Tu parli un’altra lingua…

da | Mar 20, 2023

Cinque poesie da “Il fiato mentolato delle farmaciste” di Dario Bertini, uscito con postfazine di Angelo Lumelli per le edizioni Bohumil. 

 

Fate festa, mie piccole zanzare, a mezzanotte
lei è atterrata sulla penisola del sonno,
in cerca di un paletto per trafiggermi:
ecco, nello spiazzo del parco i rami sono a terra,
alcuni ancora verdi, resinosi. Così rimango
sveglio, non c’è un campo di azione per il buio,
lascio che detti legge come un sergente albino
che se ne accende una, controvento.

 

*

I parenti non erano mai stati d’accordo: alla fine
della strada bisognava svoltare, andare oltre
il cimitero coperto di foglie: le croci
molto simili, bianche di muffa;

(Ci sono abituato ai colpi di testa,
alle correnti d’aria che mi rendono muto,
che mi fanno sbandare, vacillare come i denti
da latte: prima o poi bisogna perderli, bisogna perdere
questa smania di non crederci più
__________________________________e andare avanti):
malgrado tutto non sarebbe così male, una sera,
invertire il senso di marcia, accelerare, fare alzare
questa nube di corvi che si ferma a guardare.
Solo un momento, dopo
cadere secco, a terra, come un tergicristallo.

 

*

io che mi accoltello per vedere se è autunno,
ma qualcosa mi tiene, mi chiama, mi tira per la giacca:
è un campo nella nebbia pieno di uccelli bianchi,
se la mia testa è illesa come un campo in autunno
il treno ci passa attraverso e si alzano in volo,
se li attraversa, fanno finta di nulla,
restano immobili, se mi accoltello per capire
che è autunno: è solo un modo nuovo di vedere
l’autunno, come una casa, tre sedie di legno
sfondate, una finestra: se lì ci passa in mezzo l’aria
ci passa anche la luce: per l’ombra è un tragitto più lungo
o più pesante, a capire l’autunno, come un fornello
acceso verso le quattro, al freddo mi accoltello,
addento la paura, a capire l’autunno, se il coltello
non c’è, era a brillare lì, come una lacrima,
come una piccola scossa di terremoto, un cappello:
è caduta soltanto una tazza, a capire l’autunno, millenaria:
un campo nella nebbia pieno di uccelli bianchi

 

*

State attenti ragazzi, che a questo servono i canini,
qui dove l’ombra impregna gli angoli, a novembre,
quali spifferi lugubri a spaurire, a smagrire la fiamma
verdastra dei vostri zolfanelli: dalle vostre piccole bare,
da oltre la palude, tornerete alla vita fumosa, qui
dove i granchi fanno il nido nel letto, qui dove è noia
la gioia, fra lunghissime dita frementi, preparatevi
sotto i mantelli, non appena la luce si stinge dagli occhi,
fate cerchio dove passano queste donne azzurrissime,
con il collo più bianco a percepirne appena un balenio,
state attenti, vi daranno la caccia, fate in fretta
a tornare alla vostra malsanía preziosa, dove è notte
e noi siamo al riparo dall’insulsa baldoria del sole

 

*

Tu parli un’altra lingua, pterodattilo, di laterizi-fossili preistorici,
non presti ascolto a questi sciagurati,
molestissimo alieno dei cieli, redento da ogni male,
se lanci grida acute verso oriente
per fugare le bionde farmaciste dell’oblio; perché non temi
il sonno, bestia che plani ad adombrare i fiori, che prediligi
il nudo degli scogli, gli strapiombi: con te
vorrei attentare al sottobosco, quando ti affili il becco,
quando sbadigli e plachi i tuoi pruriti radente sulle ortiche,
ma quando soprattutto metti in fuga questa torma
ammuffita a costruire bare: ti applaudono i becchini
al tuo passaggio in questa notte nera che ci assilla,
in questa senza fine cantilena fuoricorso.