In simmetria con la morte

da | Dic 10, 2022

In anteprima da In simmetria con la morte del poeta cinese Yang Lian, appena uscito per Aragno nella collana “Parallela” a cura di Irene Santori, con prefazione di Yang Lian e postfazione di Claudia Pozzana e Federico Picerni, pubblichiamo la prefazione e alcune poesie.

 

Cominciare dall’impossibile

«Possa questa pietra taciturna / testimoniare la mia nascita»: questi sono i due versi di apertura della mia prima poesia riconosciuta, Confessione[i]. La pietra fa qui riferimento alle rovine di un luogo concreto, vale a dire i resti del Vecchio Palazzo d’Estate – lo Yuanmingyuan –, nella periferia occidentale di Pechino. Antica residenza imperiale della dinastia Qing, fu dato alle fiamme e distrutto dagli eserciti coalizzati di Francia e Inghilterra nell’ottobre 1860. Alla fine del 1955, terminato il lavoro diplomatico in Svizzera, mio padre mi riportò con sé a Pechino e poco dopo ci trasferimmo nei pressi di queste rovine. Anche le scuole elementari e medie che frequentai successivamente e il villaggio dove andai a vivere e lavorare in quanto giovane istruito, durante la Rivoluzione culturale, non erano molto lontane rispetto a quel luogo. Ciononostante, nei miei ricordi, non resta nulla degli antichi fasti degli imperatori. Su quel vasto lembo di terra gialla non rimangono che frammenti di tegole e mattoni e rade colonne di pietra. Nella mia memoria, non passa che il vento del Nordovest, d’inverno, sibilando fra le rovine, un vento poderoso nel cielo che avvolge un cerchio di luna fredda e desolata, mentre gli alberi tremano con violenza nelle profondità tenebrose della notte. Era una terra vasta e vuota, come vasto e vuoto era il mio cuore.

È un caso che abbia cominciato a scrivere a partire da un cumulo di rovine? O è forse frutto di necessità? Nel 1980, a venticinque anni, avevo sulle spalle tre anni passati nella ferrea disciplina nelle campagne dove ero stato trasferito durante la Rivoluzione culturale. La mia prima poesia, malgrado la sua immaturità, si era già amalgamata alla sorte ineluttabile dei poeti contemporanei in lingua cinese. La Cina non ci aveva lasciato certo il paese dei balocchi. Spremendoci con la storia, con la realtà e con un linguaggio profondamente contaminato, la Cina ci aveva fatto capire il significato di parole come «impasse», di «impossibilità». Eravamo appena rinati, eppure eravamo troppo vecchi. A stento i nostri versi cominciavano a balbettare, ma a livello percettivo, in una certa misura, avevano già vissuto una trasformazione. Sin dall’inizio la copiosità intrinseca della poesia sembrava voler esplodere in versi e parole, che si affollavano intrecciandosi, scontrandosi, contraddicendosi, affastellandosi. La poesia, sulle rovine del tempo, della vita e della cultura, non poteva che vivere come una colonna di pietra, un braccio spuntato da sottoterra, in preda a spasmi invisibili. Non poteva che cominciare, ogni volta, dall’impossibilità. La vita e la morte, nei nostri corpi, si saturavano a vicenda, si rafforzavano l’un l’altra e formavano un’unica entità: «ultime volontà, divenute la maledizione della mia nascita»[ii].      

Questa selezione poetica, dal titolo In simmetria con la morte, vuole chiarire il senso dell’esistenza della poesia: essa, pur trovandosi in corrispondenza della storia della distruzione, che attraversa tutte le epoche – financo tutto il mondo –, perpetua un necessario equilibrio.

Un piatto della bilancia è costituito dalle strade di terra gialla da me percorse sollevando bare durante il mio periodo in campagna, insieme con il sito archeologico di Banpo, a Xi’an, risalente all’Età della Pietra, una forma di cerimonia funebre che ha attraversato immutata seimila anni, cancellando in un solo istante più dimensioni temporali. Gli anni Ottanta sono stati definiti, in Cina, l’epoca della riflessione culturale; una ricerca intellettuale che, a partire dalle asprezze della realtà, è penetrata nella storia, nella tradizione e nell’io di ciascuno, dando forma alla forza motrice che ha sospinto la transizione della cultura cinese verso la modernità. Tian’anmen, nel 1989, ha costituito precisamente il frutto di questa dolorosa riflessione. Essa mi ha spinto a intraprendere, con un dizionario di pensiero cinese fra le mani, il mio esilio e le mie peregrinazioni lungo il globo, fra il mar Nero di Ovidio, la Berlino di Nabokov, la Londra di Orwell, l’Arabia di Adonis… ogni passo era insieme un cambiamento e una stasi, un’ininterrotta discesa sempre più in profondità nei cerchi concentrici della condizione umana. Nel mio zaino, oggi, si trova un vocabolario di pensiero mondiale.

