Poesia, filosofia e le loro peripezie

da | Mag 10, 2024

(Pubblichiamo in anteprima il primo paragrafo della Lectio Magistralis tenuta da Durs Grünbein il 6 aprile 2022 in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Scienze filosofiche dell’Università degli Studi di Milano. La versione integrale, con testo tedesco a fronte, è uscita da poco in volume, a cura di Rosalba Maletta, per la casa editrice Le Lettere.)

Una volta Henri Bergson sognò di essere Sigmund Freud. E in sogno Freud si vide nel ruolo di Friedrich Nietzsche. E Nietzsche, prima di firmare le sue lettere come “Dioniso” o “Il Crocifisso”, si riconobbe in Cartesio, il primo Io narrante della filosofia. Lo fa parlare in sua vece nella prima
grande raccolta di aforismi che tratta del pensiero onirico: “In luogo di una Prefazione”. Jakob Böhme, un semplice ciabattino e visionario, sognò di aver varcato tutte le porte dell’inferno
spirituale insieme a Gesù Cristo. Poteva dire di sé di aver visto più cose in un quarto d’ora, di giorno o di notte, che se avesse frequentato per molti anni scuole prestigiose. Nella pienezza mistica della sua esistenza sogno e veglia erano tutt’uno. Questi sono i pensatori che trovano favore presso i poeti. Anche i filosofi in sogno incontrano sé stessi nel ruolo dell’Altro. Dietro le palpebre chiuse i corpi appaiono intercambiabili; la trasmigrazione dell’anima si fa esperienza. Detto altrimenti: una questione empirica indimostrabile.

Un giorno Adorno sognò di dover essere crocifisso, in un altro sogno gli sussurrarono che Hölderlin si chiamasse Hölderlin perché suonava sempre un flauto di sambuco. Walter Benjamin sogna di far visita alla casa di Goethe dove vede il proprio nome già registrato con grafia infantile nel libro degli ospiti. Di Heidegger sappiamo che dopo la guerra, che si concluse con la Germania in macerie, durante le passeggiate nell’Alta Foresta Nera si vedeva segretamente come l’Eraclito redivivo, in una sorta di ininterrotto sogno a occhi aperti. Cartesio era di altra natura: in sogno cercava di imporsi come colui che voleva essere. Una volta, nel cortile del collegio, incontrò in sogno un uomo che gli offrì un melone proveniente da una terra straniera. Sollecitato da un lettore, Sigmund Freud ipotizza nella lettera di risposta che siano qui rappresentate «le attrattive della solitudine, espresse però con allettamenti del tutto umani». L’autore dell’Interpretazione dei sogni chiarisce trattarsi di una categoria di sogni che chiamiamo «sogni dall’alto». «In questi casi il contenuto del sogno è per solito astratto, poetico e simbolico».

Dunque nel proprio letto Cartesio si trovava nella condizione del poeta. Con tutto ciò riusciva a
malapena a stare in piedi, una tempesta minacciava di spazzarlo via. Se detta tempesta soffiasse
dal paradiso, non era il problema che si poneva. Un angelo avrebbe forse potuto dirglielo. Alla sua epoca, tuttavia, quel che contava era allontanare gli spiriti maligni e, ancor di più, i potentissimi patriarchi della Metafisica. Non gli sarebbe mai venuto in mente di poter essere altro dal filosofo uomo di mondo, quale egli stesso si considerava. Il favorito del destino che, grazie alla nuova fisica, i cui fondamenti avrebbe sviluppato negli anni a venire, sfida ogni turbine, ogni pioggia di scintille, tuoni e fulmini, un mondo in tumulto. Aveva trovato la sua strada, che lo allontanava dalla pur apprezzata poesia e da tutte le fantasticherie senza fondamento per condurlo agli annali della storia della filosofia e della scienza moderna.

(A proposito: chi vi sta parlando non è necessariamente identico all’autore. Tuttavia qui l’autore si avvale volentieri dell’occasione di prendere la parola in nome di una persona che più di un lettore ha riconosciuto nelle sue poesie).