apr 18, 2023

Otto poesie da Stiletto killer, con una nota introduttiva di Fiorenza Mormile (Ensemble 2022). Traduzioni del Laboratorio di traduzione Monteverdelegge (Maria Adelaide Basile, Marta Izzi, Giselda Mantegazza, Fiorenza Mormile, Paola Maioli, Anna Maria Rava, Anna Maria Robustelli, Jane Wilkinson), a cura di Maria Adelaide Basile. Ringraziamo l’autrice e la casa editrice Ensemble per l’autorizzazione alla riproduzione dei testi.

 

Stiletto killer è un’antologia poetica uscita nel 2022 per Ensemble nella collana HerKind, diretta da Alessandra Bava. Tratta dalle prime cinque raccolte di poesia di Alexis Rhone Fancher –l’ultima, Brazen (sfacciata) è appena uscita per la NYQ Books-  intende delineare le molteplici sfaccettature di questa autrice che è anche fotografa professionista, riportando un saggio delle sue istantanee. Californiana, fortemente contemporanea, Fancher offre sempre un’efficace resa visiva di ciò che racconta in un mix sapiente di cultura pop (film, canzoni) e riferimenti pittorici e letterari. Se in due libri la scrittura tenta di riparare il lutto dell’unico figlio morto poco più che ventenne, negli altri tre invece è il sesso, raccontato senza imbarazzo di sorta, a farsi filo portante di un’intera esistenza. Eros, Thanatos ma anche tanta ironia e l’indubbia centralità delle relazioni.  Attraverso storie metropolitane narrate quasi sempre in prima persona (ma non per questo necessariamente autobiografiche) Fancher delinea ambienti, atmosfere, vizi di una Los Angeles colta soprattutto nei suoi lati oscuri ma pure fortemente amata.

Nei primi tre testi qui presentati, tratti da Enter Here, 2017, le protagoniste sono portatrici di una condizione di solitudine e infelicità sentimentale cui reagiscono in modi diversi. La ragazza tatuata salita sul tetto del King Eddy’s Saloon è un’entraîneuse che si ribella a un rapporto violento e prevaricatore. Medita dapprima di gettarsi nel vuoto per sottrarsi ai suoi inseguitori ma da ultimo, con una giravolta proprio sull’orlo dell’abisso, si limita a sacrificare solo le sue calze strappate. Memorabile l’incipit ‘Prufrockiano’ “L.A. si stende sotto di me come un’autopsia”, dalle implicazioni sinistre poi smentite: la ragazza decide infatti di affidarsi solo metaforicamente al vento di Santa Ana -l’unico elemento dinamico- e di cambiare aria e vita. Il testo è costruito come un film, l’atmosfera è quella di un western, di cui il saloon è luogo topico, con la sua carica di violenza e volgarità: “i clienti abituali si svenano/ per un bicchierino, si sbudellano, per un sorriso”, c’è la colonna sonora: “Chet Baker canta dal juke box la sua vita /spezzata” e perfino la taglia “Il bastardo ha offerto una ricompensa”.

Il secondo personaggio, la cameriera triste del diner di Barstow, viene collocato all’interno di un altro luogo iconico americano: il diner, immortalato nei quadri di Hopper, qui in edizione suburbana, con sottofondo di musica country. La litania iniziale degli “aldilà” e degli “oltre” inquadra la protagonista solo dopo aver descritto lo squallore del locale e la ripetitività delle sue mansioni. Ha troncato una relazione che ora sembra rimpiangere: “forse sta cercando un modo per tornare indietro. / forse è pronta a venire a casa. // ma per ora si è persa / tra la cassa e la porta, l’incessante/ viavai tra tavoli e cucina;// è un avanzo proprio come quelle uova al tegamino, / coi tuorli che s’induriscono nel tuo piatto”. Qui la dialettica stasi/ movimento è l’inverso della poesia precedente: là c’è una stasi che il vento riesce a smuovere, qui il continuo ripetersi di un falso movimento impedisce o comunque ritarda la presa di coscienza della protagonista.