L’altro piatto della bilancia è rappresentato dalla «minutezza» del poeta, formatasi in netta contrapposizione rispetto alla «grandezza» del linguaggio. Mai la poesia si è separata dall’umiltà, dalla sensibilità e persino dall’intima segretezza dell’individuo. Anche il concerto dei temi più grandiosi deve essere musicato dalle corde di uno strumento solitario, fino a filtrare i rumori e le impurità del materiale, affinché la ricerca formale di ciascuna poesia possa tornare allo stato di purezza musicale agognato dal poeta. La poesia non rinuncia mai ad agganciarsi al lavoro dei grandi precursori.

Il peso incommensurabile di ciascuna poesia si trova sempre in corrispondenza dell’illimitata vastità della morte. Il suo fulcro è costituito da una locuzione: dignità umana.

I lavori inseriti nella raccolta In simmetria con la morte interessano un arco molto vasto della mia produzione. Temporalmente, l’arco si estende da Confessione, del 1980, a 19 dicembre 2019, solstizio d’inverno e poesia, la cui composizione è terminata nel 2020; tematicamente, da La festa degli spiriti di Han Yu il Pièremoto, o la valanga travolgente del tempo, lamento per i poeti esiliati all’epoca della dinastia Tang, a Per lo sconosciuto scomparso al mio fianco, dedicata ai morti di coronavirus di Wuhan; formalmente, dalla metricamente rigorosa Il suono della pioggia di Verona alla composizione poetica strutturata Elegia della terra natale. Benché concordi con me nel porsi la domanda avanzata in Alla tomba di Tranströmer «sin dove ci potrà portare la misofobia della poesia?», i poeti troveranno anche una risposta al proprio stesso quesito nella chiusa di Frasi negative di un seme di girasole: «rifiutandosi di lasciare questa poesia affondare nella tombale indifferenza della bellezza». A saper scorgere oltre il tortuoso tendaggio della lingua, l’anima e il sangue sarà sempre il nostro sentore poetico più fondamentale.

Di recente, in un altro articolo, ho avuto modo di affermare che la grande storia, da sola, è insufficiente. Anche l’individuo, da solo, è insufficiente. È necessario far sì che la grande storia diventi un individuo, se vogliamo avere la possibilità di raggiungere la qualità richiesta della poesia. In parole povere, in un certo senso, ogni poesia è una specie di autobiografia. La poesia è una forma di «archeologia del presente», che scava incessantemente per quadrati verso l’interno della persona, fino a solcare uno dopo l’altro individuo, nessuno e tutti, con una comunicazione «profonda» e abbracciando ciascun tempo. Devo qui ammettere che la linguistica del cinese è, per sua stessa natura, un’illuminazione. I verbi, non avendo né persone, né tempi, si trovano sempre alla forma base, il che fa del cinese una lingua naturalmente predisposta a trasmettere la condizione di «sincronia». Se a questo aggiungiamo la consapevolezza acquisita, sbaglio forse a sostenere che il cinese può fungere da risorsa del pensiero per vedere oltre l’epoca della globalizzazione, età di caos dei valori spirituali, che ha messo gravemente in crisi le concezioni lineari del tempo e le «teorie dell’evoluzione»?

La malinconia della storia ha permeato ogni presente. I cerchi concentrici della vita sono mutati in un unico verso di poesia: «di nuovo commossi dall’antico tradimento». Tutti i poeti di ieri e di oggi sono nostri contemporanei.

Una decina di anni fa, io e Adonis fummo invitati a un reading delle nostre poesie all’interno del London Poetry Festival. Poco prima dell’inizio, gli domandai cosa avrebbe letto quella sera. Lui mi rispose con un lieve sorriso: «Concerto per l’11 settembre 2001 a.C.». Ah! Fra a.C. e d.C. cambia appena una parola, ma è sufficiente per portare a casa tutte le vicissitudini e le trasformazioni vissute dall’umanità in quattromila anni! Questa «inversione della storia» non è forse un’avanzata di incomparabile radiosità? Un’avanzata verso le profondità della storia! 

A mio parere, nella conclusione di ogni poesia, rista una pietra delle rovine del Vecchio Palazzo d’Estate di Pechino. Quella pietra non cessa di chiosare: «Im-pos-si-bi-le». Ma noi rispondiamo placidamente: «E allora cominciamo – dall’impossibile».

