Di’ la parola storia: vedo
tua madre, e la mia.
La luce sobria, l’estate finita da un pezzo,
un vento da est culla le foglie, la pioggia s’agita negli scoli.
Hanno le mani piene di parole.
Una di loro tiene il diario di tuo padre con l’appunto
scritto il giorno della tua nascita.
L’altra ha i miei scarabocchi in rima, le mie ferventi lettere.
Prima che la poesia finisca
avranno bruciato tutto.
Ora ripeti la parola. Evoca
la nostra isola: una storia che si doveva raccontare –
i patrioti che sanguinavano ancora nelle litografie
quando siamo nati. Chi ha scritto quel racconto
ha faticato per farlo suo.
Ma queste donne le abbiamo amate.
Archiviste con un compito diverso.
Impedire al ricordo di diventare storia.
Impedire alle parole di curare ciò che non va curato.
Fa freddo. La luce se ne va.
Ora s’inginocchiano dietro le loro serre,
sotto uno qualunque dei loro alberi.
Le foglie cadono lente.
Entrambe mettono un fiammifero sulla carta. Poi
avvicinano le mani alla fiamma.
Sentono il primo morso del vento.
Decorano le pagine col fuoco. Io smetto di scrivere.
(trad. it. di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti)