Sono qui solo a scriverti e non so chi tu sia

da | Nov 12, 2021

Cinque testi inediti. 

 

Ancora, vicino agli occhi. Mordendo l’uva mi sembra di mordere la testa di una grossa formica. Il formaggio è cattivo. Il tuo corpo è un cielo solido Filadelfia concrezione azzurra di torri.

Del male, non parliamo, andiamo a cavallo. Del tempo che ci insidia i denti, ridiamo coi denti. Con la pelle godiamo dei giorni che ci consumano la pelle. “Oh lima sorda”, pur senza una condanna.

Cambiamoci le suole prima dell’invasione. Prima che sulle nostre sponde appaiano i figli senza nome, tanti come gabbiani. Perché le sponde non sono più nostre, ed è per questo che vengono invase. Perché le sponde non sono più nostre perché noi non siamo più noi stessi. Siamo bianchi, e senza sponda. Andiamo bianchi alla liberazione del diventare schiavi.

 

*

I bambini lottano nei prati, e noi ridiamo. Anche se poi non siamo loro padri né a loro è dato di riconoscerci come tali. Anche se da questi figli riceviamo soltanto il rifiuto. 

Voi avete detto una parola di troppo, e siete stati presi. Avete detto una parola di troppo a voi stessi. Di stanza in stanza, senza pensare ossia senza guardare, senza esser disposti a lasciare. Una parola di troppo avete detto, voi con la barba o senza, e quella parola ha desolato il cuore, ha spento l’orizzonte.

 

*

È bello ridere così, del nulla, e poi riprendere il cammino lungo uno scoglio più acuminato e solo, sul profilo di un universo che è fatto d’ombra, sfiorando braccia che sono di papavero, occhi dolci come cenere umida, dopo le braci e la pioggia. Dopo le braci del mondo incontrare il mondo, candido e netto scritto con le lettere del cielo. Il cielo è una lettera bianca la terra, la caduta del tempo, la dolce rapina infinita, una carezza che graffia la pagina rossa dei nostri toraci nudi.

Cammina con libri legati con lacci di cuoio ai polpacci.

Raggiunge una terra che non ha nessun nome.

Incontra uomini appena riavuti dal pianto.

Bello è ridere, così, del nulla, sotto il manto del papavero, sotto la pioggia invisibile del polline umano, sotto lo sguardo mite di un impiegato alla fermata del tram, con le braccia tatuate.

Ha scritto sui bracci tutti i nomi dei figli e si sa che ha scalato i ripidi mari. Li
ha scalati come la formica scavalca un mucchio di pietre.

 

*

Vediamo la purezza e l’innocenza più facilmente nei selvaggi, perché maggiore e più palese ai nostri occhi è la disproporzione tra ciò che essi sanno e ciò che è da sapere. Disproporzione in questo caso manifesta ai nostri occhi nella disproporzione tra ciò che essi sanno e ciò che noi sappiamo. Il sentimento stesso della compassione nasce dalla percezione di questa disproporzione tra ciò che l’uomo sa e la verità. Il riuscire a vedere l’uomo sullo sfondo smisurato di ciò che ignora non può che generare pietà per una creatura così fragile immersa in una non-conoscenza. Percepire anche se stessi in tale condizione (condizione umana) genera quel sentimento alto, la compassione, dove la sola forma di oggettività permessa all’uomo è raggiunta. La comprensione della necessità di tale disproporzione, della necessità per la stessa
conoscenza che tale disproporzione limita a priori, può, ma non deve – e proprio per il suo essere necessaria alla stessa conoscenza di cui è limite per il suo esserne condizione (d’essere e di progresso) – generare uno sconforto, e uno svilimento della conoscenza.

 

*

Vedo l’albero sorgere come una improvvisa fonte nel centro del prato. Dietro il parcheggio, dove un uomo nero e un uomo bianco discutono, tra le macchine di lamiera.

Cosa ci spinge ad andare avanti, nell’euforia della nudità. Nell’euforia del tempo, nello scorrere delle auto bianche sulle nostre braccia.

Il palmo dell’uomo si apre sulla pancia di una donna nella pancia di una donna si modella una donna prima è solo un solletico poi diventa una voce.

Poi tuo figlio diventa come una macchina che scorre più veloce di te che cammini.

Vive una vita libera, che tocca la tua solo di lato. Io sono per lui altro da ciò che sono per me. I suoi capelli crescono sulla tua testa. Il suo respiro è sfuggito dal mio palmo.

La donna parla al figlio con una voce bianca. Lei non è per se stessa neppure quando è sola.

Come possiamo mantenere quella coscienza che spesso è in noi come il sole fermo prima di cadere quella coscienza dolce della vanità. Come possiamo mantenere quella coscienza della vanità dolce, che ciò che conta è solo la bontà, il sorriso, la gentilezza d’animo. Che tutto è bontà, sorriso, gentilezza d’animo.

Senza per ciò detestare i giochi di bambini, che sono serviti a tranquillizzarci.