Yang Lian

(Berlino, 11 dicembre 2020)

 

Omaggio alla poesia

Il vecchio secolo scopre la fronte
e scuote le spalle ferite
la neve copre le rovine, bianca e inquieta
come schiuma d’onde, si muove tra alberi oscuri
una voce perduta ci giunge da quegli anni
non ci sono strade
attraverso questa terra che la morte ha reso misteriosa

Il vecchio secolo ingannando i suoi figli
lascia ovunque scritte irriconoscibili
la neve sulla pietra corregge la sporcizia decorata
io stringo nelle mani la mia poesia
chiamami! Nell’istante anonimo
la barca del vento portando la storia è passata in fretta
dietro di me, come un’ombra
mi segue una fine

Dunque ho capito:
un gemito non è un rifiuto, le dita della fanciulla e
il modesto mirto sono immersi nei cespugli viola
occhi come meteoriti si tuffano nell’oceano immenso
ho capito che ogni anima infine sorgerà di nuovo
portando il profumo fresco e umido del mare
portando l’eterno sorriso e la voce che non si piega
salendo verso il puro mondo azzurro
e io declamerò il mio poema

Crederò che ogni ghiacciolo è il sole
queste rovine, per causa mia, diffondono una strana luce
tra questi campi pietrosi ho ascoltato un canto
mi nutre un seno pieno di gemme
avrò una nuova dignità e un sacro amore
sui campi candidi denuderò un cuore
sul cielo candido denuderò un cuore
e sfiderò il vecchio secolo
perché sono poeta

Sono poeta
se voglio che la rosa sbocci, la rosa sboccerà
la libertà tornerà, portando la sua piccola conchiglia
in cui risuona l’eco di una tempesta
l’aurora tornerà, la chiave dell’alba
ruoterà nella giungla, i frutti maturi lanceranno fiamme
anch’io tornerò a scavare di nuovo il destino doloroso
a coltivare questa terra nascosta dalla neve

(maggio 1990 – gennaio 1981)

 

MASCHERE E COCCODRILLI

Maschere

19

Conosci bene un volto
e dietro al volto una certa eco
si trasmette reconditamente

dalla Costellazione dell’Osso Bianco
pupille che ti evitano nell’oscurità
echi senza via d’uscita

20

Lo specchio non cattura il volto
né il convesso‑concavo degli ideogrammi
non c’è mondo dietro lo specchio

perciò il volto si gira
vento e onde si placano
è un altro volto

25

Molti ideogrammi si esibiscono sul bianco‑vuoto
molti volti tra loro sconosciuti
remotamente collidono

uno sopra l’altro
come un volto sconosciuto
ideogrammi diversi sono nello stesso tempo bianco‑vuoto

 

Coccodrilli

7

Il coccodrillo sembra un ideogramma che stringe le narici
ti disdegna
limitandosi a fluttuare su questa pagina bianca

disperato chiedi aiuto
con ideogrammi da molto latenti
sprofondando nell’acqua piena di coccodrilli

13

Siedi solitario nella notte profonda
troppi coccodrilli raggiungono silenziosi la riva
come poesia intangibile

che striscia tra cinque dita
sotto erbe fitte
sei ignaro del tempo che sei stato masticato

20

Il destino di ogni ideogramma è la menzogna
tu dipendi soltanto da una pagina bianca
e dai fiori argentei del funerale

dopodiché        anche tu sei bianco‑vuoto
a fianco del tempo scorri via
riaffermando pittograficamente te stesso

23

Guardare fisso una poesia
finché dal profondo del bianco‑vuoto affiora un viso
un sorriso finissimo come una trappola

il volto si nasconde        uno scheletro con grandi orbite
piene di cieli azzurri senza ideogrammi
quando infine lo si comprende ritorna piatto

28

Nel nuovo nome tu sei ancora assente
da una parola all’altra
cammini come un uomo invisibile

nascosto dentro un azzurro
il vento sfoglia una parola dopo l’altra
tu non muori        soltanto non sei ancora nato

29

Nelle parole ci sono parole nelle persone ci sono persone
nel tempo proliferano fantasmi
ti sfregano come un ventre grasso di coccodrillo

innumerevoli ultimi giorni entrano in un compleanno
soffocata a morte in una menzogna viva
la tua ombra vuota se ne va inarrestabile

30

Quell’immutabile peso della morte
cade dentro agli occhi del coccodrillo
calmo ti guardi fagocitato

soltanto nella completa oscurità
riesci a sentire che gli esseri vivono di sangue freddo
un ideogramma ha finito di scrivere il mondo

 

Note: 

[i] La traduzione dei versi citati è conforme a quella presente in Claudia Pozzana e Alessandro Russo (a cura di), Nuovi poeti cinesi, Torino: Einaudi, 1996, p. 49.

[ii] Ibidem.