Il terzo personaggio, in “Bambi spiega tutto” racconta “com’è vivere / in sacche di squallore”, “dice / basta guardare / fisso davanti a te, evitare / i rigagnoli e non / indossare gioielli di valore”. Anche Bambi, come la cameriera triste, viene colta con lo sguardo perso, ma in lei c’è più consapevolezza, “una calma accettazione” che rende la sua condizione forse più lancinante, così come la sua ricetta di sopravvivenza urbana: “ogni dieci anni, dice, / reinventa te stessa. / Prenditi un marito gay. / Stai da sola. / Comprati un cane”. Da menzionare, non riportati qui, due testi su fatti di cronaca nera: il femminicidio di “Per Lynnie nel buio” e in “Stiletto Killer…un’ipotesi” (da cui l’antologia prende titolo) l’uccisione a colpi di tacco 12 del compagno violento da parte di una donna.

Tendenzialmente autobiografica è invece la poesia sulla dracena nell’appartamento di Beachwood Drive, costruita su una serie di crudi parallelismi: “l’acqua rugginosa in eccesso” /“il sangue color ruggine che risaliva nella siringa”; “la luce violenta brucia le foglie acuminate”; “la stessa luce gialla tagliente/ la punta aguzza che mi bucava la pelle”; “il giallo malaticcio delle foglie”/“il mio volto triste, color annegamento,/ l’affluire del Demerol troppo simile/ al piacere”. La fusione di temi e motivi violenti rimanda a un’altra sinistra fusione, l’impregnarsi nel legno dei liquidi rilasciati nel tempo da un cadavere, che ha creato sul parquet la macchia indelebile invano camuffata dalla pianta. “Ricordo cosa dicevi sull’eccesso che uccide / su come potevo amare qualcosa fino ad ammazzarlo”, perché, come l’amore, anche acqua e luce sono favorevoli e anzi necessari alla vita, a patto che, appunto, non eccedano. Il testo appartiene a Junkie Wife, 2018, la raccolta che documenta il primo matrimonio di Fancher: turbolento, fallimentare e legato a un’esperienza di droga, tossica come la relazione che accompagnava. E del resto, restando sul tema dell’eccesso che uccide, si muore anche di overdose.                                             

Le successive tre poesie qui riportate vertono sul lutto per il figlio ventenne, che dopo un periodo di stasi creativa è divenuto per lei un forte incentivo alla scrittura. Da State of Grace: The Joshua Elegies, 2015 riporto “La gara” che indirettamente fa luce anche su altre pagine dolorose della vita dell’autrice e bene illustra il senso di colpa del sopravvissuto che aggiungendo dolore al dolore non viene lenito dalla condivisione.

In The Dead Kid Poems, 2019 Fancher dà voce anche al lutto di altre madri, esemplare la poesia “Accustomed to the Dead Kids” – troppo lunga per riportarla qui- dove denuncia le ricorrenti stragi di ragazzi nelle scuole degli States e la connessa responsabilità dell’industria delle armi. Da segnalare che l’autrice vi coniuga impegno e virtuosismo costruendo un testo da cantare sull’aria di “Accustomed to Her Face” da My Fair Lady. A riprova della sua tendenza a sperimentare riporto qui “My Dead Boy (A ghazal)” dove la ripetitività imposta dalla forma ribadisce in modo assillante e angoscioso la disperazione di avere l’idea del figlio morto (“dead”) sempre presente nella testa (“head”), con efficace utilizzo del significante a rinforzo del significato. In “Consigli non richiesti a una mamma su Facebook” Alexis mette in guardia scaramanticamente le madri che postano i successi, le bravure e la gloriosa bellezza giovane dei figli senza neanche ipotizzare quanto da un momento all’altro possa irrompere la fatalità: “Meglio fargli da scudo contro il caso, / uno scambio di persona, il malocchio; / proteggerlo da ciò che non immagini nemmeno: / spari da un’auto. / una corsa clandestina. /un’overdose. / una bravata”. In chiusura la breve “Rivalità tra sorelle” compendia laconicamente il tema del lutto con quello della rivalità con la sorella minore, mantenuta lungo tutto l’arco della vita ed esemplificata in vari altri testi. Le rose coltivate non sono solo fiori ma alludono alle vicende drammatiche che hanno segnato impietosamente la vita di entrambe. “Quelle di mia sorella erano più grandi / e dal profumo più dolce. // Io ho avuto un figlio. / Lei due. // Il mio è morto”.

