IL MAESTRO DEL LUME DI CANDELA

da | Mar 27, 2023

Da poco uscita ne’ Lo Specchio Mondadori una raccolta antologica delle poesie di Michael Longley, a cura di Piero Boitani e Paolo Febbraro, con un saggio introduttivo di Piero Boitani, traduzioni di Paolo Febbraro, Piero Boitani e Marco Sonzogni. Proponiamo un estratto dell’introduzione e una selezione di poesie a cura di Piero Boitani.

 

Il maestro del lume di candela (il “Maître à la chandelle”) è un pittore barocco che molti hanno identificato con Trophime Bigot (1579-1650), provenzale attivo per una decina d’anni anche a
Roma, autore di tele di stile così diverso da essere stato persino sdoppiato, un artista più anziano e uno più giovane. E che a Roma è invece identificato, sulla base di documenti relativi al pagamento, con un “maestro Jacomo”, al secolo Giacomo Massa.
Il modo di dipingere di Trophime-Jacomo cambia considerevolmente, apparendo più tradizionale in Provenza, assai più aperto alla nuova maniera caravaggesca nella capitale pontificia, ma sua caratteristica costante è quella di presentare una scena, o una figura, immerse nell’oscurità, e tuttavia illuminate, dentro per così dire il buio, da una luce che talvolta viene emanata appunto da una candela fisicamente presente nella tela.
La luce della candela, di per sé non forte, possiede però nella fitta oscurità potenza tale da fare del quadro una ostensione: una rivelazione vera e propria. Michael Longley ha descritto 
molto bene il fenomeno in una lirica brevissima intitolata “Poem” della sua raccolta “The Candlelight Master”, del 2020, nella quale dichiara di essere lui stesso il maestro del lume di candela:

I am the candlelight master
Striking a match in the shadows.
A smoky wick, then radiance.
I am the candlelight master.

Sono il maestro del lume di candela
che fra le ombre accende un fiammifero.
Dallo stoppino fumo, poi fulgore.
Sono il maestro del lume di candela.

La concisione estrema, alla quale Longley si avvicina sempre di più negli ultimi due decenni, non consente allusioni al mistero dell’identità del maestro pittore, ma serve a far esplodere la luce «fra le ombre» (il plurale contenendo in inglese anche un accenno all’aldilà), in una radiance che è fulgore irraggiante, claritas radiosa. «Striking a match», letteralmente “lo sfregare un fiammifero”, è il gesto semplice e minimo di una creazione che ha per oggetto la luce e i volti e le cose che essa rivela, e il breve calore che il fuoco produce. Nel presentarsi come il maestro del lume di candela, Longley si mostra come il poietes umano: forte, diretto, immediato, ma anche coscientemente caduco come appunto una candela e la sua luce.

Piero Boitani

***

ANTICLEIA

Se alla roccia dove confluiscono i fragorosi fiumi, l’Acheronte,
il Piriflegetonte e il Cocito, affluente dello Stige, scavi
una fossa larga, lunga e fonda un cubito, dalle nocche al gomito,
e vi sacrifichi un montone e una pecora nera, piegando loro il capo verso le
tenebre esterne mentre tu volgi la fronte all’acqua,
tante di quelle anime anemiche dei morti ti si affolleranno attorno che dovrai
tenerle lontano dal sangue con la baionetta,
ma tra questi zombi a un tratto riconoscerai tua madre,
e se, dopo averle dato del sangue da bere e parlato di casa,
tre volte ti farai avanti per abbracciarla, per tre volte
come un’ombra o un’idea lei ti svanirà tra le braccia
e le chiederai perché evita di toccarti e lacrime verserai
perché ecco qua tua madre e perfino quaggiù nell’Ade
un abbraccio tremante sarebbe a entrambi di conforto,
ti spiegherà lei che i tendini non legano più la sua carne
alle ossa, che il fuoco irresistibile ha tutto demolito,
che l’anima prende il volo come un sogno e fluttua nel cielo,
che questo è quel che accade agli esseri umani quando muoiono?

