Artifice

da | Giu 15, 2023

Cinque poesie di Lavinia Singer, dalla sua prima raccolta di poesie, “Artifice”, uscita da poco per Prototype, nella traduzione inedita di Leonardo Guzzo.

 

STUDIO DELL’OPERA

Il lavoro la porta ad Amsterdam, Los Angeles e Seul. Oppure è lavoro nello studio coi vecchi water riempiti di terra e piantine, strisce di luce fredda al mattino, fracasso dalla porta accanto, nel cortile della scuola. Un gatto che ricorre. È vero, lavora la maggior parte dei giorni; la ripetizione diventa normalità, lavoro e basta. Questo: l’ufficio, la scrivania. E qui c’è la cosa più recente, su cui armeggia da settimane adesso – mesi? – che esiste prima di essere se stessa, tinta che sbava. Come funziona dunque – aspetti fisici, intendo, cambi di sostanza, dove l’opera di ogni giorno diventa più di questo?  Portaspazzole, ritagli, tazze da tè  dipinte  e  un colore opaco insinuato nelle pieghe dei muri, pacchi con su scritto “venduto” disposti secondo cataloghi coperti di polvere e ragnatele; per mezzo di – quasi li chiamerei  rifiuti  –  tutte  le  opere,  è compiuta:  l’Opera.

 

 

LA PITTURA DELLA REGINA

 

Il tempo tocca ogni Essere Mortale, in veste di rughe e morfea

o dei segni del Vaiolo

                                   Le opere subiscono abrasioni e incrinature,

                                        la superficie invasa da annose macchioline

Se non che con Arte e cura

possiamo plasmare a noi stessi un’altra Faccia

                                                  A prova di svariate

                                                                   doti e tecniche di restauro

Per ringiovanire la Pelle, ungere

con olio di Mandorle dolci

                                                           Vernice passata

                                                                         e resina termoplastica

La Biacca Veneziana imbianca

fino a un chiarore di Perla

                                         Caratteristico pallore

                                                    e una robusta gessatura sopra tutto

Ma per i Segni più coriacei

usare toppe nere tagliate a forma di Stelle o Mezzelune

                                                                                I punti più rovinati

                                         sono coperti da uno strato di pittura opaca

Fai delle guance rubini col Vermiglio

la Chioma giallo fiammante con la Celidonia

                                                        E insieme lo sbiadimento diffuso

                                                                                  e i colori precari

Il succo di Belladonna stillato negli Occhi

dona un Brillio d’eccellenza assoluta

                                                             Per l’ottica, un alto grado

                                                                      di lucentezza speculare

Ed ecco la Persona d’incomparabile eccellenza e gloria

Fenice d’Oro risorta

                                                                Da questa stracarica pittura

                                                            l’originale si può solo supporre

 

 

 

INCISIONE     

 

È un dono, questo diavolo

di un soggetto. Pile di

materiale, vasti aneddoti.

Come promuovere

al meglio, stupire con

arte affinata? Purghe,

razzie, pozzi avvelenati…

Il lessico base della cattiveria.

Sono i dettagli oscuri

che davvero trapassano

– come infilzando gli occhi –

ciò che nessuno oserebbe

immaginare: un asino

scheletrico trafitto accanto

al suo padrone, i turbanti

di emissari turchi affissi ai

loro templi, quei monaci santi

ascesi prima in paradiso,

madri coi bambini

dentro tombe aperte…

So cosa c’è in ballo.

Per attrarre acquirenti

delineare l’arte di morire

(non esiste morte buona).

Ritrai questo: un tavolo

dentro una scena bucolica,

curve lievi di colline,

monocroma sinfonia,

incontrano linee issate

come rozzi aculei e solo

pian piano cominci

a distinguere forme

miserabili, contorte agonie,

rotte, infisse come un’umana

palizzata, e là sta lui,

Figlio del Drago,

nella sua selva di strani

frutti, in abito regale,

imperturbato, lo sguardo

penetrante, pronto a intingere

il pane in ciò che goccia

sopra la sua testa – è, sì,

tempo d’intagliare il legno.

