A ricomporre il colore dei suoi occhi – Poeti magrebini contemporanei /1

da | Mag 5, 2015

Una selezione di poesie da A ricomporre il colore dei suoi occhi. Poesie e altri testi scelti 1966-2014 (Edizioni Kolibris, 2015). A cura di Chiara De Luca e Lidia Santonastaso.

***

da Sotto il bavaglio la poesiaPoesie e altri scritti dalla prigione, 1972-1980

Scrivere, scrivere, non smettere mai. Questa notte e tutte le notti a venire.
Ancora una notte in cui non posso far altro che scrivere, sbattere contro questo silenzio che mi sfida nel suo idioma d’esilio. Mi tendo al massimo per esplorare questa voce della notte carceraria. Ascolto, e a poco a poco ne percepisco l’armonia, ne percorro la superficie, ne ricevo come in contrappunto gli echi insanguinati. Bracco il silenzio, gli strappo la voce potente contro la quale le sue dighe cedono sempre di più, crollano in un fragore che mi abbaglia e si sparpagliano nella notte.
Il paese viene a me, canto aereo spuntato del fondo della storia, fucina d’incandescenza e sudori, di muscoli oliati che picchiano l’incudine della materia ribelle, semina, mietiture, pane e olive nere condivise, schiuma di tè bollente nel bicchiere che ci si passa di mano in mano, proboscidi, zaini e tamburi sollevando le viuzze in processioni variopinte, risa e dimenarsi di bambini ebbri di musiche e profumi, caviglie rosse di donne appollaiate su tavoli rotondi, a battere il tempo coi piedi, i seni vibranti in mature melagrane di freschezza, frenesia di crotali, musicisti fuoritempo che ostentatamente sgozzano violini surriscaldati, fulminando tamburelli, sventrando liuti paffuti fiammeggianti di tutte le loro incrostazioni. Lungo silenzio poi il paese ritorna a me, col volto devastato, irriconoscibile. Grida qua o là, di una rissa, di uno stupro, di un omicidio. Grida di bambini dagli occhi stravolti, frustati perché imparino a tacere. Grida di lutti e di donne in lacrime che si lacerano le guance, strappandosi i capelli, picchiando il suolo coi foulard, che si battono le cosce e sbattono la testa contro i muri. Grida di lattanti abbandonati nelle baracche delle bidonville, nella penombra di tutte le mancanze. Grida incendiate dalla malnutrizione e dalle febbri. Grida di donne picchiate a morte da maschi ubriaci e disperati. Gemiti e rantoli di queste donne terrorizzate, che baciano i piedi del loro aggressore per chiedere pietà, per l’amore di Dio, per i bambini, per le miserie condivise. Grida di Marzo portate dal vento d’odio degli insorti, scolari mitragliati al pieno sole delle false indipendenze, blindati dinosauri contro minuscoli sogni intuiti nella germinazione dei giorni, la marea del sole, il sorriso degli uomini. Grida dei miei compagni sotto il trespolo, il pau di ara, il magnete. Grida quando il grido diviene esperanto di resistenza, melopea epica del dramma umano e della speranza. Oh miei dolci compagni, mia carne allucinata, mio cuore gonfio d’amore da non poterne più, i vosti occhi indimenticabili di promesse, la nostra inarrestabile tenerezza.

Scrivere.
A metà strada, in piedi, col passare della morsa e delle
……………………………………..ferite, scrivo.

Passano gli anni
……………….galoppano
Le cesoie delle lancette falciano i quadranti
stritolano la mano del ciclope
……………….afflosciato sul trono
Il mio popolo cammina
e io esisto
………………..ribelle

Maison centrale di Kénitra, gennaio 1976

*

Quattro anni

Tra poco saranno quattro anni
mi aggrappai a te
………..ai miei compagni
………………..al mio popolo
m’incatenarono
…………imbavagliarono
bendarono gli occhi
proibirono le mie poesie
………….il mio nome
mi esiliarono in un isolotto
di ruggine e cemento
apposero un numero
sulla schiena della mia assenza
mi proibirono
i libri che amo
………….i romanzi
………………..la musica
e per vederti
un quarto d’ora a settimana
attraverso due grate separate da un corridoio
loro erano ancora là
a bere il sangue delle nostre parole
un cronometro
al posto del cervello

***

da Scorticato vivo – 1986

Come sono facili gli enigmi dell’inquisitore!
Confrontiamoli, dice, con quelli
che neppure oso porre a me stesso:

Da quale tribù occulta sei corrotto?

Sei indenne da ogni potere?

Hai rotto tutti gli specchi?

Da quali malattie trai la tua forza?

Quali sono i tabù della tua rettitudine?

Perché solo in punta di labbra ammetti l’entità della tua
……………………………ignoranza?

Non ti accade di accontentarti dell’approssimazione a
………………ciò che avresti in realtà voluto dire?
D’essere irritato dalle tue più giuste passioni? Di maledire
………………le tue superbe ragioni di vivere?

Non giochi un po’ al martirio?

Non nascondi la tua pigrizia dietro il vortice delle tue
………………realizzazioni?