 

ARGOS

Di separazioni ce n’erano state altre, così numerose
che Argo, il cane che attese Odisseo per vent’anni,
ha continuato ad aspettarlo, trascurato sul mucchio di letame
davanti la nostra porta, pieno di pulci, più morto che vivo,
lui che un tempo inseguiva capre selvatiche e caprioli; il cane
preferito, di razza pura, un fenomeno a cogliere l’usta,
che ancor oggi agita la coda e tiene le orecchie basse
sforzandosi di farsi più vicino alla voce che riconosce
e muore nello sforzo; finché anche noi come Odisseo
piangiamo per il cane Argo e per tutti gli altri cani,
per le retate di criceti e il panico dei ratti albini
e la deportazione di un canarino di nome Pepiček.

 

CAMPFIRES

Tutta la notte fuochi crepitanti tennero alto il morale
mentre nella terra di nessuno sonnecchiavano e sui campi di battaglia.
(Notti miti – non un alito, costellazioni in cielo
splendenti attorno a una luna abbagliante –
quando in alto una radura nell’aria svela
spazio sconfinato, e tutte le stelle appaiono
e illuminano le cime dei colli, le valli, i promontori e le punte
come Tonakeera e Allaran dove la marea
volge verso Killary, dove i salmoni lasciano il mare,
dove il pastore sorride sul suo campo lucente.
Tanti fuochi brillavano davanti a Ilio
tra il fiume e le navi: mille fuochi, e attorno
a ciascuno cinquanta uomini riposavano nella luce
delle fiamme.) I cavalli attendevano l’alba
muovendosi accanto ai carri, masticando orzo e avena lucente.

 

L’UOVO DEL LUCHERINO

Considera l’uovo del lucherino,
finemente screziato – macchie
e trattini – lilla, pallida ruggine
rossiccia, spruzzi di sangue
sparsi su un bianco verdastro –
tramonto a finis terrae – insomma
considera l’uovo del lucherino.

 

PROSEGUENDO AMERGIN

Sono la trota che si dilegua
fra le pietre di guado.
Sono la giovane anguilla
che indugia sotto il ponticello.
Sono il leprotto che mangiucchia
presso la siepe di fucsia.
Sono l’ermellino che danza
attorno al masso erratico.
Sono la matassa di lana
che vento e filo spinato ingarbugliano.
Sono il fango e lo sputo
che edificano il nido della rondine.
Sono il canto del saltimpalo,
sasso che percuote il sasso.
Sono il corvo aereo
che ha l’occhio in quello dell’agnello.
Sono il chiurlo notturno
che zufola nella canna fumaria.
Sono il pipistrello
che dimora tra costellazioni.
Sono la goccia di pioggia che racchiude
lino di fata oppure Samolus.
Sono il bocciolo di ninfea
e l’autunnale orchidea Spirantes.
Sono il temporale che penetra
nel buco della serratura.
Sono il chicco di grandine annerito
che il camino torna in acqua.
Sono la tana della lontra
e il covo del tasso nelle dune.
Sono il tasso che nell’alta marea
annega fra i detriti galleggianti.
Sono la lontra che muore
in cima al tumulo funebre.

 

 

IL MODELLINO DI AMELIA

I

Nel suo modellino del sistema solare
la mia cosmologa settenne
lega a uno spiedino da barbecue
con filo fusibile i pianeti, bottoni:
Venere, un bottone d’avorio,
Mercurio argento accanto al sole,
per Giove madreperla,
rosso e verde per Marte e la Terra,
per gli anelli di Saturno uno scovolino:
sicché nell’oscurità esterna
accanto alla cucina i suoi occhi castani
rappresentano Urano e Nettuno.

II

Amelia, nel filo non hai aggiunto Plutone
alla tua scultura del sistema solare:
minuscolo e remoto, un mondo gelido
di gelidi monti e neve di metano,
la danza di cinque lune sconosciute al sole,
il regno del dio dell’aldilà –
è lì, bambina mia, che andremo quando moriamo.

 

 

STELLE BAGNATE

Ho destato – al di là delle pietre di guado
sulla marea di luna piena – l’immaginazione –
guarda solo – costellazioni momentanee –
stelle bagnate fra i piedi – fosforescenza –
ardore dell’acqua del mare.