Nel concerto del tempo

da | Mar 9, 2024

In anteprima da “Il concerto del tempo” di Marco Pelliccioli, da poco uscito per “Lo Specchio” Mondadori, presentiamo alcuni estratti.

 

URBANE

IV

C’è da chiedersi
se anche questo scavo
bracci di gru, cataste, sagome arancioni,
diventerà una forma
di vetro spiroidale, come quella
che preme sulla quinta
o se un giorno sboccerà
ancora una bottega, un fioraio
come all’angolo di via Pietro Maroncelli

dove distratto compro
una rosa gialla
nel locale sporco di terra
forbici, e petali caduti.

 

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NUOVI VOCABOLARI

I

L’uomo, alla porta, sbuffa la farina caduta sul grembiule, non conosce “early adopters”, plance, processi di validazione. Non ha pianificato conti in “kappa” o “identikit”. Vuole soltanto vendere il suo pane, ed è perplesso dal piano di rilancio dell’uomo-gelatina, malconcio eppur firmato: pantaloni arrotolati sopra la caviglia, auricolari, lampade alogene nel fiato.

II

L’uomo-capo parla dritto, non ha mezze misure. Sotto il cuore, in una piega, ha cucite le iniziali. Quando il branco si raduna fa un discreto uso della parolaccia, provocando ilarità nei volti in porcellana sul tavolo-credenza.

III

Con la borsa a tracolla, il monociclo elettrico, “in call”, discorre sommesso di piani aziendali – “delta” “revenues” “mark up” –, immemore dei tralci e dei pedali spinti sui crinali, quando perdersi per strada, le scarpe slacciate, la luna sopra il sole, era la meraviglia inutile dei campi,
pestare le zolle della vigna.

 

*   

@CLIO

II

Uno smartphone quattro luci
prodotti da make-up qualche minima
istruzione e tutto poi diventa
spettacolo da star:

il fare colazione il filo
interdentale cosa cucinare portare a spasso
il cane, per ritornare lì
con luci da make-up
a rendere il mio show
nuova esclusività:

“diventa come me
avrai un mucchio di fan.”

V

A volte, sognavo in camerino
la rivolta degli oggetti
la matita e il temperino
il pennello e il grande vetro
per non parlare
delle luci, un tempo lampadine:

volevano dimettersi
dalla mia carriera, ritornare cose
ancora smangiucchiate

(o, come direbbe lei, “sgnagnade
sfrisade, uce, ma bötele mia vià…”)