XIII Quaderno italiano di poesia contemporanea

da | Mar 30, 2017

Da poco uscito il XIII Quaderno di poesia italiana contemporanea, a cura di Franco Buffoni (MarcosyMarcos, 2017). Di seguito una selezione di testi.

Agostino Cornali

Premolo

Non so niente di un paese
circondato dai torrenti
e sospeso sopra un fondovalle
di fabbriche tessili, ponti e scolari
che aspettano l’autobus

niente delle sue cripte, degli anfratti
dei tagli nella roccia che nascondono
sepolture preistoriche

so che a quest’ora
l’oscurità rifluisce sul fondo delle strade
e tu come una naiade
indomita l’attraversi.

*

Claudia Crocco

a CP, per ogni tragica impossibile condivisione

«Capisco tutto. Ma non siamo sole».

Se sono ancora vividi qui
gli schermi a distanza in sala grande
l’inizio le nostre diffidenze reciproche,
il distacco premuroso di lui le incertezze
di ogni progetto sui prossimi anni
nel bagno dell’università
piangendo, a volte, il tuo stupore
e i silenzi crudelissimi le attese successive
prima di tornare a fingere
lo scialo di vita nel nostro
bianco e blu orizzonte condiviso
dolorosamente; se il ricordo
della provincia di notte davanti al chiosco con l’insegna
– i nostri commenti sulle differenze regionali
dal rito notturno dei panini –
è già più sfocato ora,
non sono i chilometri, saremo lontane
per una distanza di polveri digitali
già nell’aria ora
di cinguettii isterici,
desideri che più non si toccano –
confini dilatati esplosi.

Forse ci riconosceremo ancora
fissando un’immagine stampata
nelle pupille

(Quando hai preso la rotonda,
ancora credevamo era possibile
tornare indietro, appartenere a un luogo,
trovare un centro.
In quel momento della notte
il traffico non era intenso. Due macchine a destra,
le corsie interrotte della Siena-Firenze
chiudevano lo sguardo.
Quegli anni alle nostre spalle un parcheggio deserto,
un nulla così pieno davanti a noi.)

Se due solitudini s’incontrano, non è detto
che abbiano una lingua per comprendersi.
Non voltarti più.

*

Antonio Lanza

Vergine e pubica la domenica di Etnapolis
dieci minuti prima dell’apertura
al pubblico, ma già la percorrono
i primi polpacci pelosi e carrelli
Iperfamila che sferragliano vuoti.
Saracinesche aperte ad altezze variabili
come palpebre offese al sole
con fiamme di logo al sommo delle porte.
Al mattino le commesse hanno il volto
tagliato di sghimbescio da un tratto
rosso di uniposca, e bevono tazzine di caffè
ricostituente al bar di Prestipino.

*

Franca Mancinelli

da Pasta madre (Nino Aragno, 2013)

darò semplici baci di sutura
verserò saliva a ogni giuntura
sarò sbucciata e dolce ai denti.
Ogni mattino ti coglierò un pugno
di fiori dal selciato.

Per te avrò aghi sempreverdi
e sboccerò ogni inverno per bruciarmi.

*

Daniele Orso

SCRIVO DA UNA REGIONE

a G. R. (1988 – 2016)

Scrivo da una regione tutta cablata
Da fili sotterranei di vetro e rame
Chiusa da catene interrotte di monti
A nord e a sud il mare. A ovest le piane.

Cominciano le piogge sulle foglie nelle strade
Legano le nebbie le case ad una ad una
Mentre avvolgono i comignoli le nuvole
Ai paesi delle fabbriche sparute.

Scenderò il viale silenzioso d’alberi ed ortiche
Che porta verso il fiume nella sera novembrina
Ammirerò le trebbiatrici che falciano tenaci

Tane di topi nidi di pernici ciuffi di gramigna
Ed erba medica. Lepri volpi e nutrie.
Mi sentirò parte d’un sottobosco sanguinoso.

*

Stefano Pini

Treviglio, via Milano

Era da queste parti
dove dicevi che sono nato,
la piega dei fogli che ho letto e gli steli
del grano d’estate, la terra
dove poggiavo e adesso guardo: il giorno
era a più distanze, ricordo
la luce rotta di chi adesso, labirinto
tra i campi è uomo.
Le mura sono cresciute senza germogli
attorno la pioggia che porta per mano
fino alla carta, dove s’impara il seme
e che questa è una casa so scriverlo,
un amore dove la radice arrampica.
Una pianura, quanta fatica per tornare qui.

*

Jacopo Ramonda

La stasi (cut-up n. 104)

Come un cane addestrato espleto tutti i doveri necessari a garantire il mio sostentamento, e mi destreggio con efficienza tra gli impegni della giornata. Mi sono abituato a sorridere per risultati minimi, o per sventate minacce; mi siedo comodo, a subire la vita, consapevole del fatto che certi cibi richiedono una maggiore masticazione rispetto ad altri. A volte, prima di dormire, ripenso a tutti gli errori che ho commesso d’istinto, alle intuizioni rimaste intrappolate nelle ragnatele, alle mie migliori intenzioni contaminate dalle necessità, da ristrettezze che non sono stato in grado di preventivare. Mi rendo conto che il mio passato recente è stato pesantemente condizionato da scelte invisibili, da scambi mancati che mi hanno arenato su binari morti e dalle conseguenti reazioni a catena che quelle sviste hanno innescato. Nel dormiveglia ritorno sui luoghi dei miei incidenti, mi rivedo seduto sul bordo di un cambiamento radicale che allora non mostrava ancora alcun sintomo, ma che di lì a poco mi avrebbe travolto. Ripercorro le deviazioni che ho imboccato senza rendermene conto, forse per mancanza di intuito o di esperienza, e che mi hanno portato qui, a questa vita che non mi somiglia, che sembra essere frutto di un equivoco.
Durante il giorno tutto ha un sapore completamente diverso e raramente cedo a pensieri di questo tipo. Le settimane trascorrono velocemente, rincorrendosi tra loro, ed io mi lascio trasportare dalla corrente, dalla routine che dirige le mie giornate, avanzando lungo il percorso di tappe obbligate con il pilota automatico. Seguo il corso del fiume, facendo attenzione a non esondare, fino a quando mi accorgo di alcune inezie che mi schiacciano al suolo. Non so perché, ma a volte il minimo inconveniente è sufficiente per scoraggiarmi, per indurmi a desistere; ogni ostacolo sembra essere la conferma di un errore a monte, di un progetto fondato su uno sbaglio. Queste riflessioni troncate sul nascere mi portano quasi sempre alla stessa conclusione, ad una conclusione di comodo: mi dico che, in fondo, rientra tutto nella media di incidenti ordinari e trascurabili morti quotidiane, infinitesimali parti di me che muoiono nelle mie apnee, speranze perse e poi dimenticate, piccole ischemie. Arriverà il giorno in cui mi basterò, in cui qualunque cosa sarà abbastanza, pienamente sufficiente. Alcune specie animali cambiano sesso spontaneamente quando si trovano in un ambiente monosessuale. Basterà pazientare ancora un po’ e presto, anche per me, arriverà il giorno in cui il sollievo sarà permanente, il compromesso diventerà un’abitudine, un meccanismo mentale perfettamente efficiente, un automatismo, come il battito cardiaco.

Immagine: William Kentridge.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).