L’elenco dei villains scelti da Leonardo Colombati è completato dai profili dei malvagi, preparati per l’occasione da Matteo Gagliardi, Costanza Galanti, Giulio Silvano.
1. Lady Macbeth
2. Charles Starkweather
3. Giudice Holden
4. Hank Quinlan
5. Blifil
Lady Macbeth. «Vuoi continuare a vivere stimandoti un ignobile vigliacco, lasciando che il “non oso”, sia sempre agli ordini dell’ “io vorrei”?» Così Lady Macbeth striglia quel codardo di suo marito. Compare nella quinta scena del primo atto e sarà la figura centrale fino al terzo. È lei a suggerire al marito il piano diabolico per uccidere Re Duncan e prenderne il posto. L’occasione ideale è la sera in cui Duncan visita il castello dei coniugi Macbeth. Il marito non se la sente, e la donna, con uno straordinario afflato diabolico, lo scuote dandogli prima del mezz’uomo e poi macchiandosi lei stessa le mani di sangue. Dal regicidio la donna passa in secondo piano.
La Lady Killer è la mente femminile più oscura del teatro di Shakespeare: è spietata e totalmente estranea ai topoi della donna del tempo. Il marito è all’opposto un debole, preda di allucinazioni e si limita a eseguire gli ordini.
Nell’ultimo atto, il quinto, ritroviamo la donna sonnambula che dà segni di pazzia: si annuncia poco dopo il suo suicidio avvenuto fuori dalla scena. Macbeth ragiona sulla morte della moglie: «La vita è solo un’ombra che cammina, un povero attorello sussiegoso che si dimena sopra un palcoscenico per il tempo assegnato alla sua parte, e poi di lui nessuno udrà più nulla». Poi l’uomo si assume le sue responsabilità e affronta la morte.
(mg)
Charles Starkweather. “L’ho vista rimanere di fronte a casa girando la sua bacchetta da majorette / siamo usciti per fare un giro signore e son morti dieci innocenti” canta Bruce Springsteen in “Nebraska”, il racconto in prima persona della furia omicida di Charles Starkweather. Nel novembre 1957 il diciannovenne americano uccide con un colpo di pistola il commesso che non vuole dargli un orsetto di peluche a credito, il tutto passa inosservato, anche da lui stesso che crede di aver avuto un’esperienza trascendentale. Ma la violenza dei cinque giorni da killer nel gennaio successivo dimostra la velocità di escalation di una mente aggressiva che prima spara ai genitori della fidanzata quattordicenne, strangola e pugnala la loro figlia di due, e continua poi a collezionare corpi ovunque vada, compresi due cani, una coppia di benestanti, un vecchio amico settantenne. Le vittime sono freddate con furia, perché in mezzo al percorso del giovane provinciale dalla testa quadrata, senza discriminazioni e senza pentimenti; Starkweather rappresenta la cattiveria del caso, il risultato di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato, niente più. Accompagnato dalla fidanzatina-complice Caril Ann Fugate durante il suo attacco di follia omicida verrà arrestato in un tentativo di fuga su una Buick rubata, diciassette mesi dopo accompagnato sulla sedia elettrica, per tornare poi a spaventare in varie trasposizioni cinematografiche – un rambesco Martin Sheen coperto di jeans in Badlands di Terrence Malick – ballate, canzoncine, ispirazioni dichiarate per Stephen King e Criminal Minds.
(gs)
Giudice Holden. Il giudice Holden è un personaggio di Meridiano di sangue, romanzo del 1985 di Cormac McCarthy. Alto più di due metri, calvo come la luna, centocinquanta chili di peso e completamente glabro, appena entra in scena, c’è già qualcuno che lo definisce “il Diavolo”. Trascina con sé venti assassini nelle zone di confine messicane. Il gruppo armato e vestito di pelli umane scalpa apache per riscuotere taglie e comprarsi whiskey. Holden li guida e li educa al massacro. Alcuni cominciano a chiedersi se sia soltanto un giudice. Girano voci tra i mercenari sulla sua spietatezza. La sua ferocia è quasi sempre raccontata, raramente mostrata. Più che un essere umano Holden sembra uno spettro. Una sera viene trovato nella sua camera da letto in compagnia di una bambina e di un ritardato con la bava alla bocca. Dotato di un’intelligenza aliena, si lascia spesso andare a lunghe orazioni sul “destino” e “sulla supremazia dell’uomo”. Nessuno attorno a lui comprende le sue prediche. Trascorre le notti davanti al fuoco a catalogare e disegnare su di un quaderno tutto ciò che l’orda distrugge. “Qualunque cosa esista nella creazione senza che io la conosca, esiste senza il mio consenso.” La missione di Holden è creare il “suo regno”, essere l’autore dell’“unico libro”. È convinto che per diventare “il giudice del mondo” non debba permettere che qualcosa accada senza la sua volontà. I suoi soldati cominciano a credere sia pazzo. Durante una sosta racconta ai combattenti che «la guerra è dio». Quando stremati dalla fatica, dalla fame e dalle battaglie uno per volta i suoi uomini periscono, Holden rimane solo e poiché «non potrà mai morire», metà Moby Dick e metà Gesù Cristo, raduna nuovi oscuri seguaci e si rimette in marcia.
(mg)
Hank Quinlan. Pare che da quando gli hanno ammazzato la moglie il capitano Quinlan abbia sostituito le caramelle all’alcol, maturando così la sua stazza imponente: sarà anche grazie al fisico e alla voce baritonale che Orson Welles viene scelto per interpretare questo ambiguo personaggio (un cattivo?) del film L’infernale Quinlan, film che solo in un secondo momento è chiamato a dirigere.
Di sicuro, comunque, dopo la morte di lei e il mancato arresto del suo assassino, Quinlan sviluppa un’ossessione che lo porta a costruire false prove pur di accelerare l’arresto dei (veri) colpevoli. Di queste prove è disseminata la sua carriera fino all’incontro con Vargas, poliziotto messicano che si trova a collaborare con lui ad un caso aperto sulla frontiera fra Messico e Usa.
Ai sospetti di Vargas per questi metodi di indagine eterodossi, Quinlan non può che rispondere costruendo altre prove: questa volta per neutralizzare il fastidioso collega coinvolge moglie di lui in uno scandalo. Ma Quinlan stesso non poteva che essere incastrato con un altro indizio da lui creato, seppur involontariamente: il suo bastone dimenticato nel posto sbagliato.
I personaggi come Quinlan vengono spesso fatti morire, alla fine. Così il capitano fa in tempo a sparare al suo socio, e a farlo con la pistola di Vargas per poter far ricadere la colpa su di lui. Non fa in tempo però a sapere della confessione del colpevole del caso, proprio il colpevole che lui aveva già indicato, e quindi a vedere riconosciuto il suo intuito un’ultima volta.
(cg)
Blifil. Blifil, il perfido antagonista di Tom Jones nel romanzo di Henry Fielding, è un ipocrita, la reincarnazione del Tartuffe di Molière nella letteratura inglese. È un cattivo che si macchia di tutti i più classici peccati: caccia di casa il trovatello Tom dalla casa dello zio Allworthy con una falsa accusa, lo allontana dalla sua legittima eredità nascondendone l’identità di nipote di Allworthy nonché di suo fratellastro, e cerca sottrargli anche l’amore di Sophie, la facoltosa amata di Tom. Blifil riesce perché indossa una maschera, la maschera della prudenza e della morigeratezza, virtù da cui il protagonista Tom sembra fuggire lungo tutto il romanzo. Vediamo per esempio Tom avere più di una donna per poi tornare al suo vero amore, mentre Blifil rimane casto, e con l’intenzione di sposarsi solo in vista dell’unione dei patrimoni.
Sotto la maschera si intravedono indizi, ed alcuni dei più interessanti sono quelli legati al sentimento religioso, forse il più intimo e insieme il più falsificabile dei sentimenti. Blifil, da ragazzo, la dottrina cristiana impartita dall’istitutore “l’aveva imparata a memoria, e spesso ripeteva le frasi di lui, e rispettava tutti i principii religiosi del suo maestro con uno zelo sorprendente per qualcuno di così giovane”. Per indurre Sophia a lasciar andare l’uccellino regalatogli da Tom definisce “non cristiano” rinchiudere l’animaletto, e per convincere Allworthy a fargli corteggiare la fanciulla promette di edificarla con “un discorso saggio e religioso sull’Amore e il Matrimonio”. Se da una parte abbiamo Sophia, innamorata di Tom, che comprende bene l’interesse di Blifil e dall’altra Allworthy, personaggio cruciale per la risoluzione del romanzo e che fino all’ultimo non viene sfiorato dal sospetto, è curioso l’atteggiamento del padre di lei, che pur avverso alle nozze con Tom non riesce a tollerare, istintivamente, il canto religioso intonato da Blifil.
(cg)