Voglio colpire una cosa

da | Nov 26, 2015

Cinque poesie in anteprima dalla raccolta Voglio colpire una cosa, che ha vinto l’edizione 2015 del Premio Elio Pagliarani (sezione inediti) e sarà pubblicata nel 2016 presso l’editore ZONA. Segue una nota critica di Pier Francesco De Iulio.

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Voglio colpire una cosa
Mentre sto per colpire una cosa
Un’altra cosa si frappone tra la cosa che voglio colpire e me
Così non posso più colpire la cosa
Perché adesso tra la cosa e me c’è una cosa che sta in mezzo
La cosa che sta in mezzo
Tra me e la cosa che voglio colpire
Ha un nome che non so
Non le ho ancora dato un nome
Ha nessun nome
Il suo nome sta tra il nome della cosa e il mio
Si chiama la cosa non ancora colpita
Sta tra la cosa che voglio colpire e me
Hai dato un nome alla cosa che voglio colpire
Ma io non lo conosco
Non posso colpire la cosa alla quale hai dato un nome che [non so
Posso colpire la cosa che le sta davanti
Prima di farlo le dò un nome
Il nome della cosa colpita
Alla quale ho dato un nome
Ha il suono di una pietra che cade in fondo a uno stagno
La cosa colpita pesa

*

Sono ferme attorno allo stagno
Stanno in fondo allo stagno
Le nuvole sono in alto
Sono molto lontane
Le nuvole sono in alto
Che incidenza hanno le nuvole
Sulle cose non colpite e che non pesano
Pesano quel tanto che basta
Basta saggiare il terreno sulle quali gravano
Questa stagione che è alle porte
Alle porte delle cose
Alle porte dello stagno
E delle cose colpite
Cosa senza nome non colpita non pesa
Le hai dato un nome affrancandola
Si può sgravare una cosa colpendola lanciandola
Allora mettersi a conoscenza del nome
Uno lo fa naturalmente
Cosa pesa
Allora si fa un circolo simile a un cerchio concentrico
Al centro del quale cosa che pesa
Al centro del quale le nuvole sono in alto

*

Finché la situazione non si aggrava
Finché uno non se ne pente
Si dice che in casi come questo
A volte arrivano burrasche
Sembra fatto apposta
Cosa pesa in fondo allo stagno
E una carica di acqua cade dal cielo
Sembrava bello stamattina
Poi si è guastato
Poi la terra sprigiona i suoi odori
Le essenze della stagione
In filari in filamenti
In pesi filamentosi tra un nome e l’altro della cosa
Colpita o non colpita non pesa
Pesa non ha nome è piatta compatta resiste
Mentre tra me e lo stagno
Tra la cosa che avrei voluto colpire e lo stagno
Passa un rivolo d’acqua
Si è fatto strada sul terreno dopo la burrasca
Allora uno aspetta che la cosa scorra grazie anche al suo [peso
Allora uno vorrebbe sgravarsi di questa responsabilità
Occuparsi d’altro

*

Le nuvole alte nel cielo
Mentre per terra
Dalle parti dello stagno
Ci sono organi filamentosi
Gli sforzi del penetrare l’oscurità dello stagno
Sforzi filamentosi per raggiungere
Quello che è adagiato quello che si è adagiato
In una parte di terra che è il fondo dello stagno
Una volta ridotto il raggio
È più facile proseguire l’azione
Del rinvenimento
Più o meno si trova in un punto
Approssimativamente
Fino a quando le nuvole nel cielo
Fanno ombra fanno sagoma
Si adagiano senza peso
Gravano sulla ricerca della cosa pesa
Quel tanto che basta
Organicamente si dice
Si dice che organicamente
La terra sia un luogo composto

*

Gravate dal tetto della casa
La casa è circondata da pesi di varia natura
Sgravati dal peso del fagotto
Da tutta la rilevanza della cosa pesa
Che è altrove
Lo stelo cresce molto vivacemente
Alla maniera della rappresentazione bucolica
Mentre sotto le coperte
Si riposa
Lasciandosi alle spalle
La forma e il peso delle domande
La fatica di una dura giornata di lavoro
Quando le figure stanno
Una orizzontale
L’altra verticale
Può essere stilata una intera monografia
Su queste forme sulla loro posizione
Sul loro punto di vista rispetto alle cose
Che molto consuntamente
Una forma che passa assume posizione verticale
Come lo stelo
Si erge più o meno animatamente

***

Di “cosa” è fatta la poesia di Silvia Tripodi? Quali luoghi abita? In quali altri luoghi ci conduce? Leggendo le poesie della sua silloge Voglio colpire una cosa – vincitrice del Premio Elio Pagliarani 2015 per la poesia inedita e in via di pubblicazione per Editrice Zona – si potrebbe rispondere che ogni cosa le appartiene pur non mettendo radici in nessun luogo. Una poesia per così dire apolide, compenetrata da un mondo reale che non ha nome (e tutti i nomi) e si fa minimo comun denominatore di ogni suo verso e ogni suo verso giustifica per sé, per quanto da esso si rimanda o si accoglie.

Una versificazione che scompone l’ordito sintagmatico in una sequenza di essenziali trame linguistiche, dove la disposizione dei versi sembra assumere un ruolo non rigidamente ordinatorio, quasi a voler suggerire la possibilità di esperire una via di accesso alternativa ai testi, un invito per il lettore a combinarne la semantica in una diversa risoluzione ermeneutica e a “combinarsi”, fuor di testo, egli stesso con la realtà indagata.

Ecco allora che le connessioni tra le parole e le cose si sfocano, o perdono la relazione che nel discorso le tiene (le dovrebbe tenere) in forma autentica. Riproducono un’altra autenticità tutta interna al contrappunto del costrutto letterario, e in tal modo s’inverano. Sulla descrizione per immagini prevale la nudità di alcuni predicati; i verbi (colpire, sgravare, spingere, attraversare, raccogliere, trapassare, infliggere) legati – in modo non sempre automatico e consequenziale – alla gravità di certi sostantivi (pietra, corpo, radice, stagno, nuvola, acqua, luce, stelo) e ai loro attributi specifici (peso, forma, sostanza).

Nei testi di Voglio colpire una cosa, una pluralità di significati e significanti si alterna in una circolarità di rimandi, in un approccio duale, sulle azioni e gli oggetti rappresentati e sull’esperienza che il soggetto fa (e costruisce su) di essi, a comporre la realtà fenomenica – in uno spazio-tempo sospeso e liquido, e insieme concretissimo – mediante una molteplicità di fattori interpretativi: linguistici, estetici, culturali, filosofici.

In questo stare in due piedi di un corpo letterario multiforme, che tiene insieme, da una parte, la mescolanza sintattica e lessicale della ricerca formale e, dall’altra, l’implicita potenza del poetico (e dell’impoetico) della realtà osservata, sta la forza e la caratura della poesia di Silvia Tripodi.

Pier Francesco De Iulio

Immagine: Opera di Francesco Jodice.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).