Georg Trakl, Quaranta poesie

da | Mar 25, 2021

Alfredo Giuliani ebbe a definire Antonio Porta (1935-1989), novissimo come lui, un poeta “che si confessa togliendosi di mezzo”, dal che si può desumere il resto di questa sottrazione: occhio, sguardo, vetro.

La sua opera prima s’intitolava La palpebra rovesciata (Quaderni di Azimuth, La nuova cartografica, Brescia 1960); la seconda, Aprire (Scheiwiller, Milano 1964) apriva reiterati squarci come: “fermo, contro il vetro, la fronte, sul, / il vetro sulla mattina, premette, oscura, / la mano affonda, nella terra, nel vento, nel ventre, / la fronte di vetro, nubi di sabbia.”.

Da questi presupposti Porta incrociò Georg Trakl (1887-1914), lo assimilò e lo lavorò finché nel 1974, sul mondadoriano Almanacco dello Specchio, uscirono tredici poesie tradotte a quattro mani, le sue e quelle di Anna Maria Farnararo, amica che gli garantiva l’ancoraggio all’originale.

Dalla nota introduttiva: “Trakl è stato spesso definito ‘visionario’ e tale definizione può essere accettata a patto che non si occultino le radici storiche delle sue ‘visioni’, Trakl ‘vedeva’ ciò che stava realmente succedendo […]. Tale lucidità si trasferì nel linguaggio fino a una essenzialità quasi crudele, da non confondere con la cosiddetta ‘forma semplice’. La sua è una semplicità omologa all’oggetto, ricca di profonde rotture. Basta a volte, una lieve deformazione per far scattare un verso. Seguendo queste linee si parla ora di ‘ricerca di stile impersonale’ e pure in questo caso bisogna intendersi sul significato della definizione. È certo che tendeva alla massima ‘obiettività’, proprio nel senso di liberare la poesia da infiltrazioni personali, ‘liriche’ […]. Entrava nelle cose rinunciando ad una poesia delle cose, affrontando il reale da testimone o da ‘straniero’”.

Su questa strada, apparentemente rinculando, giunse alla fonte, all’ultimo Hölderlin della torre, con un’energica operazione metapoetica che dette due frutti pressoché simultanei: la poesia “senza numero” dedicata a Scardanelli e non più ristampata del romanzo Il re del magazzino (Mondadori, Milano 1978) di cui ricordo il distico “lì dove un ordito si incrina/sono gli dèi”, e Scardanelli ha un occhio solo sulla testa, breve ciclo di poesie compreso in Passi passaggi (Mondadori, Milano 1980).

In realtà, Trakl lo avrebbe accompagnato per una sorta di affinità elettiva fino ai suoi ultimi mesi, quando si rimise a tradurlo sulla base di un elenco di poesie che sono quelle presentate in ordine cronologico di composizione in quest’edizione: Georg Trakl, Quaranta poesie, a cura di Dario Borso, Giometti & Antonello, Macerata 2020. Di seguito potete leggere una scelta di tre traduzioni, Salmo, De Profundis e Sebastian in sogno.

 

* * *

 

SALMO
Dedicata a Karl Kraus

C’è una luce che il vento ha spento.
C’è un’osteria che al pomeriggio un ubriaco lascia.
C’è una vigna bruciata e nera con buchi pieni di ragni.
C’è un vano che hanno imbiancato a calce.
Il matto è morto. C’è un’isola del Pacifico
ad accogliere il dio Sole. Rullano i tamburi.
I maschi eseguono danze guerresche.
Le donne ancheggiano tra liane e rosolacci
mentre canta il mare. Oh nostro paradiso perduto.

Le ninfe hanno lasciato i boschi d’oro.
Si seppellisce lo straniero. Poi inizia una pioggia luccicosa.
Il figlio di Pan appare in figura di sterratore
che passa il mezzodì dormendo sull’asfalto rovente.
Ci sono ragazzine in un cortile con abitucci di straziante miseria!
Ci sono stanze pervase di accordi e sonate.
Ci sono ombre che si abbracciano davanti a uno specchio cieco.
Alle finestre dell’ospedale si scaldano convalescenti.
Un bianco vaporetto trascina per il canale sanguinosi contagi.

L’estranea sorella riappare nei brutti sogni di qualcuno.
Riposando tra i nocciòli gioca con le sue stelle.
Lo studente, forse un sosia, la osserva a lungo dalla finestra.
Dietro gli sta il fratello morto, o scende la vecchia scala a chiocciola.
Al buio di bruni castagni sbiadisce la figura del giovane novizio.
Il giardino è nella sera. Nel chiostro svolazzano i pipistrelli.
I figli del portiere cessano di giocare e cercano l’oro del cielo.
Accordi finali di un quartetto. La piccola cieca corre tremando per il viale,
e poi l’ombra sua passa tastando freddi muri, cinta di fiabe e di leggende sacre.

