Cetonaverde Under 35

da | Ott 5, 2023

Sabato, 30 settembre 2023, nella Piazzetta della Collegiata di Cetona si è conclusa, con la cerimonia di premiazione, l’ottava edizione del Premio Cetonaverde Poesia, fondato e presieduto dalla poetessa e scrittrice Mariella Cerutti Marocco e dedicato alla memoria di Antonio Maria Marocco. I sei giovani under 35 (Riccardo Benzina, Alessandra Corbetta, Davide Cortese, Matthias Ferrino, Giovanni Rapazzini de’ Buzzaccarini, Eleonora Rimolo), scelti dalla Giuria presieduta da Maurizio Cucchi tra i numerosi partecipanti alla sezione «Premio Poesia Giovani», si sono sfidati in un Certame realizzando, in 24 ore, un testo sul tema « Natura e essere umano, meraviglie e disastri. Il tuo sguardo sul futuro.» Al termine della lettura dei sei giovani poeti, la Giuria e il pubblico votante hanno proclamato vincitore del Certame Matthias Ferrino. Pubblichiamo in anteprima i testi realizzati:

 

RICCARDO BENZINA

Ritorna allo zero freddo
dei ghiacciai
prima che fossero acqua, al verde
che era il colore della foresta
prima di farsi deserto. Un tempo, quella,
sarebbe stata casa mia. Avrei lottato,
in una danza, contro gli animali, la mia giornata
sarebbe stata un viaggio ingenuo
in cerca di sangue e tuberi, di acque
e segni. Mi avrebbe lasciato con gli occhi
immobili l’apparizione
di una luce rosa nel cielo, la stessa
che oggi guardo dentro ad uno schermo.
E, domani, ci finirò dentro a questo schermo.
Oppure questo schermo, questa protesi
finirà dentro di me. Non ho capito bene.
Un poco d0aria mi viene addosso
in forma di vento. E forse questo
vento non è successo così tanto tempo fa:
forse era solo dopodomani. O forse
è solo un’immagine di vento, un’idea di cose
che sono state, che torneranno
a essere di questa vita umana.
Vi chiedo scusa se stasera
su questo pianeta
le mie parole sono così confuse
e io non so dove sono finito. Se
questa voce di vita umana
ha dietro di sé il proprio futuro,
avanti il passato,
pieni di disastri e meraviglie,
e lascia il mio corpo stralunato
in balia di un uditorio.

 

*

ALESSANDRA CORBETTA

BAIA DELLA VALLUGOLA

“I tempi da quanto 
tempo stanno dandoci torto?”
(V. Sereni)

 

Hanno ridotto la nostra geografia,
mi hai detto, ma forse ripensi soltanto
alle tue belle ragazze in fiore,
ai discorsi sul lato opposto della riva.

Non occorre bravura per vedere la fine
nella striscia di terra che lega la colonia
alla Vallugola oscura.
Lì, nel miraggio bianco della perdita,
sull’orlo del verde selvatico
la Riviera si dimette,
smette di crescere l’ardore
della tua gioventù vertiginosa.

 

*

DAVIDE CORTESE

NELLA FINE

All’unisono un vento fa segno
che non è tempo ancora,
ma solo un gorgo d’occhi (mozzo,
storpio, di frasi guaste):

non sarà il futuro oggetto
di alcuna inclinazione.

Mucchi di oggetti passati
al tritacarne del paesaggio: hotel colmi di negozi, fossero un lago
in cui anche l’età è scalza.

Comincerò a tappare con la carta tutti i vetri
precorrendo il temporale nel mal di testa,
nella fattispecie il futuro alle spalle, in un abbraccio scorticato
la pigrizia tradotta e la testa d’abete a mezz’aria.

