L’assedio della gioia

da | Set 6, 2022

Sei poesie in anteprima da “L’assedio della gioia”, esordio in poesia di Francesco Brancati, uscito con prefazione di Massimo Gezzi nella collana ‘novecento/duemila’ a cura di Diego Bertelli e Raoul Bruni per Le Lettere. 

 

Da Paesaggio con passaggio

Röthelheimpark

Il comune ha aperto un nuovo spazio
per la riqualificazione delle aree periferiche.
La lattina nel prato sempre verde
riverbera i fotoni quel tanto che basta
per fare acquisire alla scena i contorni
abusati di una provinciale epifania.

Da qualche secondo hai smesso
di risalire per scherzo lo scivolo
dei bambini e sei infastidita
perché la luce improvvisa
ha deciso il proprio agguato
quando stavi per voltarti
e così sei scivolata,
percorrendo dentro l’aria
un perimetro di istanti
che il pensiero contraendosi
non riesce a trattenere.

Mentre ti rialzi – anche
questo è un assalto – osservo
i piccoli frammenti di ghiaia,
il terriccio dell’area giochi
che scontorna i tuoi capelli.

Perché tanti fili d’erba?
Perché tanti capelli?

 

Da Giorni di vacanza

Le viole, hai detto, che adesso osservi
non bastano da sole a esprimere
le parole, esistono per replicare
un’idea di indifferenza e di gioia
alle tue scarpe pesanti, alla sigaretta
spenta, ai libri aperti fino al gomito
davanti qualsiasi altro cielo,
più semplice del nostro.

Ma questo è ancora e sempre un uomo.

La voce che promette un ritornello fragile
dopo la furia dei cantieri e la purezza delle conferenze.

È venuto con il pianto esile, con le forme
degli occhi già pronte per le tue ciglia.
Ha chiamato il suo cristo orizzontale
ebbro del sesso, sfiancato, ridotto all’assedio.

Insieme leggevano dalle sinapsi
il libro impaurito della memoria,
la rabbia sul muro, il ritmo perso.

Le viole, allora, non esistono per lui e per noi.

 

 

Da La grammatica della gioia

Non riconosce, in fondo, nessun modo
per ritrovare il suono. E del resto
soltanto uno tra i giochi sarebbe
sopravvissuto all’invasione.
Gli altri, la loro Sarajevo di plastica,
gli arti a pezzi, smembrati nell’esplosione,
destinati a una veloce sepoltura
nel campo enorme di fronte la casa,
acattolica necropoli di Woody, Goku, Batman.

Adesso il suo uguale avversario
ritiene che ogni azione comprenda
l’unica variabile indispensabile,
assicurare una leggerezza
in caso la fuga, qualora l’assedio.

Prova a collegare le immagini della corsa
con quelle di lei precipitata verso il canneto
per nascondere la valigia: dietro la strada
e davanti il mare, quando la stanchezza
e le mani che tremavano avevano imposto
la rinuncia al conforto delle urla o del pianto.

Più tardi saranno inammissibili
le spie delle luci, il jack delle cuffie
con le regine intorno morte e i piaceri
ancora sconosciuti, pornografia e fede,
il paradiso o Las Vegas.

Per questo ricerca una serie di tracce
che non appartengono alla paura:

non per reclamare quanto lo distingue
ma come indovinando ciò che lo trattiene.

Soltanto non è possibile ricordare,
e anche questa è una menzogna.

 

 

Da Il terzo motivo

La distrazione

Non cerca di disporre le travi del pericolo
accanto ai sassi nella strada, il crollo mentre
gli altri dormivano, se preme le tempie contro
gli angoli, se muore non prega, afferra la porzione
di spavento che è possibile contendere ai singhiozzi,
ai respiri quando ridiventano muco, rallentare le frequenze.

Come ha sorpreso la fine della storia,
quale distrazione ha inventato al suo futuro,
quanto il domani, una sorella fin troppo
pasciuta, davvero educata, attraverso le promesse
dei suoi doni dalle bocche consentiva.

Infanzia e paesaggio boccheggiavano,
l’osso ioide dileguava qualsiasi conato,
giungevano a frotte gli eventuali paradisi.

Il fondo, un buio ancora più buio
ripieno delle altre teste, mozzati
i cadaveri, le tute da sub fuori
dallo spasimo, dentro la nevrosi
ininterrotto il passeggio sopra il tu.

 

 

Da Gioia dell’asfalto

Gioia dell’asfalto

I. Un incessante sforzo di ricordare, di trattenere. Equivale a rispondere a un assedio. L’assedio della gioia. Il decollo garantisce la portanza dell’ala, il sostentamento del volo, in questo modo l’aereo da Pisa a Francoforte si alza in volo. Chi vede la città, i tetti ocra, i muri gialli e bianchi, l’Arno. Una malattia che si espande fin dove il verde la contiene. Come sei bella malattia, non sprofondare mai.

II. Viaggia in autobus sulle larghe e confortevoli autostrade tedesche. L’autobus sorpassa un tir che sembra muoversi a una velocità indefinibile, nello spazio che separa le corsie l’aria è la velocità. Osserva l’autista dell’autobus, i suoi pensieri sono disposti intorno alla testa e creano una sorta di vapore, la nebbia si espande e pervade in blocchi compatti il volume dell’abitacolo. Cosa avrà sognato questa notte l’autista? Nel sogno senza epoche del suo sonno rivede qualsiasi foresta, gli oceani, i deserti, gli occhi composti delle mosche in ogni secolo e in ogni cattedrale. Esistono ipotesi ragionevoli per sostenere che questa notte l’autista avrà sognato il passeggero dell’autobus. Il sonno innocente dell’autista, poiché un imbarazzo della specie tramandato da almeno due o tre generazioni ha reso innocente ogni suo sonno, ha sognato l’inesistente fotografia del passeggero dell’autobus quando da bambino indossava un’esistita camicia azzurra con un cowboy cucito sul taschino destro, mentre rivolgeva un inesistito sorriso, di sbieco verso l’obiettivo.

III. Per qualche giorno vive a Dormitz, un paesino di non più di duemila abitanti a venti chilometri da Norimberga. È ospite di Yann e Stephanie, una coppia di trentenni che da poco ha deciso di andare a convivere. A sera cammina nell’aria fredda del paese fino a raggiungere il campo di calcio poco distante dall’autostrada. Yann allena la sezione femminile della squadra locale e Stephanie gioca come centrocampista avanzato. La coppia è sempre molto generosa e cordiale con l’ospite, in sua presenza entrambi si sforzano di parlare in inglese o in italiano. All’ospite il loro mondo appare fatto di piccole cose, concrete e minuscole, tangibili. Desideri, speranze, progetti e timori che si possono afferrare, elencare, intorno ai quali si può addirittura parlare.

IV. La materia, la memoria, la scrittura, la paura.