Fiorenza Mormile

 

***

“Ragazza tatuata sul tetto del King Eddy’s Saloon 
con una smagliatura nell’ultimo paio di calze”

 

L.A. si stende sotto di me come un’autopsia.

Sgancio le giarrettiere, arrotolo le calze giù
per le gambe come preservativi usati.

Quando mi chino,
il vento di Santa Ana mi lecca le cosce, mi lacera
gli slip, mi fa gemere come
un tempo faceva lui. L’avevo avvertito che avrei seguito il vento;
nessuno mi trattiene a lungo.

Per trattenermi avrebbe dovuto uccidermi.

Al King Eddy, i clienti abituali si svenano
per un bicchierino, si sbudellano
per un sorriso.

Chet Baker canta dal juke box la sua vita
spezzata, ma nessuno balla.

Tutti a cercare la “ragazza tatuata”.
Il bastardo ha offerto una ricompensa.
Guardano sotto i tavoli, dietro il bancone, lungo
il settore Disperazione di The Last Bookstore.

Intravedo un lampo d’acciaio.

«Dai, Forza! Puntami la pistola
al cuore. È dove sono meno vulnerabile».
Vuole che salti. Che gli risparmi una pallottola.

E stasera penso: “Perché no?”
Quando il faro della luna mi scoverà,
quando i venti di Santa Ana faranno ribollire la folla ammassata,
sferzeranno il nero dei miei capelli, mi spingeranno fino all’orlo,
non opporrò resistenza.

Trattengo le calze strappate per farle gonfiare di vento.
Le guardo ballare la tarantella mentre mi volano via dalle mani.

 

 

“Tattooed Girl on the Roof of King Eddy’s Saloon
with a Run in Her Last Pair of Stockings”

 

L.A. spreads out below me like an autopsy.

I unhook the garters, roll the stockings down
my legs like used condoms.

When I bend over,
the Santa Ana wind licks my thighs, tears
at my panties, makes me moan like
he once did. I warned him I’d be in the wind;
no one holds me for long.

To hold me he’d have to kill me.

Inside King Eddy’s, the regulars hemorrhage cash
for a jigger, eviscerate themselves
for a smile.

Chet Baker sings on the juke box with his broken
life, but nobody’s dancing.

Everyone’s gone searching for the “tattooed girl.”
The bastard’s offered a reward.
They’re looking under tables, behind the bar, along
the Desperation aisle of the Last Bookstore.

I catch a glint of steel.

«Go ahead! Aim the revolver at my
heart. It’s where I’m least vulnerable».

He wants me to jump. Save him a bullet.

And tonight I think, “Why not?”
When the key-light moon finds me,
when the Santa Anas roil the gathering crowd,
whip the black of my hair, push me to the edge,
I put up no struggle.

I hold the ruined stockings so they fill with wind.
Watch them tarantella away from my hands.

 

*

“Per la cameriera triste del diner di Barstow”

 

al di là della porta a vento della cucina,
al di là del porta comande e del passavivande stracolmo
di bacon, frittelle di patate, biscotti e salsa gravy,
oltre la radio, sintonizzata su 101.5 FM,
Tutto Country – Giorno e notte,
oltre i camionisti che affollano il bancone,
tutti voglie e battutacce,

nella calca di metà mattina
la troverai, con la divisa rosa sgualcita,
la caffettiera fusa con la mano, che guarda fisso
sopra la tua testa.

seguirai il suo sguardo, fuori dalle vetrate
punticchiate dalle mosche, oltre il parcheggio,

la vedrai guardare i tir che sfrecciano
lungo l’autostrada, i parafanghi
decorati con silhouette cromate di donne nude
che non le somigliano affatto.

il sole crudele le scaglia in faccia la sua inerzia.
è questa l’immagine del rimpianto.

forse sta cercando quel torrido giorno d’agosto
quando per la prima volta si è staccata da te.

c’è il suono strozzato
di un autotreno, quando esce
dall’autostrada; quello scalare le marce un rantolo mortale
a cui non si è mai abituata.

forse sta cercando un modo per tornare indietro.
forse è pronta a venire a casa.