C’è una barca vuota che a sera scende il nero canale.
Nella tetraggine del vecchio ospizio si sfanno relitti umani.
Gli orfani defunti giacciono contro il muro del giardino.
Da grigie stanze escono angeli con ali lorde di sterco.
Vermi gocciolano dalle loro palpebre ingiallite.
La piazza della chiesa è cupa e taciturna, come nei giorni d’infanzia.
Su argentee suole scivolano via vite anteriori
e le ombre dei dannati calano alle acque sospiranti.
Nella sua tomba il bianco mago gioca con i suoi serpenti.

Taciti sopra il Calvario si aprono gli occhi d’oro di Dio.

 

*

DE PROFUNDIS

C’è un campo di stoppie dove cade una pioggia nera.
C’è un albero bruno che sta lì, solitario.
C’è un vento che sibilando aggira capanne vuote.
Quanto triste questa sera.

Costeggiando il cascinale
la mite orfanella coglie ancora qualche spiga.
I suoi occhi pascono tondi e d’oro nel crepuscolo
e il suo grembo attende teso lo sposo celeste.

Al ritorno
i pastori trovarono il tenero corpo
decomposto tra i rovi.

Un’ombra sono io, lontana da foschi villaggi.
Silenzio di Dio
bevvi alla fonte del boschetto.

Sulla mia fronte preme freddo metallo
ragni cercano il mio cuore.
C’è una luce che mi si spegne in bocca.

A notte finii in una brughiera,
coperto di sporcizia e polvere di stelle.
Tra i nocciòli
tinnirono nuovamente angeli di cristallo.

 

*

SEBASTIAN IN SOGNO
Per Adolf Loos

Madre portò il bambino sotto la bianca luna,
all’ombra del noce, del vecchio sambuco,
ebbra di succo del papavero, di gemito del tordo;
e muto
si chinò in pietà su lei un barbuto viso

piano nel buio della finestra; e vecchie suppellettili
dei padri
giacevano in rovina; amore e fantasie d’autunno.

Dunque buio il giorno dell’anno, triste infanzia,
quando il ragazzo scese lieve ad acque fresche, a pesci argentei,
pace e viso;
quando a peso si lanciò contro furiosi morelli,
in grigia notte lo raggiunse la sua stella;

o quando mano nella gelata mano della madre
d’autunno a sera traversava il cimitero di San Pietro,
una tenera salma giaceva immota nel buio della cella
e quella sollevò le fredde palpebre su lui.

Ma egli era un uccellino tra spogli rami,
la campana a lungo nel novembre vespertino,
il silenzio del padre, allorché in sonno scese l’imbrunente scaletta.

 

2

Pace dell’anima. Sera d’inverno solitaria,
le scure forme dei pastori al vecchio stagno;
bimbetto nel capanno di paglia; oh come sprofondò
piano il viso in febbre nera.
Notte santa.

O quando mano nella dura mano del padre
silenzioso saliva il tetro Calvario,
e in nicchie semibuie nella roccia
la sagoma azzurra dell’Uomo traversava la sua leggenda,
dalla ferita sotto il cuore fluiva purpureo il sangue.
Oh come si ergeva lieve la croce nell’anima cupa.

Amore; mentre in angoli neri si scioglieva la neve,
un refolo azzurro s’impigliò gaio nel vecchio sambuco,
sotto la volta ombrosa del noce;
e al ragazzo apparve lieve il suo angelo rosa.

Gioia; mentre echeggiava in fresche stanze una sonata a sera,
tra i bruni travi
una falena azzurra strisciò dall’argentea crisalide.

Oh la prossimità della morte. Su muro pietroso
si chinò una testa gialla, tacito il bimbo,
mentre quel marzo precipitò la luna.

 

3

Rosea campana a Pasqua nella funebre cripta della notte
e le voci argentine degli astri,
che in brividi un’oscura follia calò dalla fronte del dormiente.

Oh quieto camminare giù per il fiume azzurro
pensando a cose obliate, quando dai verdi rami
il tordo chiamò un estraneo nel tramonto.

O quando mano nell’ossuta mano del vegliardo
a sera rasentava le mura diroccate della città
e quegli in manto nero portava un bimbetto roseo,
all’ombra del noce apparve lo spirito del male.

Annaspare sui verdi gradini dell’estate. Oh come si sfece
piano il giardino nel bruno silenzio dell’autunno,
profumo e malinconia del vecchio sambuco,
allorché all’ombra di Sebastian svanì la voce argentea dell’angelo.

 

(da Georg Trakl, Quaranta poesie, a cura di Dario Borso, Giometti & Antonello, Macerata 2020.)