L’amore da vecchia

da | Nov 15, 2022

Sei poesie in anteprima dall’ultimo libro di Vivian Lamarque, “L’amore da vecchia”, appena uscito per ‘Lo Specchio’ Mondadori.

 

MAI L’INVERNO

Mai l’inverno con la primavera
– e lei è l’inverno e Ics la primavera –
(be’ non esageriamo e Ics l’estate, be’
non esageriamo, la fine estate, quasi autunno)
fuor di metafora mai un uomo giovane
(be’ non esageriamo semi-giovane, insomma
di mezza età) torniamo alle stagioni, mai
un bell’albero in fiore una fogliolina gialla guarderà
(anzi, ben lo sappiamo cosa combina d’autunno
un albero alle foglie).

 

 

LUGETE O VENERES

Lugete o Veneres Cupidinesque
e anime gentili, infelice nella sua gabbia
piegato sotto l’ala lo spiumato capino
sta l’amore suo che si era immaginato.

Oh l’immaginazione non riesce più a immaginare
ora procede per una strada oscura che fare?
Inventa ancora un poco ti prego che ci credo.
Bucami iniezione d’illusione, che due
più due non faccia quell’esiguo totale
che in gabbia non stia già cadendo dal suo filo
quel press’a poco amare, sosia dell’amare.

 

 

JANE

Ne faceva l’appello nome
per nome, e ogni tanto
se li contava i fiori del balcone.
Un inverno apparve un Elleboro
e spuntò una bacca all’Agrifoglio
che non ne faceva mai e spuntò
un fiore strano, mai visto, di chissà
quale nome.

Con i prediletti usava dei nickname
per esempio una violetta la chiamava
come la Austen –
Jane.

 

 

CARTA DA RICALCO

Sul vetro terso della finestra con carta-ricalco
e affilata matita di ricalcare lei tenta della vita
ogni singolo giorno non manchi un’alba all’appello
né un mezzogiorno.
Ben tesa la carta? Combaciano disegno
e contorno? Oh, che non manchi quel minuto
quell’ora, che non ne manchi nessuna, che nel ricalco
non si sposti la luna.
Che non si perda neppure lo spuntare del tram
da lontano, quel volo da quel ramo a quel
ramo, con le dita conto e riconto che non si perda
un secondo del mondo.
E con l’udito ricalca pompieri ambulanze sirene
e del merlo il fischiare e di Guappo giù in strada
l’educato sottovoce abbaiare
e il sottile righìo che sul vetro fa la matita
il dolce rumore, caro Sandro Penna, della vita.

 

 

COME NEL FILM «OGNI COSA È ILLUMINATA» (2005)

Come nel film “Ogni cosa è illuminata” che la guida ucraina Alex traducendo parla una lingua stranita lungo i fianchi della memoria tra gli sterminati di Trochenbrod nel cominciamento di una rigida ricerca (e c’è anche un cameo con Foer vero, che soffia via le foglie del cimitero)

Così stranisce la lingua poesia e quando ti parla saltano
i tempi verbali e ritorna di tutto anche ritornano
parole che erano morte e le bianche lenzuola del film
ed è tutto un andare venire
come il cane Sem nel finale che dalla tomba del vecchio
padrone corre al sentiero poi alla tomba poi al sentiero,
ma infine non sceglie la tomba, fugge via, via, sceglie la vita,
così anche noi, la vita.

 

 

ESERCITO

Al bisogno faccio l’appello
le nomino le convoco e loro accorrono
in punta di gambette, di curve,
di occhielli, loro le lettere
a formare parole, le rifiutate
si ritirano mogie con la coda
tra le gambe, le prescelte si allineano
lì dove le metto, anzi non lì, là, anzi
qua, in riga! attente! riposo! a capo!
ordino al mio esercito fidato.
Per ora fidato.

(non lasciarmi mai, Alfabeto)