(ma per ora) si è persa
tra la cassa e la porta, l’incessante
viavai tra tavoli e cucina;

è un avanzo proprio come quelle uova al tegamino,
coi tuorli che s’induriscono nel tuo piatto.

 

 

“For the Sad Waitress at the Diner in Barstow”

 

beyond the kitchen’s swinging door,
beyond the order wheel and the pass-through piled
high with bacon, hash browns, biscuits and gravy,
past the radio, tuned to 101.5 FM,
All Country – All the Time,
past the truckers overwhelming the counter,
all grab-ass and longing,

in the middle of morning rush
you’ll catch her, in a wilted pink uniform,
coffee pot fused in her grip, staring over
the top of your head.

you’ll follow her gaze, out the fly-specked, plate
glass windows, past the parking lot,

watch as she eyes those 18-wheelers barreling
down the highway, their mud guards
adorned with chrome silhouettes of naked women
who look nothing like her.

the cruel sun throws her inertia in her face.
this is what regret looks like.

maybe she’s searching for that hot day in August
when she first walked away from you.

there’s a choking sound
a semi makes, when it pulls off
the highway; that downshift a death rattle
she’s never gotten used to.

maybe she’s looking for a way back.
maybe she’s ready to come home.

(but for now) she’s lost herself
between the register and the door, the endless
business from table to kitchen;

she’s as much leftover as those sunny-side eggs,
yolks hardening on your plate.

 

*

“Bambi spiega tutto”

 

Quando chiedo com’è vivere
in sacche di squallore,
Bambi lo spiega, dice
basta guardare
fisso davanti a te, evitare
i rigagnoli e non
indossare gioielli di valore.

Ho visto la sua figura slanciata
a Spring Street,
un risoluto clic clac
di tacchi 12, mentre messaggia
a due pollici. L’ho chiamata
per nome, da qualche metro di distanza.
Impassibile. Nessuna reazione.
Occhi incollati allo schermo.

Quando chiedo com’è portare fuori
il cane dopo mezzanotte,
Bambi lo spiega, dice
di sentirsi sicura alle 3 del mattino
(nel raggio di due isolati), dice
che la gente con i cani ha
discrete entrate, tende
a stare al posto suo.

Quando le chiedo com’è vivere
con il suo migliore amico gay,
Bambi lo spiega, dice
che la loro passione divorante
va oltre il sesso. Ma
lui, comunque, porta uomini a casa.

L’ho vista in piedi, persa
nella sua cucina, quando
pensa che nessuno la guardi;
ho visto nei suoi occhi
una calma accettazione.

Quando le chiedo com’è la vita da single
in una città crudele,
Bambi spiega tutto,
ogni dieci anni, dice,
reinventa te stessa.
Prenditi un marito gay.
Stai da sola.
Comprati un cane.

– per Bambi Here

 

 

“Bambi Explains It All”

 

hen I ask about living
in pockets of squalor,
Bambi explains it, says
it’s a matter of stare
straight ahead, navigate
the gutters and don’t
wear any good jewelry.

I’ve seen her svelte self
on Spring Street,
a determined click clack
of four-inch heels, both thumbs
texting. I’ve hailed her
by name from yards away.
Perfectly aloof. No reaction.
Both eyes glued to the screen.

When I ask about walking
her dog after midnight,
Bambi explains it, says
she feels safe at 3 a.m.
(in a two-block radius), says
people with dogs have disposable income, tend
to stay put.

When I ask about living
with her gay best friend,
Bambi explains it, says their devouring passion
goes beyond the sexual. But
still, he brings men home.

I’ve seen her stand lost
in her kitchen, when she
thinks no one’s looking;
I’ve seen the calm acceptance
in her eyes.

When I ask about singleness
in a cruel city,
Bambi explains it all,
says every ten years,
reinvent yourself.
Get a gay husband.
Stay lonely.
Buy a dog.

– for Bambi Here

 

*

“La dracena nel mio appartamento a Beachwood Drive”

 

1.
quando mi accorgo di averla di nuovo annaffiata troppo, ficco
la siringa da cucina nell’acqua rugginosa in eccesso
prima che finisca
sul parquet.

nel nostro appartamento in centro,
la luce violenta brucia le foglie acuminate.

mi ricorda l’estate,
quando mi hai lasciato qui a Beachwood Drive
e mi sono sparata il Demerol
il sangue color ruggine che risaliva nella siringa,
la stessa luce gialla tagliente
la punta aguzza che mi bucava la pelle.

