Voze

da | Mag 14, 2022

Voze, che sciacqui al sole la miseria
delle tue poche case, ammonticchiate
come pecore contro l’acquazzone;
e come stipo di riposti lini
sai di spigo, di sale come rete;

– nell’ombra dei tuoi vichi zampa il gallo
presuntuoso; gioca sulla soglia
il piccolo, con dietro il buio e il freddo
della cucina dove su ramaglie
una vecchia si china ad attizzare;
sulle terrazze splende il granoturco
o rosseggia la sorba; nel coltivi
strappati all’avarizia della roccia
i muretti s’ingobbano, si sbriciola
la zolla, cresce storto e nano il fico –

in te, Voze, m’imbatto nel bambino
che fui…

Nato a Santa Margherita Ligure nel 1888 (morto a Savona nel 1967), Camillo Sbarbaro visse quasi sempre in Liguria. Lavorò prima nell'industria siderurgica, insegnò greco e latino finché dovette lasciare l'insegnamento per essersi rifiutato di iscriversi al PNF. Ha esordito con le poesie di Resine (1911), ma si affermò con Pianissimo (1914) che gli permisero la collaborazione alle riviste «La Voce», «Quartiere latino», «La riviera ligure». Seguirono le prose di Trucioli (1920) e Liquidazione (1928) caratterizzate dal frammentismo e da una ricerca espressiva tra lirica e narrativa tipici degli scrittori vociani. Nel dopoguerra ha pubblicato altri volumi di prose dai titoli volutamente riduttivi: Fuochi fatui (1956), Scampoli (1960), Gocce (1963), Contagocce (1965), Cartoline in franchigia (1966) che rievoca l'esperienza di guerra. Ha pubblicato anche le raccolte di poesie Rimanenze (1955), mentre Primizie (1958) risalgono per composizione a prima di Pianissimo.