Giustizia

da | Nov 23, 2023

Quello che segue è il secondo capitolo della nuova uscita per la serie saggistica “Le parole della poesia” di Vallecchi editore. La parola è giustizia, a scriverne Franco Buffoni.

 

Il poeta, dai tempi di Omero ad oggi, narra, racconta. E che cosa è un processo se non un contesto dialettico, quindi un lungo racconto? Tanto è vero che si parla di “dialettica” processuale e di “narrazioni” processuali. Narrazioni che provengono da più parti: dagli avvocati che espongono le proprie tesi ai testimoni che sono tenuti a raccontare ciò che hanno visto e sanno; ai giudici che redigono le motivazioni della sentenza.

Anche il fatto che difensori e accusatori ricordino alla corte una serie di precedenti favorevoli alla propria causa, costituisce una forma di narrazione. (Questo è particolarmente vero in ambito anglosassone, cioè in un contesto di common law, dove il precedente fa giurisprudenza).

In che cosa differiscono, allora, i due tipi di narrazione, quella poetica e quella giuridica? Qui forse ci aiuta Aristotele, che nella Poetica distingue tra narrazione storica e narrazione, per l’appunto, poetica. La prima deve essere equa ed esauriente, la seconda può focalizzarsi a lungo su un dettaglio e poi magari comprimere in un paio di righe gli eventi di un lungo arco di anni. Questo perché sono differenti gli obiettivi che le due narrazioni si propongono: quella storica – e in subordine quella giuridica – mirano all’obiettività: alla cosiddetta pretesa veritativa. E il fatto che si narri anche bene – anche elegantemente – è un fattore aggiuntivo, ancillare, rispetto al contenuto della narrazione. Nella narrazione poetica, invece, l’arte, il modo in cui la narrazione avviene, è fondamentale, e può persino travalicare il “fatto” narrato, perché la finalità – diciamo noi oggi – è di tipo estetico.

Quindi si potrebbe affermare che, tra giustizia e poesia, vi sia un procedimento comune – la narrazione – che tuttavia differisce radicalmente nelle finalità. 

Ma è proprio vero? Una sentenza mal scritta è convincente tanto quanto una sentenza ben scritta? O anche qui conta la “forma”, fino al punto da intaccare la “sostanza” (elegantia juris)? In poesia, sappiamo bene, forma e contenuto sono talmente consustanziati da rendere impossibile ogni scissione. Sarebbe come voler distinguere la danzatrice dalla danza nel momento in cui gira vorticosamente sul palcoscenico. È evidente che, in quel momento, la danzatrice e la danza sono la stessa cosa. Questa è la poesia. E infine non c’è forse più verità nella poesia (nella grande poesia), anche se essa è priva per definizione della cosiddetta pretesa veritativa? Al riguardo mi viene in mente Céline, il quale diceva con disprezzo: “Raccontare storie?… Di storie sono pieni i commissariati… In letteratura ci vuole lo stile: lo stile è tutto”. E lo stile include, facendole proprie e persino trasfigurandole, le storie che racconta.

Su questo punto è d’obbligo la citazione dello studioso statunitense R.H. Weisberg, il quale in Poetics(1992) giunge ad affermare: “No bad judicial opinion can be ‘well written’. No seemingly just opinion will endure unless its discursive form matches its quest for fairness”. Aggiungendo che le decisioni giudiziali più importanti si riconoscono sempre anche per l’eccellenza dello stile, e che forma e sostanza sono inseparabili.

Franco Buffoni ha pubblicato le raccolte di poesia Suora carmelitana (Guanda 1997), Songs of Spring (Marcos y Marcos 1999), Il profilo del Rosa (Mondadori 2000), Theios (Interlinea 2001), Del Maestro in bottega (Empiria 2002), Guerra (Mondadori 2005), Noi e loro (Donzelli 2008), Roma (Guanda 2009), Jucci (Mondadori, 2014). Nel 2012 è uscito l’Oscar Mondadori Poesie 1975-2012. Per Marcos y Marcos dirige il semestrale "Testo a fronte" e ha pubblicato Una piccola tabaccheria. Quaderno di traduzioni (2012). Per Mondadori ha tradotto Poeti romantici inglesi (2005). E' autore di Più luce, padre. Dialogo su Dio, la guerra e l'omosessualità (Sossella, 2006) e dei romanzi Reperto 74 (Zona 2008), Zamel (Marcos y Marcos 2009), Il servo di Byron (Fazi 2012) e del pamphlet Laico Alfabeto (Transeuropa 2010). [www.francobuffoni.it]