2.
ricordo cosa dicevi sull’eccesso che uccide,
su come potevo amare qualcosa fino ad ammazzarlo.

il mio viso itterico rispecchiava
il giallo malaticcio delle foglie stanche della dracena,
il suo verde, smunto, giù di tono.
il mio volto triste, color annegamento,
l’affluire del Demerol troppo simile
al piacere.

3.
la dracena nasconde una macchia
sul parquet, a
forma d’uomo. Una chiazza scura, estesa
tra l’armadio e il letto.

da quando sei sparito, a volte di notte
mi sdraio sulla macchia,
imitando col corpo il modo in cui mi sdraiavo
su di te, braccia e gambe aperte.
immagino te, che scoli
sul parquet, uno schifo.

4.
il padrone di casa, alle strette, ha ammesso
che un cadavere era rimasto lì disteso
ben oltre il rigor mortis, trasudando fluidi
come una pianta annaffiata troppo
fino a che lui e il pavimento non si erano
fusi in un corpo solo.

 

 

“The Dracaena Plant in My Apartment on Beachwood Dr.”

 

1.
when I see I’ve overwatered it again, I jab
the turkey baster into the rust-colored runoff
before the water spills over
onto the hardwood floor.

in our mid-town apartment,
the harsh light sears the spiky leaves.

it reminds me of summer,
when you left me here on Beachwood Dr.
and I shot Demerol
my rust-colored blood backing up in the syringe,
the same pierce of yellow light,
the sharp spike breaking my skin.

2.
I remember what you said about overkill,
how I could love a thing to death.

my jaundiced face mirrored
the ailing yellow of the dracaena’s tired leaves,
the green of it, peaked, off-color.
my sad visage the hue of drowning,
the flood of the Demerol too much like
pleasure.

3.
the dracaena hides a stain
on the hardwood floor in the
shape of a man. A murky, splayed patch
between the closet and the bed.

since you disappeared, some nights
I lie down on that stain,
my body mimicking the way I’d lie
on top of you, arms and legs akimbo.
I imagine you, oozing out
onto the hardwood, a mess.

4.
the landlord, under duress, admitted
that a dead man had lain there
till long past rigor, seeping fluids
like an overwatered plant
till he and the floor had organically
merged into one.

 

*

“La gara”

 

«Grazie di essere venuti».

Dopo aver messo in mostra la mia disperazione,
e letto le poesie su
mio figlio morto, mi blocca uno sconosciuto

che dice di essere rimasto orfano
a sedici anni. Guidava la madre. Lui
uscì illeso dallo scontro.

Mi dice che c’è un nome per quello
che patiamo noi sopravvissuti. Stress post traumatico.
Una condizione riconosciuta. PTSD per le
persone colpite da lutto.

Potrei partire avvantaggiata; la morte prematura
di mia madre, il colpo di sonno del
camionista che ha ucciso il mio ragazzo e il nostro
bambino quando avevo diciannove anni,

farne una gara
che certo vincerei.
Invece, mi ritiro, gli dico «Mi dispiace tanto».

Quando mi abbraccia mi sento soffocare
per il peso della nostra perdita comune. Voglio
che lui se lo porti tutto via.

Invece, quando vado a casa, mi trascino un peso due volte quello
di prima. PTSD. Senso di colpa del sopravvissuto.
La nostra disperazione, e il suo nome preciso.

 

 

“The Competition”

 

«Thank you for coming».

After I put my despair on display,
and read those poems about
my dead son, I’m cornered by a stranger

who tells me he was orphaned
at sixteen. His mom was driving. He
walked away from the crash.

He tells me there’s a name for what
we survivors bear. Traumatic Grief.
A recognized condition. PTSD
for the bereaved.

I could one-up him; my mom’s
early death, or the asleep-at-the-wheel
trucker who killed my boyfriend and our
baby when I was nineteen,

make it a competition
I know I’d win.
Instead, I default, tell him «I’m so sorry».

When he hugs me I’m swallowed
by the weight of our common loss. I want
him to take it all away.

Instead, when I go home, I carry twice what
I had before. PTSD. Survivor’s Guilt.
Our despair, and its proper name.

