Questionario: Nicola Lagioia

da | Mag 28, 2015 | Senza categoria

Sul numero 70 di Nuovi Argomenti “Dite quel…BIP…che vi pare” (in libreria dal 26 maggio) dedicato alla libertà d’espressione, abbiamo fatto dieci domande a una settantina di scrittori, poeti e intellettuali italiani. In occasione dell’uscita del numero ne pubblichiamo qui degli assaggi. Dopo Loredana LipperiniErri De Luca e Walter Siti, ecco Nicola Lagioia.

 

1. La libertà d’espressione deve tener conto di altre libertà (per esempio legate a: religione, credo politico, ruoli istituzionali, memoria storica, ecc.) o non deve essere limitata? Quali dovrebbero essere gli eventuali limiti e chi dovrebbe deciderli?

Bisogna vedere di quale forma espressiva stiamo parlando. Di solito l’arte (cinematografica, letteraria, pittorica…) racchiude in sé un grado di complessità tale da non poter risultare davvero offensiva per qualcuno che non sia già in cattiva fede o malato di fanatismo. Mi limito alla letteratura. I grandi romanzi non sono mai assertivi o ideologici (se non ex post), non prescrivono nulla nemmeno quando sembrano violenti e iconoclasti. Neanche davvero deridono o sbeffeggiano, persino quando si servono dello sberleffo. Raccontano storie, restituiscono mondi, esplorano le profondità (e le contraddizioni) umane. Dunque non possono mai risultare davvero scandalosi (non lo è il Houellebecq di Le particelle elementari, non lo è il Bret Easton Ellis di American Psycho, non lo sono i Ciprì e Maresco di Totò che visse due volte, film in apparenza blasfemo, di fatto profondamente religioso, per quanto eretico) e non possono ferire la dignità di nessuno che non aspetti solo il prossimo oggetto della propria violenza. Alcune forme espressive non artistiche (per esempio il giornalismo, per non parlare degli opinionisti televisivi o a mezzo stampa) non hanno l’obbligo di questa complessità, non devono mostrare anche il punto di vista dell’“avversario”, spesso sentono anzi legittimamente l’obbligo dell’assertività. Quindi sì, certe volte possono risultare offensive. A quel punto favorire l’incontro tra offeso e offensore mi sembra più maturo ed evoluto che chiamare in causa i giudici.

 

2. Rappresentazione artistica e opinione personale dovrebbero godere dello stesso grado di libertà di espressione?

No, per i motivi di cui sopra. Nel momento in cui però l’opinione personale dovesse raggiungere un alto grado di complessità, sensibilità, profondità, allora automaticamente non potrebbe più risultare offensiva. Le opinioni personali possono essere complesse. L’arte non può fare a meno di esserlo, è la sua natura (anche quando è in apparenza semplicissima).

 

3. Dovrebbe essere diversa la libertà d’espressione di cui si può usufruire in ambito pubblico e in ambito privato? Perché?

Sì, dovrebbe essere diversa, come del resto è. In privato posso dire che la persona x è un coglione senza ledere la sua dignità, perché l’affermazione non uscirebbe dalla dimensione in cui è stata fatta. In pubblico mi macchierei al contrario di una colpa per la quale è giustamente prevista una sanzione. Il che non vuol dire che pubblicamente io non possa attaccare la persona x in questione, ma userei argomentazioni e coloriture molto diverse dal linguaggio da taverna a cui pure in certe situazioni mi piace abbandonarmi. In realtà il contesto pubblico mi obbligherebbe a essere (ancora una volta) più complesso, tanto da farmi arrivare a credere che nessuno (se analizzato attraverso le sue debolezze, i suoi condizionamenti, i suoi tic, i suoi problemi personali, il suo passato) è mai davvero un coglione intrinseco, al massimo si comporta da coglione, il che è molto diverso. Insomma, in privato vorrei riservarmi il lusso di essere più stupido di quanto non sia.

 

4. È giusto limitare la libertà di un cittadino di esporre o indossare simboli religiosi, politici, ecc.? Se sì, in che misura?

Non limiterei questa libertà, per quanto nulla mi sembri più triste del burqa. D’altra parte il laicismo estremo non mi piace.

 

5. Chi difende o appoggia pubblicamente atti violenti o illegali dovrebbe esserne considerato corresponsabile sotto un profilo etico e giuridico, o dovrebbe avere diritto a esprimere liberamente la propria convinzione?

Anche qui, la farei più sottile. Una cosa è istigare brutalmente alla violenza. Altro è fare un discorso complesso dove si affronta anche il tema della violenza, se sia legittima o meno, e in quali casi. Per mia natura, storia, educazione, non posso insomma prescindere anche qui dalla questione linguistica. E poi: violenza o disobbedienza civile? Da una parte l’amore per la legalità. Dall’altra il problema di come porsi davanti a leggi ingiuste. Se la legalità fosse un dogma invalicabile, avremmo dovuto considerare invalicabile anche il rispetto delle leggi razziali.

 

6. Si può ricorrere alla violenza fisica per l’affermazione di un ideale? Quali sono, se ci sono, i valori per la cui difesa varrebbe la pena ricorrere alla violenza o sacrificare la propria vita?

Magari quell’ideale lo si può raggiungere senza bisogno di ricorrere alla violenza fisica. Parlare di violenza come extrema ratio è non di rado l’espediente retorico per non sperimentare quelle intermedie.

 

7. I valori della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 sono assoluti e universali o tutto è soggetto alla storia e non esistono valori indiscutibili?

Sono un primo passo. Da cui non credo si debba tornare indietro.

 

8. Si può dire che è in atto uno scontro fra due o più civiltà diverse e inconciliabili? E se sì, quali sono le cause di questo scontro (culturali, religiose, politiche, economiche, ecc.)?

Il più grande “scontro di civiltà” a cui assisto è quello tra ricchi e poveri.

 

9. È possibile mettere a confronto e stabilire quale sia il migliore tra sistemi di valori di differenti civiltà?

Non c’è libertà senza giustizia sociale. Ricomincerei di qua.

 

10. Qual è lo stato della libertà di espressione in Italia? Ci sono argomenti tabù su cui risulta difficile o impossibile esprimersi liberamente?

L’Italia occupa una posizione pietosa nelle classifiche internazionali sulla libertà di stampa. Non darei solo la colpa al ventennio berlusconiano. La libertà d’espressione è a propria volta minacciata su due fronti che si alimentano l’un l’altro: i padroni del vapore dell’informazione da una parte, dall’altra chi è convinto (di solito il lumpen-web-proletariat) che dare fiato alle prime parole che gli risalgono dallo stomaco equivalga a esprimere un’opinione. La ciliegina sulla torta è il laicismo progressista del politicamente corretto, molto abile a occultare sotto le proprie coltri una violenza da cui cerco di tenermi lontano.

Marco Cubeddu (Genova, 1987), ha pubblicato i romanzi «Con una bomba a mano sul cuore» (Mondadori, 2013) e «Pornokiller» (Mondadori, 2015). Scrive su diverse testate, tra cui «La Lettura» del «Corriere della Sera», «Link - idee per la tv», «Il Secolo XIX», «Panorama», «Il Giornale» e «Linkiesta». È caporedattore della rivista letteraria «Nuovi Argomenti». Vive tra Roma e Milano. «L'ultimo anno della mia giovinezza», reality letterario sulla vita di Costantino della Gherardesca, esce per Mondadori il 30 gennaio 2018.