 

 

LA FIGLIA DEL CARTOGRAFO

 

Quando la porta è chiusa so che Lui lavora.

Crea mondi danzando, in punta di penna –

pensavo è un dio, che armeggia

col quadrante e il nonio minuzioso.

In sette giorni ha spartito la terra dalle acque,

Newton ansante aggrappato alle bussole,

che abile mappa Particelle di Luce.

 

Quando finiva il bagliore della luce elettrica

accendeva mozziconi di candela: le fiamme

lambivano l’inchiostro, le tinte splendevano come vetrate.

Spiagge morbide brillavano uguali a mezzelune, forgiate

a capitomboli di sabbia come baci innumerevoli.

Dalla costa alla penisola, ogni macchia ogni schizzo

tramava un paese, un popolo, una patria.

 

Quand’ero stufa in casa e Lui serrato in un altrove

mi beavo di una stampa variopinta

scovata al mercatino delle pulci

tra chicchere scheggiate e innaffiatoi.

Mappa mundi, disse Papà. Non una mappa qualunque!

Circoli e segni ricalcavano un codice,

la terra dispiegata non sembrava nessun’altra che sapessi.

 

Quando scienza e mito erano uniti,

e il globo un orbe pingue di possibilità,

là vivevano giganti cavernicoli confusi a uomini testa di cane,

nani in sella a coccodrilli e incantatori di serpenti.

Fissavo rapita certe sagome reggersi le teste,

rigonfie come borse della spesa, e gnomi

raccogliere larve setose dall’Albero della Vita.

 

Quando sparve qui ogni foresta, piangevo il verde

dei lavori di mio Padre. Colori che si piantano

davanti agli occhi e ti succhiano i globi.

Il bianco degli iceberg, pure, dissolto.

Ora la sua pergamena somiglia a una cosa deceduta,

bruna come pelle dura punteggiata di città,

di fiumi crespi e tinte sfumate di blu.

 

O il blu!

 

Ora gli oceani salgono e tutto piega Nettuno,

l’onda è un singulto che si strozza sulla spiaggia.

Niente può frenare i flutti mentre si alzano

rubando strisce al suolo, schiantando dimore e botteghe.

Ora non conta, la mappa di mio padre, che isole disperse,

schegge di tufo alla deriva, rotti continenti.

I mostri sono vento, e molti uomini con loro.

 

Ora a Papà altro non serve che latte di ciano,

di turchese, verde acqua e oltremare,

il blu di mezzanotte, la lavanda, il ceruleo.

E io? Guardo la mia vecchia stampa

e una carta ufficiale ingiallita, delle sue.

Spiegano entrambe un mondo che a stento concepisco.

Un mondo fatto un tempo di portento, che era buono.

 

 

 

BENEDIZIONE

 

Ti auguro occhi di civetta

un violino per cuore

chioma di lume di candela

quel fumo di sorella

tre ruote in movimento

lunghezza di spina dorsale

un ponte di nocche

fenicotteri sull’onda

uno sguardo da leonessa

due prismi per caviglie

dentro un piatto di piume

un concerto di uccellini

sotto le ascelle

squame e spine

l’eloquio delle scale

tempo come un uovo che salta

bocca piena di pioggia

erba di grazia nell’inguine

il portamento dell’uro

petto in fuori

chiavi nel palmo

galoppa verso il mattino

 

NB: “Studio dell’Opera” non riproduce la grafica dell’originale. Ci scusiamo per l’inconveniente. 

Lavinia Singer, poetessa inglese, è autrice del pamphlet "Ornaments: a handbook" (If a Leaf Falls/Glyph Press, 2020) e co-editor di "Try To Be Better" (Prototype, 2019), una riflessione critica e creativa sul lavoro di W. S. Graham. "Artifice" è la sua prima compiuta raccolta di poesia.