 

*

“Mio figlio morto”
(Un ghazal)

 

Undici anni dopo, mio figlio morto resta.
(Lo tengo nelle travi della testa).

La sua foto a lato del mio letto è posta
(La bacio sul comodino accanto alla mia testa).

Di lui una felpa da baseball mi resta.
(La custodisco, nel profondo della testa).

«L’hai superato?» mi ha chiesto l’amica mia molesta.
(La inchiodo a un punto cupo della testa).

Ogni notte mi dico chi è morto morto resta.
(Ma lui sta qui, sulla forca della testa).

Sveglia, rivivo quell’orribile tempesta.
(Mi chiudo nel sonno dentro la mia testa).

A sentire il suo nome tutto in me protesta.
(Risuona l’eco nelle stanze della testa).

Alexis! Fai diventare tutto rosso, basta!
(Voglio tenerlo al sicuro dentro la mia testa).

 

 

“My Dead Boy”
(A ghazal)

 

Eleven years after, my boy’s still dead.
(I hold him in the rafters of my head.)

His photo’s propped at the side of my bed.
(I kiss it on the nightstand near my head.)

A letterman jacket hangs in his stead.
(I shelter him, so deep inside my head.)

«Are you over it? » my clueless friend said.
(I nail her to a grim place in my head.)

Each night I tell myself that dead is dead.
(But he’s here, on the gallows in my head.)

Awake, I relive the terrible dread.
(I shut myself to sleep inside my head.)

I still cannot bear to hear his name said.
(It echoes in the chambers of my head.)

Alexis! Stop turning everything red.
(I want to keep him safe inside my head.)

 

*

“Consigli non richiesti a una mamma su Facebook”

 

Smettila di tappezzare il sito di foto
del tuo ragazzo tutto muscoli alle soglie
dell’età adulta, che lancia palle imprendibili,
si esercita con la chitarra;

non esibire la sua bellezza in smoking
mentre posa con la ragazza del ballo di fine anno,
o i giri con la famiglia in cerca del college per l’autunno.

Meglio fargli da scudo contro il caso,
uno scambio di persona, il malocchio;
proteggerlo da ciò che non immagini nemmeno:
spari da un’auto.
una corsa clandestina.
un’overdose.
una bravata.

Passagli un uovo sul corpo mentre dorme.
Fagli sopra il mano fico col pugno.
Cuci specchietti nei suoi vestiti per allontanare la sfortuna.
Lega uno spago rosso intorno alla sua irruenza.

Quando qualcuno gli fa un complimento,
sputa tre volte dietro la tua spalla.
Poi tocca ferro.

Smettila di ostentare il volto radioso del tuo ragazzo,
la sua dolcezza, come si lascia dare
ancora il bacio della buonanotte.

Ascoltami:
Come te, anch’io una volta ero ubriaca d’amore.

Non sfidare gli dei.

 

 

“Unsolicited Advice to a Facebook Mom”

 

Stop plastering the site with photos
of your strapping boy on the cliff
of manhood, pitching a no-hitter,
practicing guitar;

don’t publicize his tuxedo’s beauty
posing with his prom date,
or family jaunts to look at colleges for the fall.

Better to shield him from happenstance,
mistaken identity, the evil eye;
protect him from what you won’t imagine:
a drive-by.
a street race.
an overdose. a dare.

Pass an egg above his body while he’s sleeping.
Make the mano fico over him with your fist.
Sew small mirrors into his clothes to reflect misfortune.
Tie a red string around his wildness.

When someone gives him a compliment,
spit over your shoulder three times.
Then touch wood.

Stop flaunting your boy’s shining face,
his sweetness, how he still
lets you kiss him goodnight.

Listen to me:
Like you, I was once besotted.

Don’t tempt the gods.

 

*

“Rivalità tra sorelle”

 

Coltivavo rose a misura
d’insormontabili difficoltà.

Quelle di mia sorella erano più grandi
e dal profumo più dolce.

io ho avuto un figlio.
Lei due.

Il mio è morto.

 

 

“Sibling Rivalry”

 

I grew roses the size of
insurmountable odds.

My sister’s were bigger,
smelled sweeter.

I had a child.
She had two.

Mine died.