Cosa tradisci ogni volta che ti rimetti in causa?
Sei colmo del solo amore che ti si conosca?
Fin dove puoi spingerti nella verità su te stesso?

***

da Il sole muore – 1992

Chi parla
di rifare il mondo?
Si vorrebbe semplicemente
supportarlo
con un ramoscello
di dignità
agli angoli delle labbra

*

Oh dio
se sei uomo
fratello dell’uomo
rinuncia ai tuoi misteri
esci dalla tua grotta
Di’ ai tuoi sostenitori
la vanità dei loro tempi
immergili nella cecità
Alza lo stendardo della rivolta
Unisciti a quelli
che hanno solo le loro catene
per arare la disgrazia
Vieni dunque
a baciare loro i piedi

*

C’era una volta
il giglio e il basilico
i buoni e i cattivi
la città
i suoi portali e muraglie
i suoi gatti dalle sette anime
i suoi santi travestiti da mendicanti
i suoi re per un giorno
le sue vergini ardenti sopra un candeliere
il suo fango che sale fino al ginocchia
le sue feste dove il perdono bussa alle porte
in babbucce e djellaba bianco
C’era una volta
una volta soltanto
la quiete

***

da L’Étreinte du monde – 1993

Sono il figlio di questo secolo

Sono il figlio di questo secolo pietoso
il figlio che non è cresciuto
Le domande che mi bruciavano la lingua
mi hanno bruciato le ali
avevo imparato a camminare
poi ho disimparato
mi sono stancato delle oasi
e delle cammelle avide di rovine
Disteso al centro della strada
con la testa girata verso l’Oriente
aspetto la carovana dei folli

*

C’è un cannibale che mi legge

C’è un cannibale che mi legge
è un lettore ferocemente intelligente
un lettore di sogni
non lascia passare una parola
senza soppesarne il peso di sangue
Solleva perfino le virgole
per scoprire i frammenti di scelta
Lui sa che la pagina vibra
di una splendida respirazione
Ah quel subbuglio che rende la preda
allettante e già sottomessa
Lui attende la fatica
che cala sul volto
come una maschera di sacrificio
cerca la crepa in cui balzare
l’aggettivo di troppo
la ripetizione che non perdona
C’è un cannibale che mi legge
per nutrirsi

***

da Lo spleen di Casablanca – 1996

Non sono quel nomade
che cerca il pozzo
che il sedentario ha scavato
bevo poca acqua
e cammino
fuori dalla carovana

*

Nella città di cemento e di sale
la mia grotta è di carta
ho una buona provvista di piume
e di che preparare il caffè
Le mie idee non hanno più ombra
non hanno più odore
Il mio corpo è sparito
Non ho più che la testa
in questa grotta in carta

***

da Mio caro doppio – 2007

Avrei amato molto
alla mia veneranda età
coltivare in pace il mio giardino
accarezzare le foglie del bambù
e lustrarle una dopo l’altra
farmi ape delle mie rose
e bottinarle a sazietà
piantare le braccia nella terra
e aspettare con pazienza che spuntassero
in due magnolie
tendere così i miei rami
per raccogliere la rugiada del firmamento
dare riparo agli uccelli migratori
o ai bambini
che avrebbero letto e apprezzato
Il Barone rampante
No
niente da fare
quando sento i sogghigni
di quello che si ostina
a piantarmi attorno
una siepe
di specchi deformati

*

Un giorno
ispirandomi alla storia di Abramo
su ordinazione
mi preparo a sgozzare l’intruso
sperando
è ovvio
nell’intervento divino
sotto forma di montone
o in mancanza di quello
di tacchino
Vedendo che non succede nulla
e come ultima risorsa
mi risolvo
a ritorcermi l’arma contro
Quale arma?
Non mi vedo tra le dita
che una banale penna Bic
e mi arrabbio scoprendo
che lui ha appena reso l’anima

***

da Tribolazioni di un sognatore accreditato – 2008

L’inferno è ben fornito
ma i suoi reparti d’approvvigionamento
sono vuoti
salvo cineprese
sempre più sofisticate
Le visite sono commentate
da esperti in uniforme
e copricapo ethnicolor
“In nome di Dio”, proclama uno
“Ciò che bisogna sapere”, avverte l’altro
e tutti a intonare lo stesso grido di guerra
“Vade retro Satana!”
L’inferno moderno
possiede un sacro vantaggio
sui precedenti
È girato in studio

*

Non è questione di spalle
né di muscoli
che il fardello del mondo
Quelli che vengono a portarlo
siano spesso i più fragili
Sono anch’essi soggetti alla paura
al dubbio
allo sconforto
e arrivano talvolta a maledire
l’Idea o il Sogno splendidi
che li hanno esposti
al fuoco della gehenna
Ma se anche si piegano
non si spezzano
e quando per disgrazia frequente
li recidono e mutilano
questi giunchi umani
sanno che i loro corpi lardellati
dal tradimento
diverranno altrettanti flauti
che i pastori del risveglio imboccheranno
per captare
e convogliare fino alle stelle
la sinfonia della resistenza