 

*

MATTHIAS FERRINO

cadremo nel pozzo della nera
tra il canto indifferente del grillo
nella verdura, angelo cupo di pace terrestre,
e le fiamme alte
dei cipressi, noi torneremo ad essere radice
e rovina muta di bosco

non sopravviveremo a noi stessi
nella grande meccanica materiale…
la dinamite del sole, i ghiacci
spaccati nel bicchiere dei mari
mentre ciechi muschi polverosi
crescono ai teschi dei nostri morti

eppure, noi ancora cogliamo l’alba di una spiga
bionda e memore di futuro, la interriamo
affinché rinasca, e più spirituale, un nuovo germe

e con doglie di meraviglia e generazione
noi tendiamo una mano
alla grande madre, traduciamo il suo incendio
con cura, diamo ancora tempo alla fine
e avvicinando la lingua agli accordi
degli elementi, sommessi
impariamo la parola
abitare.

 

*

GIOVANNI RAPAZZINI DE’ BUZZACCARINI

“Natura
[…] ora, che chiedi a noi di decidere
Troppo e di più ancora di illuderci
Di decidere, che cosa vuoi, che reclami?”
(“Dove sono gli anni”, Gian Mario Villalta)

“Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell’uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.”
(“La ginestra, o il fiore del deserto”, Giacomo Leopardi)

 

In ginocchio davanti l’aurora boreale
vedo lo scroscio delle cascate del Niagara,
il mantello di cristallo del Nanga Parbat,
la cravatta dello stretto di Bering
sdrucirsi sul colletto dell’Alaska

e poi le piramidi dell’antico Egitto
svettare come montagne tra le dune
e il Pantheon con il cerchio perfetto
e il Partenone che resistette al cannone;
vedo e prego l’aurorale scrittura regale di Dio.

Ma cosa resterà di questo amore della creazione
Che intesse le stelle alle cellule neuronali
Che ci ha regalato le nevi e gli squali,
se diventa cenere il miracolo dell’olocene,
cosa sarà di quest’atomo d’opale e zaffiro

che come una gemma ginestra splende nella galassia?
Forse l’unica via è l’etica ritmica della poesia
Avere fede, carità e speranza nel desiderio
Dell’ardore che illumini la nostra luce interiore
Con un verso tanto forte da fermare la morte dell’acqua.

 

*

ELEONORA RIMOLO

WONDER WALL

I
Tutto nasce dall’indagine di ciò che non si vede:
dove dormono gli insetti si cerca un segnale
di pericolo o di quiete, tra i vermi se la terra
si compatta si comincia a scavare. Rocce,
radici, sedimenti, tutto diventa natura
geometrica per l’uomo che disegna
nuove fondazioni, che calcola le gittate
di cemento. Farsi spazio nel centro
esatto dell’area, riempire un vuoto
questo è da sempre costruire.

II
Di notte i suoi schizzi prendono forma:
capita che si svegli con la china tra le dita,
che faccia poesia con i numeri.
Dalla finestra di fronte lei vede ogni giorno
formarsi un altro verso ed è colonna,
muro, solaio, trascritto su pilastri di pietra.
Alcuni sfidano il cielo con le gru: il rumore
è assordante, sembra impossibile fermare
l’ansia della vertigine e invece ecco un tetto
ecco uno scheletro diventare corpo
ecco il silenzio circondare il perimetro
e lo sguardo violare le pareti, cercare
il prossimo complice della storia
l’abitante straniero della casa.

III
Avevano una sola mucca, l’alluvione
l’aveva trascinata via, non c’era
più da mangiare, dormire tra le macerie
sotto la luna era spaventoso, primitivo.
Un grande esodo verso la città, tua nonna
tra i chiodi e il cuoio delle suole: vedi,
Carlotta, oggi noi siamo quello che abbiamo,
la fabbrica, la vita al secondo piano, la
memoria lontana del pericolo dentro
questo impasto di sabbia, malta, acqua,
la camera vergine con la tua culla, l’argine
che nasconde la strage agli occhi del futuro.