***

da La stagione mancante, seguita da Amore-Jacaranda, 2014

Supposizioni

Supponiamo
una nascita senza dolore
una storia vergine
l’aria
interamente rinnovata
gli oceani ripuliti a fondo
l’acqua di fonte
che solo a se stessa prodiga
nutrimento e conoscenza
il fuoco coltivato
per farne vino
e l’elisir dell’infanzia
il vento propizio
che porta da lontano
le sapienti armonie
che hanno presieduto alla creazione
animali liberi
dediti alla bellezza
che vegliano sulle specie rare

Supponiamo
una nuova dimora
per la lingua e l’idea

Supponiamo
quel che è desiderio di chiunque
nel punto più profondo di se stesso:
una vita di ricambio
dove scegliersi liberamente
i genitori
il luogo e la data di nascita
il nome e il soprannome
la voce
la propria o le proprie lingue interiori
una religione se ce n’è bisogno
gli amori
numerosi o esclusivi
il colore delle idee
le battaglie a lungo ponderate
la casa col suo albero tutelare
l’erranza e le peregrinazioni
i libri
la musica
la pittura
che siano all’altezza
dei suoi stessi talenti
e già che ci siamo
qualche segreto
che non faccia male a nessuno
come quello di un doppio interiore
con cui potersi confidare
senza rischio di tradire
o essere tradito
qualche particolare irrilevante
per distinguersi dalla massa
come ridere
di ciò che all’apparenza non fa ridere
piangere quando c’è aria di festa

Supponiamo
una vita
da creare
liberamente
dalla A alla Z

Supponiamo
la donna e l’uomo
guariti dalla paura
dalla sottomissione
senza nulla da comprare
nulla da vendere
liberati dal possesso
Sempre innamorati
sempre mortali

Supponiamo una vita
senza sale d’attesa
alla cui fine
non ci siano rimpianti
né rimorsi
Un racconto che ci si tramanda
fin dalle origini
e che ciascun araldo
interpreta
a modo suo

Supponiamo
un episodio inedito
della genesi
che veda sorgere
un nuovo continente
dove gente più fortunata di noi
conosca infine
la stagione mancante

l’utopia
sarebbe nel suo elemento
Dal sogno alla realtà
ci sarebbero proroghe ragionevoli
e sicuramente
passerelle

Vivere
non sarebbe superfluo
Si dormirebbe solo con gli occhi
esterni al cuore
e ci si ciberebbe solo
d’immaginazione
pura e impura
senza primo piatto né contorno

Si sognerebbe sempre
ma più in grande
come d’abitare l’universo intero
senza bisogno di trasferirsi
come di negoziare un trattato di pace
equa
con gli elementi scatenati
della natura
come introdurre
il principio d’amore
nel preambolo
della Costituzione universale

Si sopprimerebbero
il numero adeguato
di sofferenze incomprensibili
per conservare solo quelle
che alimentano la vigilanza
l’interrogarsi
la ricerca delle probabili
e improbabili luci

Ci si prenderebbe cura
come della luce dei nostri occhi
d’ogni goccia d’acqua
ogni granello di sabbia
ogni particella d’aria
e ancor più vicino a noi
del fragile
del balbettante
dell’effimero
di ciò che
in fondo all’essere
persisterebbe della solitudine
e della paura

La morte straziante
degradante
farebbe posto
a una sparizione discreta
propria
di cui ciascuno
comprenderebbe le ragioni
salutandone l’eleganza

Supponiamo l’inafferrabile
alla nostra portata
e il potente indistinto
il colpo di genio
che ci farebbe tendere la mano
non per carezzarlo
come in sogno
ma per impugnarlo
risoluti

Supponiamo
dalla nostra avventura
l’incredibile
che ripartirebbe
ancora e poi ancora

*

da Amore-Jacaranda

Non mi sento a mio agio
a parlare delle donne
a maggior ragione della Donna
Non posso parlare
che di una donna
Lei sola
– voglio dire tu –
sa
ciò che del femminile mi abbaglia
mi attraversa
mi trasforma di giorno in giorno
mi è ora più che intimo
ora insondabile
mi esorta a scrivere
mi aizza contro l’oppressione
e mi avvicina
all’umanità dei miei sogni
Tu sola sai
ciò che ci anima
ciò che ci unisce
in questa battaglia senza fine
contro noi stessi
uomini e donne
Tutte le jacaranda del paese
in qualche modo, ci appartengono
perché siamo
tra i pochi
a chiamarle senza esitazione
dilettandoci della musica
del loro nome
ad accarezzare con lo sguardo
i loro capelli arruffati
le braccia storte
le gambe mingherline
a preoccuparci di sapere
se passeranno o no
la cattiva stagione
a spiarne
l’incredibile fioritura
a evitare di calcare il tappeto
malva tenero
che si affrettano a stendere
sotto i piedi dei passanti
e
ovunque si vada
città o campagna
a cercarle nella folla caotica
degli alberi
dove si sentirebbero soffocate
perdute
Le jacaranda sanno
che l’amore tra noi due
muove
dalle medesime attenzioni?
Io ti appartengo
Tu mi appartieni, in qualche modo
come in questa poesia

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).